Autonomie di Trento e Bolzano, una storia da rileggere oggi / 16
Tra terrorismo e diplomazie – Di Mauro Marcantoni
Il terrorismo non era finito, la Notte dei fuochi non aveva spento tutte le sue scintille.
Il 27 agosto del 1964 a Perca, in Val Pusteria, un ordigno esplosivo investì in pieno un automezzo militare, ferendo gravemente quattro alpini.
Il 30 agosto un vice brigadiere della Guardia di Finanza venne ferito da uno sconosciuto a cui aveva intimato l’alt. Il 2 settembre colpi d’arma da fuoco vennero esplosi contro il presidio della Guardia di Finanza a Passo del Rombo.
Il giorno successivo, infine, un gruppo di terroristi assaltò la caserma dei carabinieri di Selva dei Molini, in Val Aurina. Vittorio Tiralongo fu ferito a morte.
Ecco l’avvio della fase più efferata del terrorismo altoatesino, di matrice neonazista e pangermanista.
Il catalizzatore del movimento era Norbert Burger. Sotto la sua spinta il BAS cambiò radicalmente la propria natura, divenendo un vero e proprio movimento di estrema destra.
Mutarono l’ispirazione, le tecniche e gli obiettivi delle azioni terroristiche. Se prima i bersagli privilegiati erano i tralicci dell’alta tensione e i simboli dell’oppressione fascista, ora si cominciava a sparare all’uomo e a cercare le stragi.
Il 9 settembre cinque carabinieri rimasero feriti in un attentato in Val Pusteria, sulla strada Rasun-Anterselva.
Il 10 un altro carabiniere fu ferito nel corso di una sparatoria, a Montassilone di Gais.
Il 9 ottobre, in Alta Val Venosta, morì anche un terrorista, il venticinquenne Friederich Rainer, dilaniato dallo scoppio della carica di tritolo destinata a distruggere l’Ossario degli Alpini caduti nella Prima guerra mondiale.
Gli attentati continuarono di fatto fino ai primi di dicembre, quando a Verona venne distrutto il monumento a Carlo Ederle.
In quelle settimane l’attenzione della stampa italiana sulla vicenda altoatesina si fece estremamente viva, con commenti e dure prese di posizione nei confronti di Austria e Germania, cui veniva imputata una responsabilità morale, se non materiale, nell’escalation di attentati.
Le bombe e le polemiche non avevano, tuttavia, interrotto l’opera delle diplomazie. Grazie al lavoro della Commissione mista, le posizioni di Italia e Austria registrarono proprio in quel periodo un sensibile avvicinamento.
Il 16 dicembre, a Parigi, nel corso di una conferenza tra i Ministri Saragat e Kreisky tenuta segreta per evitare il riflesso di azioni terroristiche, si arrivò addirittura alla definizione di un’ipotesi di intesa globale tra i due Paesi.
Si trattava di quello che sarebbe passato alla storia come «Pacchetto Saragat-Kreisky», senza dubbio un importante risultato diplomatico, nelle relazioni italo-austriache.
Una significativa novità, introdotta in quell’ipotesi di intesa globale, concerneva la definizione degli obblighi reciproci di Italia e Austria.
L’Italia avrebbe dovuto adottare, sul piano interno, tutta una serie di misure, in larga parte già previste dalla Commissione dei 19, mentre l’Austria, da parte sua, avrebbe dovuto rilasciare la cosiddetta «Quietanza liberatoria», subito dopo l’annuncio delle misure al Parlamento da parte del Governo italiano.
Una Corte arbitrale avrebbe vigilato, al fine di accertare se questo fosse effettivamente avvenuto nell’arco di quattro anni.
Restava però da verificare se quelle ipotesi di soluzione potevano essere condivise dai diretti interessati: i sudtirolesi.
Il 15 novembre del 1964 si tennero le elezioni regionali.
In Trentino la Democrazia Cristiana si riconfermò il partito di maggioranza assoluta, pur con qualche perdita a favore del Partito del Popolo Trentino Tirolese.
La nuova Giunta regionale si configurò come una coalizione di centrosinistra, composta da Democrazia Cristiana, Partito Socialdemocratico e Partito Socialista. Luigi Dalvit venne riconfermato Presidente.
La Volkspartei, che nel suo messaggio elettorale aveva fatto riferimento alle conclusioni della Commissione dei 19, considerate come la base per avviare un’azione politica coerente, intransigente e pacifica, rifiutò di partecipare alla Giunta, sostenendo che la questione sudtirolese era ancora aperta.
Mauro Marcantoni
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