«Andrà tutto bene» – Di Nadia Clementi

La testimonianza della maestra e mamma Ivonne Pellegrini: «Noi restiamo a casa»

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Ormai da diverse settimane, il coronavirus è impetuosamente entrato nelle nostre case e, come purtroppo sappiamo, ciò ha completamente stravolto gli scenari delle nostre vite.
Le scuole sono chiuse e molti genitori hanno difficoltà a occupare il tempo dei bambini rimasti a casa.
Uno spazio della giornata viene dedicato ai compiti, almeno per i bimbi in età scolare e le rimanenti ore si possono riempire con attività di svago, come ad esempio alcuni giochi da fare tutti quanti insieme, lasciando da parte tablet, computer e play station.

Per divertirsi insieme, figli e genitori, non è necessario molto, è sufficiente guardarsi intorno e giocare con quello che c’è in casa, basta solo un po’ di fantasia: dai giochi più dinamici a quelli più tranquilli, di abilità o di memoria.
Giochi in famiglia che, oltre a divertire, aiutano lo sviluppo motorio, cognitivo e manuale dei bambini. E fanno tornare un po’ bambini gli adulti.
Diverso è per lo studio, che ha costretto le famiglie ad adeguarsi al nuovo modo di fare scuola, si chiama didattica a distanza, e consiste in vere e proprie classi virtuali al fine di ristabilire nuovi contatti tra docenti e alunni.

Per sapere cosa si fa in queste lunghe giornate ai tempi del coronavirus, l’abbiamo chiesto a Ivonne Pellegrini, insegnante presso la scuola primaria di Giovo e sposata con Davide, operaio.
Hanno due figli, Isaac e Jack rispettivamente di 12 e 7 anni, vivono in una casa di proprietà a Verla di Giovo, un piccolo paese della Valle di Cembra in provincia di Trento.


 
Signora Ivonne come hanno trascorso i suoi figli queste prime settimane di vacanza forzata?
«All’inizio, i primi giorni, per loro sembrava una vacanza, poi quando abbiamo iniziato ad aprire le piattaforme con i compiti si sono rimessi in riga e, a parte un’iniziale difficoltà di organizzazione, alla fine della prima settimana hanno preso il nuovo ritmo.
«Ho spiegato loro che non è una vacanza, ma un nuovo temporaneo modo di fare scuola e imparare.
«Le giornate passano tutte uguali, ma in alcune sono più nervosi, in altre più tranquilli. Ora, dopo più di due settimane basta poco per far saltare i nervi, siamo tutti un po’ più irascibili.»
 
Cosa hanno capito davvero i suoi bambini del Coronavirus?
«Fin dall’inizio non gli ho mai nascosto nulla. Guardiamo insieme i telegiornali e le conferenze stampa, se mi fanno domande spiego loro come è la situazione e mi rifaccio a quello che dicono i media.
«Con il passare dei giorni hanno capito che la situazione si sta aggravando, e sanno bene che rimanere in casa è l’unica soluzione per tenere il virus fuori dalla porta. Anzi, hanno proprio compreso che chi esce di casa non rispetta né se stesso né gli altri.
«Isaac, il più grande, quando sente che c’è chi fatica a rispettare le regole mi dice: Basterebbe un po’ di buon senso, il senso civico! C’è da dire che rispetto ad altre zone la nostra è ancora poco colpita.
«Più volte ho riportato ai miei figli le fatiche che hanno fatto i nostri nonni in tempi di guerra: in fin dei conti, a noi non chiedono nulla in confronto a chi ha sofferto la fame. Spiego loro che dobbiamo sentirci fortunati poiché nelle nostre case abbiamo i comfort che ci permettono di continuare una vita per così dire normale.
«Jack è più piccolino parla del coronavirus come di una malattia da tenere lontana e pericolosa per la vita. Alla sera, verso le 18 accendiamo la tv per la conferenza stampa: Isaac segue i numeri dei contagi e fa i paragoni con quelli dei giorni scorsi, medie e statistiche, poi ascolta i comuni e si rende conto che il coronavirus è sempre più vicino. Cerca su internet le curve del contagio ed è incuriosito di sapere quanto il virus si è diffuso negli altri Paesi.»
 
