Racconti di Gianni Potrich e note di Gabriele Girardelli

Tante emozioni dalle parole del prof. Potrich e dalle note dell’armonica di Girardelli

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Un toccante spaccato di neorealismo romantico regalatoci dai racconti di Gianni Potrich e dalle note dell'armonica a bocca di Gabriele Girardelli quest'ultimo sabato sera 7 settembre ai Ghesteri, antico nucleo di «baiti» costruiti con le pietre lavate e levigate nei secoli dalle acque del Leno di Terragnolo. Storie di una comunità lontane nel tempo, condite da lavori, sacrifici, fede, sogni, attese, speranze, lontananza e ritorni di uomini e donne tenaci, visionari e coraggiosi. Vita, soprattutto, di quelle donne straordinarie, irriducibili, rispettose, affettuose e decise all’unisono nell’educare figli e nipoti, amanti fedeli e oneste fino alla fine.
Quante emozioni per le molte persone presenti, abitanti nelle varie frazioni del Comune di Terragnolo, ma pure salite con curiosità e affetto da Rovereto e dalla Vallagarina.
 
Ha introdotto la serata il Sindaco di Terragnolo Massimo Zenatti, ricordando il concreto sforzo della sua Amministrazione nell’aver voluto dar vita in questi anni a molti momenti di ricordo e di valorizzazione delle tradizioni e delle risorse naturali di questa lussureggiante valle del Leno di Terragnolo, illuminata qua e là da molte frazioni ai piedi del Pasubio a sud e del noto Monte Maggio a nord.
Gianni Potrich, stimato docente di lettere in varie scuole medie e Istituti superiori roveretani, ha poi dato inizio ai suoi originali e documentati racconti, intervallati da ricercati pezzi musicali eseguiti da Gabriele Girardelli. Nella piccola piazza o intima corte dei Ghesteri è calato un silenzio attento e contagioso.
 
Il narrare di Potrich ha fatto tesoro dei racconti familiari, in particolare del bisnonno Giovanni, dei nonni Paolo e Firmina, dello zio frate minore Pancrazio, la cui vita ha sempre avuto quale scrigno protettivo il loro «bait» ai Ghesteri. Con il massimo rispetto verso tutti i personaggi richiamati nei racconti, è uscita dominante la figura della bisnonna Rosalia Granieczny, cognome che tradisce le sue origini della lontana Slesia polacca. Nata in una famiglia della media borghesia che allevava cavalli, ancor giovanissima s’innamora di un uomo più adulto di lei, giunto da lontano ad accudire le stalle e gli animali di famiglia: è per l’appunto Giovanni Potrich, uomo colto e curioso che da tempo ha lasciato i Ghesteri per amore del viaggiare.
 
Rosalia lo sposa e nell’autunno 1921 con lui giunge al «bait» di famiglia nella sconosciuta a lei valle di Terragnolo. Non c’è la luce, per avere l’acqua bisogna scendere più volte al giorno giù a valle fino al torrente Pazul, la legna va raccolta nei boschi circostanti e così per altre necessità primarie. Il tutto sia d’estate che d’inverno. Ma Rosalia non si demoralizza. Certo, più volte alla sera si trova sola in cucina a piangere, ma il suo amore per Giovanni è più forte di ogni avversità. E’ così che mesi dopo mesi, anni dopo anni diviene la vera forza della famiglia, un riferimento sempre più importante per tutta la piccola comunità.
 
È, infatti, Rosalia che fa comunità, che si confronta, che insegna, che accudisce, che trasmette fiducia e nuove speranze a tutte le altre donne del posto. Tutto questo grazie al suo forte carattere, alla sua innata generosità, alla sua inossidabile fede, alla sua riconosciuta determinazione: in sintesi, è una donna affidabile. E per quel tempo e per quel luogo fu una miracolosa provvidenza. Ma anche le molte forze spese ai Ghesteri da Rosalia hanno un termine. È così che una mattina del 1933, a soli 39 anni, il suo cuore smette di battere. La narrazione si chiude, ma nei cuori dei presenti si apre la più profonda ammirazione per lei e per tutte le capaci, tenaci e irriducibili donne di allora dei Ghesteri.
 
Ascoltando le parole del prof. Potrich e le note di Girardelli tutti noi presenti avremmo voluto che i colori, le ombre e le luci di questo stupendo intimo quadro non fossero mai ultimate. Ma il silenzio che ne è seguito, unito al buio del bosco dei Ghesteri nello scendere a valle, ci sprona alla serenità d’animo e a non dimenticare, bensì a non smettere mai di raccontare, soprattutto ai nostri giovani.

Paolo Farinati