L’Odissea delle persone affette da disturbi della mobilità
Un lettore ci scrive: «La notizia della scomparsa di uno studente fiorentino dovrebbe risvegliare la coscienza sociale delle nostre comunità»
Egregio Direttore,
La nostra comunità è ormai un costante susseguirsi di relazioni umane intrise di un senso di egoismo e noncuranza che rischia di trasformarsi in una piaga sociale senza precedenti.
Catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle mancanze e sulle sofferenze del più debole sembra ormai quasi desueto.
Eppure, al di là delle copertine dei giornali e dei programmi TV che cercano di gettare un fascio di luce sul volto tristemente oscuro della nostra cara Italia, è necessario parlare con forza e con coraggio delle vicende che per qualcuno rendono la vita sempre meno degna di essere vissuta.
Niccolò era uno studente fiorentino; ligio al dovere universitario, ogni mattina percorreva la strada che da Piazza SS. Annunziata conduce a Piazza Brunelleschi, nel cuore del capoluogo toscano. 400 metri di distanza che - a causa dei dissesti del terreno - sembravano essere chilometri e chilometri di difficoltà da superare ogni giorno per esercitare un diritto più che dovuto, scontato, e quasi banale: il diritto all’istruzione.
La scomparsa di un giovane - morto a seguito di una caduta dalla carrozzina che si era incastrata in una buca - dovrebbe essere il punto di partenza da cui comprendere che, al di là della superficialità con cui spesso si liquida la questione, è importante spendere le dovute energie per dare vita a un tessuto urbano che sia di facilitazione - e non di ostacolo - per le persone affette da disturbi che limitano la mobilità.
Cosa fare nel concreto? Qual è il primo passo con cui mobilitare una coscienza collettiva sempre più assopita e dormiente?
La situazione trentina non versa in condizioni migliori: il centro storico si Trento impedisce, in parte, a quanti sono affetti da problemi motori di godere in autonomia delle bellezze locali, le infrastrutture sono spesso un ostacolo insormontabile e le botteghe (alcune) pluripremiate dal Comune sono delle trappole da cui è necessario fuggire.
Il rispetto non è un valore elitario; il rispetto si esplica nel comportamento consapevole di un cittadino che si adopera per la collettività al fine di valorizzare ogni singolo tassello del puzzle che compone la nostra società.
I parcheggi per disabili non sono un vezzo o un capriccio degli individui con mobilità ridotta, i sanpietrini che sporgono dal terreno non sono un fastidio di poco conto da saltare a piè pari.
Una buca nell’asfalto non è stata nemmeno trascurabile per Niccolò, che ha perso la vita percorrendo la strada verso la sua università.
Quanto ancora dovremmo aspettare prima che la situazione prenda una piega differente? L’Odissea delle persone affette da disturbi della mobilità deve concludersi, e a scrivere la parola Fine dobbiamo essere tutti noi.
Gian Piero Robbi