 

 
Ci racconti come si svolge la loro giornata? Quanto tempo dedicano allo studio e quanto al gioco? Con quali difficoltà?
«Ovviamente abbiamo dovuto darci delle regole e dei limiti. C’è il momento di fare i compiti (generalmente al mattino, ma a volte anche al pomeriggio: se hanno voglia ne approfittiamo) e il momento di giocare o di guardare la tv.
«Per scandire meglio le giornate e ottimizzare il tempo mi faccio aiutare di più in casa come passare l’aspirapolvere, rifare i letti, lavare i piatti a turno (un giorno stavano litigando e hanno rotto la porta della lavastoviglie).
«Altro passatempo è stato quello di risistemare l’armadio dei giochi e riscoprirne alcuni ai quali non ci giocavamo da tempo, è sembrato loro di averli ricomperati!
«Jack svolge i compiti in circa un’oretta al giorno, poi legge a voce alta come indicato dagli insegnanti. Isaac ha una richiesta di impegno più elevato visto che frequenta la prima media, ma grazie alla piattaforma gratuita per le scuole classroom, riesce a stare al passo (a parte un momento iniziale di assestamento).
«I tempi sono più dilatati rispetto a prima: si alzano più tardi, poiché la sera vanno a letto dopo l’ora a cui erano abituati. Fanno più pause tra un compito e l’altro, hanno più distrazioni e si sentono più liberi.»
 

 
Quali sono i giochi preferiti atti a contenere la mancanza di libertà?
«Per fortuna abbiamo sempre amato tanto i giochi in scatola e di costruzione, quindi in casa ne abbiamo una buona scelta. Hanno distrutto e ricostruito lego e puzzle. Facciamo sfide di tornei con le carte e a volte ci inventiamo dei giochi.
«Chi perde fa una penitenza motoria come per esempio fare le scale di casa 5 volte consecutive e di corsa, 10 flessioni, così facciamo anche un po’ di movimento. Inoltre uniamo l’utile al dilettevole: come può essere il memory dei calzini (rovesciamo la cesta dei calzini in mezzo al tappeto e vince chi fa più coppie; alla fine del gioco abbiamo i cassetti pieni di calzini), il fare una torta o un dolcetto, il riordino di un angolo della casa per guadagnare quello spazio come luogo di gioco.
«Internet in questo periodo è diventato una fonte inesauribile di idee e opportunità. Jack e la cuginetta, attraverso una videochiamata, hanno costruito un indovina chi family (i personaggi sono i parenti o amici in comune) e poi hanno giocato: il tempo è volato e si sono divertiti molto.
Siamo inoltre fortunati poiché abbiamo uno spazio esterno e un garage dove possono sbizzarrirsi.
«A volte faccio finta di non vedere e non sentire, non voglio stare loro col fiato sul collo, li lascio in camera a parlare via telefono con i loro compagni, fanno qualche capriola sul letto e qualche gioco in casa con la palla (come il canestro in un secchio). Inoltre dalla noia possono scaturire bellissime idee e occupazioni.
«Lascio loro momenti individuali come la lettura di un libro o la realizzazione di un disegno o il suonare uno strumento (Isaac suona la tromba). Li lascio pasticciare, annoiarsi e litigare (nei limiti) anche perché altrimenti impazzerei nel voler controllare tutto, non l’ho mai fatto prima e non intendo farlo ora, perché credo che si possano organizzare anche da soli in attività ludiche. Ovviamente ci vuole anche un po’ più di flessibilità e comprensione.»
 

 
Come si possono divertire i genitori e i figli semplicemente con quello che c’è in casa?
«Questa situazione spinge noi genitori ad utilizzare un po’ la creatività e amplificare la nostra pazienza: fare delle ricette insieme a loro, proporre qualche lavoretto con la carta (tagliare, incollare, piegare…), con la pastina, con il legno, fare la pasta sale… insomma attivarsi dando anche un motivo/obiettivo come può essere l’avvicinarsi di un evento (addobbi per la Pasqua o la primavera) o realizzare un regalino da consegnare ai nostri amici o cari quando li riabbracceremo. In internet ci sono un sacco di tutorial e suggerimenti in merito.
«Questa è un’occasione per rivalutare il mondo multimediale e utilizzare il suo potenziale: stampare immagini da colorare dei personaggi preferiti, entrare in link di giochi di logica online, ascoltare audio di libri e condividerli con le altre famiglie e scambiarsi suggerimenti.»
 

