Le chat dell’orrore – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

Quei tredicenni vittime e carnefici... Abbiamo bisogno di coerenza nell’educare e di impegno adeguato alla complessità del tempo

>
Quei settecento ragazzini, e forse anche più, che nei giorni scorsi abbiamo scoperto scambiarsi materiale pedopornografico e immagini di sevizie sui bambini, ci hanno scioccato.
Dopo una lunga indagine, la Polizia postale ci ha rivelato un’incredibile diffusione di foto e video di una raccapricciante violenza.
Sconvolge non poco, perché eri abituato a pensare agli adulti che la veicolavano e la diffondevano. Invece la prospettiva qui è cambiata totalmente.
Abusi e torture, rapporti sessuali tra aduli e minori o con animali, scene di squartamento impensabili e difficili da visionare anche per gli operatori esperti della Polizia, sono circolati tra i minorenni, che a quanto pare non sono apparsi né sconvolti né consapevoli.
Come mai? È la domanda inquietante che ci possiamo fare.
 
È cambiato il modo di intrattenersi e comunicare delle nuove generazioni? Può darsi.
Di sicuro sta accadendo qualcosa che ha a che fare con la normalizzazione e l’abitudine alla violenza, quella che porta i minori a non riconoscere la differenza tra una carezza e un pugno, tra un rapporto di amore e un abuso.
Vale a dire che si è abbassata la soglia di percezione del male.
La stessa che recentemente forse ha spinto due ragazzine di 10 anni a picchiarsi e farsi filmare dai compagni per soldi.
 
È necessario chiederci cosa stia accadendo a nostri figli e quale mondo stiamo consegnando ai bambini e agli adolescenti.
Una chat degli orrori come quella scoperta dalla Polizia postale dove i minori individuati attingevano senza tanto controllo e privi di consapevolezza dei danni che avrebbero potuto fare ne diffondevano le immagini, ci segnala una grave incapacità empatica ma anche una terribile solitudine.
Per molti versi è la distanza inimmaginabile tra il mondo dei ragazzi e quello degli adulti.
Ma penso anche alla povertà relazionale di questa nostra epoca che rende le generazioni di oggi vittime e carnefici allo stesso tempo.
 
Però non si tratta di trovare le colpe della famiglia e della scuola, dei genitori e degli insegnanti quanto piuttosto riflettere su alcune cose come ad esempio il rapporto che abbiamo con l’universo digitale e quale atteggiamento educativo stiamo usando con i minori.
Non basta pensare che servano le punizioni quando si comportano male, ma è necessario sapere che siamo di fronte a una sfida educativa epocale che grava sulle spalle di tutti, nessuno escluso.
Forse non serve neanche l’illusione di risolvere tutto vietando il cellulare prima dei 12 anni o escluderli dai social, quando gli adulti per primi ne sono frequentatori assidui.
 
Abbiamo bisogno di coerenza nell’educare e di impegno adeguato alla complessità del tempo.
Credo ci sia la necessità di riconoscere il bisogno di una energia collettiva che prima di tutto spinga a collaborare famiglia e scuola in progetti comuni e porti la famiglia a curare di più la comunicazione affettiva ed empatica e la scuola a sviluppare l’educazione alle emozioni, vissuta da bambini e adolescenti nell’ambiente virtuale, la loro realtà più frequente.

Giuseppe Maiolo – psicoanalista
Università di Trento - www.iovivobene.it