Storie di donne, letteratura di genere/ 371 – Di Luciana Grillo
Almudena Grandes, «La figlia ideale» – Un grande romanzo, a tre voci, che racconta il difficile periodo della storia spagnola dal 1939 al 1960
Titolo: La figlia ideale
Autrice: Almudena Grandes
Traduttrice: Roberta Bovaia
Editore: Guanda 2020
Pagine: 560 p., Brossura
Prezzo di copertina: € 20
Un grande romanzo, a tre voci, racconta un periodo della storia spagnola difficile e contraddittorio compreso fra il 1939 e il 1960, quando «la cosa migliore da fare, nella Spagna del 1954, era tenere il becco chiuso».
Germàn, il protagonista principale, con l’aiuto del padre fugge da Madrid e si rifugia in Svizzera dove è accolto dal professor Goldstein, vecchio amico di suo padre.
Lavora e studia, diventa psichiatra ed esercita a Berna in una importante casa di cura. E non dimentica gli insegnamenti di suo padre, psichiatra di fama: «Non chiamarli pazzi perché sono malati… le malattie mentali sono sofferenze fisiche, esattamente come quelle del corpo», né la risposta che gli diede alla domanda «Allora vale la pena che io faccia lo psichiatra?»: «Ne varrà la pena solo se ti interessa davvero. Non riuscirai mai bene in qualcosa se non ti piace farlo».
Nel 1953, Germàn torna in Spagna, per lavorare (e forse sperimentare un nuovo farmaco per malati di mente, la clorpromazina) nel manicomio femminile di Ciempozuelos.
Era un bambino quando nella sua casa di Madrid era entrata donna Aurora che, senza scomporsi, aveva ammesso di aver appena ucciso sua figlia Hildegart.
«Sinceramente, non so perché vi stupite tanto, non c’è niente di strano… Hildegart era opera mia… e non mi è venuta bene… Ho fatto solo quello che fa un artista quando capisce di aver sbagliato e distrugge il suo lavoro per poter ricominciare… Qualcuno potrebbe davvero credere che non sono perfettamente sana di mente!... ho fatto quello che dovevo fare… cosa credete, che non amassi mia figlia? L’ho uccisa per salvarla».
Donna Aurora, ricoverata nel manicomio femminile di Ciempozuelos, è la seconda voce.
La terza è quella di una ragazza che ha perduto la madre da bambina e non conosce neanche il cognome di suo padre, è stata allevata dai nonni, ha vissuto nel manicomio prima perché nipote del giardiniere, poi come infermiera ausiliaria.
Si chiama Marìa Castejòn ed ha conosciuto presto donna Aurora, che le ha insegnato a leggere, a scrivere, a conoscere le piante.
Nonostante la signora sia spesso cattiva con lei, Marìa è forse l’unica persona che a Ciempozuelos le vuole bene.
A queste figure così ben delineate, si affiancano parenti, amici, colleghi, mogli ed ex mogli, medici e pazienti, suore che dirigono il manicomio e spingono alle nozze la «sventurata» Marìa, così come decidono di strappare il bimbo appena nato alla madre Rafaelita, ricoverata per schizofrenia o di far licenziare medici omosessuali o infermiere traviate.
Nella vita laboriosa di Germàn entra una donna, Pastora, che lo affascina dal primo sguardo: «lei fu mare e isola, fu marea e tronco salvifico, sabbia dorata di una spiaggia infinita, sole e ombra del palmeto», ma i suoi giorni sono scanditi dall’impegno nell’uso della clorpromazina – autorizzazione ottenuta a fatica e revocata quando già si potevano notare risultati interessanti, – dalla presenza inquietante di donna Aurora e da Marìa, che prima sembra evitarlo e poi invece costruisce con lui un rapporto complice, sincero e profondo.
Presente e passato si alternano, il soggiorno in Svizzera ritorna spesso nei pensieri di Germàn che davanti a nostalgia e rimpianto, «non ruppi mai il mio giuramento. Non crollai, non mi arresi, non mi abbandonai all’apatia della tristezza e non mi ripiegai su me stesso», neanche quando gli arriva la notizia della morte del padre.
Mentre donna Aurora si aggrava, Marìa è costretta a scomparire dal manicomio, e ci riesce con l’aiuto di Germàn… Germàn incontra Lupe quando vorrebbe tornare in Svizzera e invece si ferma in Spagna, in un altro ospedale… donna Aurora si spegne e porta con sé i suoi pensieri aggrovigliati.
Un libro che racconta la storia di donna Aurora, scritto da Germàn, una volta pubblicato diventa un successo e Marìa, che riesce dopo mesi a procurarselo, scopre, nella terza pagina, che è dedicato anche a lei.
Il franchismo, le sparizioni improvvise, la mancanza di libertà, le rappresaglie, un cattolicesimo bigotto percorrono le pagine di questo romanzo e spiegano, forse meglio di un trattato di storia, la durezza di una dittatura.
Almudena Grandes si conferma una scrittrice dal grande carisma, capace di comporre un quadro articolato e aggrovigliato che, a fine lettura, appare chiaro in tutta la sua drammaticità.
Luciana Grillo - [email protected]
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