 
Cosa è che manca, secondo lei, ai suoi figli della «vita» di prima?
«Sicuramente manca loro l’aspetto relazionale con i pari. Per sopperire a questo, per fortuna, abbiamo la possibilità di fare videochiamate con meet, skype, watshapp…, ma manca quella fisicità e quell’empatia che avevano prima.
«Inoltre manca il movimento e la libertà di incontrare gli amici, scambiare due chiacchiere, due tiri al pallone, una corsa.
«Jack mi chiede quando torneremo a scuola, ha nostalgia dell’ambiente e delle persone che gli girano intorno. Io gli rispondo che ritorneremo quando tutto sarà passato e quando sarà sicuro ritornarci.»
 

 
Quali sono gli aspetti più impegnativi o meglio le difficoltà riscontrate nel gestire l’intera famiglia fra le mura domestiche?
«In questo periodo mi trovo in difficoltà più con Jack che con Isaac, vuoi per il carattere, vuoi per l’età, mi accorgo che ci sono giornate in cui è più nevrotico, che avrebbe bisogno di qualche sfogo. In questi momenti gli propongo un bagno che dura il triplo di quello che faceva prima (l’acqua arriva a raffreddarsi e gliene aggiungo di calda), gli leggo qualche storia e a volte ne inventiamo noi con le marionette (dei calzini con attaccati gli occhi di carta temporaneamente con lo scotch, ogni volta ne esce un mostro diverso), gli faccio fare videochiamate con gli amici o le cugine.
«Isaac invece riesce a gestirsi da solo, sopporta un po’ il fratello, cerca di occuparlo ma poi anche la sua pazienza si esaurisce e vuole fare le sue cose (guarda un documentario, entra nei musei virtuali, suona la tromba, fa lego technic… è più tranquillo e forse anche pigro di carattere e questo sicuramente lo aiuta in questo periodo).»
 


Come riesce a conciliare il lavoro di insegnante con quello dedicato alla famiglia?
«Non è semplice perché appena vedo che i figli si sono occupati e attratti da qualche attività, mi dedico al preparare materiale per i miei alunni, sistemare quello che hanno fatto… E credetemi ci vuole tanto tempo!
«Non ho un orario fisso, appena posso cerco di ritagliarmi del tempo per me e per le mie classi. Preparare il materiale non è fare un semplice copia e incolla, ma è ricercare, selezionare, adeguarlo alla distanza e alle competenze dei propri alunni, personalizzarlo al proprio stile di insegnamento e renderlo accattivante.
«Se poi non c’è nulla che ti soddisfa (e spesso è così) creo power point, slides, videolezioni… il pc diventa una calamita. Io e i miei colleghi utilizziamo programmi che ogni giorno ci permettono di scoprire qualcosa di nuovo.
«Anche per noi è una situazione nuova e ci ritroviamo a dover ricercare strumenti e sperimentarli: è a smanettare che si impara. Il computer diventa un magnete e quando sei sul più bello, quando pensi di aver trovato quello che ti serviva o di aver capito una procedura che era un’ora che provavi a risolvere, ecco!
«Un figlio chiama, l’altro si fa male battendo sullo spigolo del tavolino, litigano e devi interrompere per poi riprendere… ma ormai hai perso il filo e devi ricominciare. Questo credo sia un problema di tutti i genitori che si ritrovano a lavorare da casa.»
 
Com’è cambiata la sua vita lontana dalla scuola?
«Ho nostalgia del ritmo che avevamo prima, dei miei alunni, del feedback (uno schermo non lo può sostituire), dell’empatia, della relazione con loro, delle battute e dell’immediatezza di uno sguardo.
«Mi mancano anche i miei colleghi, anche se in questo periodo ci sentiamo molto al telefono, in videoconferenza per concordare proposte, adeguare il carico, scambiarsi pareri e aiutarsi in qualche cavillo tecnologico, fare dei punti della situazione e trovare soluzioni.
«Ho sempre creduto e cercato il confronto e la condivisione per una crescita e un arricchimento professionale e in questa situazione questo bisogno si amplifica perché la situazione è nuova e per muoversi in essa si cercano spunti, appoggi, agganci, assistenza e conferme. Ho la fortuna di lavorare con persone molto competenti e disponibili e questo fa la differenza!»
 
