56° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/ 2022

Dal capitolo «Comunicazione e media»: Solo il 35% degli italiani attinge pienamente a tutti i media – Il 44,8% ignora i mezzi stampa perché si appoggia ai social

Le diete mediatiche di fronte al virus. L’andamento della spesa delle famiglie per i consumi mediatici nell’intervallo di tempo tra il 2007 (l’ultimo anno prima della grande crisi economica e finanziaria internazionale) e il 2021 evidenzia come, mentre il valore dei consumi complessivi ha subito una drastica flessione, senza ancora ritornare ai livelli antecedenti il 2008 (-8,0% in termini reali è il bilancio alla fine del 2021, con l’aggravamento dovuto alla pesante recessione del 2020), la spesa per l’acquisto di telefoni ed equipaggiamento telefonico ha segnato anno dopo anno un vero e proprio boom, di fatto moltiplicando per quasi sette volte il valore (+572,0% nell’intero periodo, per un ammontare prossimo ai 7,9 miliardi di euro nell’ultimo anno), quella dedicata all’acquisto di computer, audiovisivi e accessori ha conosciuto un rialzo rilevantissimo (+138,9%), mentre i servizi di telefonia e traffico dati hanno conosciuto un assestamento verso il basso per effetto di un radicale riequilibrio tariffario (-20,7%, per un valore comunque pari a 14,7 miliardi di euro sborsati dalle famiglie italiane nell’ultimo anno) e, infine, la spesa per libri e giornali ha subito un vero e proprio collo (-37,7%).
L’80,2% degli italiani ha superato il digital divide, ma solo il 35,4% della popolazione attinge pienamente a tutti i media: si tratta di chi ha una dieta mediatica veramente completa.
Ad essi si aggiunge un 44,8% di persone a cui mancano completamente i mezzi a stampa.
Proprio a questi ultimi è dovuto l’incremento notevole registrato nell’ultimo biennio degli utenti di internet, visto che nel 2019 erano attestati al 37,3%, cioè 7,5 punti percentuali in meno del 2021.
 
 Il press divide non solo dei giovani
Nel 2021 il numero degli italiani estranei ai mezzi a stampa ha raggiunto la quota del 57,0%, poco oltre il 55,2% del 2019, ma comunque sempre in costante ascesa.
Il fatto che questo risultato sia il frutto di una diminuzione dell’incidenza delle diete solo audiovisive, accompagnata da un notevole incremento dell’uso abituale di internet, mostra che non abbiamo a che fare con un processo residuale, ma, al contrario, caratteristico dell’evoluzione che stiamo vivendo nel rapporto con i mezzi di comunicazione.
Il dato relativo ai giovani è sceso dal 65,4% del 2019 al 62,9% del 2021, rimanendo pur sempre altissimo.
Sono le classi d’età intermedie ad aver abbandonato di più la lettura dei testi a stampa, mentre anche tra i più anziani c’è stato un leggero miglioramento (dal 53,7% al 52,9%).
In definitiva, sono le fasce d’età più produttive ad allontanarsi maggiormente dall’abitudine alla lettura.
Questa tendenza si registra tra le persone meno istruite, che passano dal 60,2% al 65,6%, mentre la percentuale scende leggermente tra i più istruiti (dal 49,6% al 48,4%).
 
 Il bello e il brutto di internet  
Più della metà degli italiani apprezza gli aspetti positivi offerti dalle tecnologie digitali nel corso della pandemia. Il 58,6% dichiara che i dispositivi digitali hanno permesso di provvedere alle proprie necessità, per il 55,3% hanno aiutato a mantenere le relazioni sociali, per il 55,2% grazie ad essi si è potuto continuare a lavorare o a studiare, mentre il 52,9% ammette anche che ha potuto scoprire cose nuove e inaspettate.
Più della metà degli italiani (il 52,8%), però, dichiara che adesso si sente stanco dell’uso continuo dei dispositivi digitali e vorrebbe «staccare la spina».
I dispositivi digitali fanno perdere troppo tempo secondo il 32,2% degli italiani, che nel 31,5% dei casi avvertono il bisogno di connettersi continuamente.
Per non parlare di quel 22,8% che dichiara di non riuscire a disconnettersi mai.
 
 Le nuove tecnologie e le prospettive del lavoro  
Se nel 2016 solo il 21,6% degli italiani riteneva che le nuove tecnologie potessero creare nuova occupazione, nel 2021 la percentuale è arrivata al 30,7%, superando, anche se di poco, il 30,5% di quanti le ritengono invece in grado di distruggere occupazione.
È anche diminuita la quota di chi le ritiene indifferenti (dal 46,0% al 38,8%), inducendo a pensare che sia stata la maggiore confidenza con questi strumenti a determinare un aumento dell’ottimismo nei loro confronti. T
ra i più giovani c’è stato un netto spostamento di quanti non ritenevano ci fosse una influenza delle tecnologie digitali sull’occupazione (dal 49,4% del 2016 al 36,6% del 2021) verso quelli che invece le ritengono capaci di creare occupazione (dal 22,2% al 35,9%).