 

 
Come si svolgono le lezioni da casa?
«Nella mia scuola facciamo uso di classroom, una classe virtuale. È comodo e permette di caricare tutte le proposte di argomenti e compiti, dove può esserci uno scambio sia a livello individuale sia in chat. Utilizziamo anche il registro elettronico. I bambini lo hanno imparato ad usare già prima, in tempi non sospetti, io stessa ho frequentato un corso di formazione digitale relativo ad esso e a Gsuite.
«Carichiamo video, power point, indicazioni, diamo consegne e facciamo esempi, ripassiamo o proponiamo nuovi argomenti oppure semplicemente scambiamo due parole con i bambini via chat, un commento, una battuta, una valutazione, un incoraggiamento.
«Chiediamo loro di inviarci dei video messaggi o facciamo videoconferenze anche solo per fare una chiacchierata e una risata. Particolare attenzione viene data anche ai bambini con difficoltà, si cerca di arrivare a tutti.
«Disponiamo di file audio per un confronto con i genitori sull’andamento della situazione. A questo aspetto tecnologico però viene affiancato anche il supporto cartaceo, si cerca di alternare le proposte e quindi si richiede anche un impegno sui quaderni e sui libri.
«C'è inoltre un altro aspetto importante: la correzione. All'alunno ritorna utile una restituzione, un rimando, che diventano stimoli e conferme. È comunque una dimostrazione di attenzione da parte dell'insegnante verso l'impegno che gli alunni ci mettono.
Infine ci sarebbe anche l'aspetto della valutazione, ma questo è complicato e lo stiamo cercando di inquadrare e capire come procedere confrontandoci con la dirigente e i colleghi.»
 

 
Quali sono le maggiori criticità riscontrate nello studio a distanza?
«Ci sono famiglie che hanno problemi di connessione o chi ha un solo computer da condividere con più figli, chi non ha la stampante o chi non è proprio abile nell’uso di certi programmi. Bisogna tenere conto però che la didattica a distanza è solo una risposta all’emergenza e che non deve per forza declinarsi con tecnologia e compiti o lezioni.
«Ha dei limiti: è la vicinanza che fa la differenza, il contatto umano e la fisicità creano empatia e permettono una crescita umana e relazionale. Sappiamo che è un momento di emergenza, ci si deve adeguare, sia come insegnante che come genitore che come alunno.
«L’importante è fare del proprio meglio, provarci e riprovarci, chiedere aiuto (anche ad un compagno o ad un’altra mamma o all’insegnante stesso), essere disponibile ad aiutare e mettere in campo comprensione e pazienza.
«Tutto questo richiede di mettere in campo strategie e competenze per affrontare una situazione e trarne beneficio. La scuola è anche questo.
«Questa situazione però fa emergere la necessità di dare a tutti la stessa possibilità di accedere ai contenuti degli argomenti e mette in evidenza l’importanza della multimedialità: gli strumenti compensativi (quelli che si dovrebbero usare con alunni con Bisogni Educativi Speciali) tornano comodo per entrare in contatto in situazioni complesse.
Abbiamo rivalutato la necessità e l’utilità dei file audio e l’importanza delle competenze compensative informatiche a tutti gli alunni per essere autonomi a casa. Oggi più che mai saper utilizzare la tecnologia permette di aiutarsi a vicenda e cooperare.
«Posso confermare che la scuola dove lavoro (Giovo) persegue questi obiettivi da anni e non si è fatta trovare impreparata. Lo dico anche da mamma: Isaac, grazie al lavoro svolto gli anni precedenti sa arrangiarsi col pc, comunica con i compagni via meet, fa tutto da solo con loro. Sento che si dicono come si fa a mettere l’emoji? o Come si fa a caricare questo o quello? Basta fare così… oppure Oh, ho scoperto
«E poi non vi dico l’aiuto che dà a me: è il mio tecnico personale! Se poi non sa qualcosa ci proviamo insieme! Ma questo grazie al lavoro fatto negli anni a scuola.»
 
Secondo Lei cosa rimarrà nelle famiglie di questo difficile momento?
«Io credo che non tutto il male vien per nuocere! Verrà rivalutato il ruolo del genitore (dal genitore stesso), si riscoprirà il valore prezioso della scuola e la sua fonte insostituibile di incontri e di relazioni.
«Si rivaluterà l’importanza della tecnologia (lo si sta già facendo), della multimedialità, del mondo digitale e delle potenzialità che tutti questi strumenti portano con sé.
«E sicuramente usciremo di casa apprezzando quello che prima davamo per scontato.»

Nadia Clementi - [email protected]
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