Anoressia nervosa e genetica – Di Nadia Clementi
A che punto siamo? Lo chiediamo alla dottoressa Laura Dalla Ragione e al professor Tommaso Beccari
Laura Dalla Ragione.
L’anoressia è uno dei disturbi alimentari più frequenti. Insieme alla bulimia colpisce almeno 3 milioni di italiani, secondo i dati più recenti del ministero della Salute, nel 95,9% dei casi si tratta di donne (con un range che va da 8-9 anni a oltre 40).
Ma i rapporti di guarigione sono ritenuti ancora insoddisfacenti, anche a causa dei motivi dell’insorgenza di questo disturbo.
Secondo gli esperti si tratta di una serie fattori (ambientali, psicologici, etc.), ma un ruolo determinante sembra sia svolto anche dal patrimonio ereditario e in particolare da 8 geni.
A dirlo sono i risultati di uno studio, condotto da un team del King’s College di Londra e dell’università della Carolina del Nord (USA), pubblicato su Nature Genetics.
Le scoperte potrebbero aprire la strada a un nuovo approccio alle cure, che si rendono sempre più necessarie per quella che è la terza più comune malattia cronica fra i giovani, con possibili conseguenze anche mortali (6% per l’anoressia nervosa).
Le percentuali di guarigione per questa malattia sono attorno al 50-60%.
L’anoressia nervosa è una malattia che comporta un grave carico di sofferenza alle persone che ne soffrono e alle loro famiglie.
Nelle forme più serie, impedisce di avere una vita normale e causa problemi nella salute fisica tali da aumentare la mortalità di 10 volte rispetto alle persone sane della stessa età.
Le conseguenze a lungo termine non riguardano solo le ossa (osteoporosi precoce) e il sistema nervoso centrale, ma tutto il corpo risente della malnutrizione.
Per saperne di più abbiamo contattato la dottoressa Laura Dalla Ragione psichiatra e psicoterapeuta, direttore della rete DCA USL 1 dell'Umbria, per i Disturbi del Comportamento Alimentare in età pediatrica e dell’età evolutiva (qui il Curriculum) e il prof. Tommaso Beccari, Professore di Biochimica Dipartimento di Scienze Farmaceutiche, Università degli Studi di Perugia (qui il Curriculum).
Dottoressa Dalla Ragione che cos’è l’anoressia nervosa?
«È una grave patologia psichiatrica, classificata in tutte le sue forme nel DSM V, Manuale Diagnostico delle Patologie Mentali) con un andamento molto severo che, se non curata, può portare anche alla morte.
«È molto rilevante la percentuale di suicidi in questa patologia, in un rapporto di 1:6.
«L’ultima classificazione ha allargato molto i precedenti criteri diagnostici (perdita di peso rilevante, ossessione per il cibo e forme corporee e amenorrea), eliminando il criterio della amenorrea. Questi nuovi criteri ci hanno permesso di includere anche i casi di bambini in età prepubere, i maschi, e gran parte dei disturbi sottosoglia.»
Come si caratterizza? Quali sono i sintomi o segnali che devono destare preoccupazione?
«La Anoressia Nervosa si caratterizza con una intensa ossessione per il cibo e forme corporee, con una restrizione estrema e iperattività. Ma fondamentalmente, accanto ai segnali collegati alla alimentazione (riduzione della quantità e eliminazioni di categorie di cibi considerati fobici come carboidrati e zuccheri) è che assistiamo ad un grande cambiamento di carattere, i pazienti da che erano solari, socievoli, brillanti, diventano tristi, chiusi, irritabili.»
Quali sono le cause dell’anoressia e fattori di rischio?
«È una patologia sicuramente multifattoriale con cause psicologiche, caratteriali, familiari, culturali, genetiche.
«I fattori di rischio per un esordio precoce di DCA sono senz’altro aumentati: i modelli culturali della magrezza a cui i bambini sono sempre più esposti attraverso i mass media, ma anche attraverso la famiglia, la scuola e i luoghi di aggregazione; abitudini alimentari scorrette e sempre meno regolari in ambito familiare; l’aumento dell’incidenza dell’obesità infantile e sicuramente eventi traumatici.
«Abbiamo assistito a un grande aumento della patologia a seguito della pandemia e del lockdown, che è stato un evento davvero traumatico.
«Le patologie alimentari hanno preso il posto di altre forme di disagio, non a caso sono diminuite le forme depressive dell’adolescente e le tossicodipendenze.»
Chi sono le principali vittime di questo disturbo? Quali le fasce d’età? Più maschi o più femmine?
«È attualmente in corso una indagine epidemiologica del Ministero della Salute Progetto CCM 2019-2020. Dai primi dati emersi è confermato l’abbassamento dell’età di esordio, una omogeneità di prevalenza e incidenza nelle diverse regioni, ma anche un tasso di mortalità molto alto, intorno al 10% della popolazione colpita.
«L’incidenza dell’anoressia nervosa, cioè il numero dei nuovi casi di una malattia in una popolazione definita in un determinato periodo di tempo, è stimata essere di almeno 8 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra le donne, mentre è compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra gli uomini.
«L’incidenza della bulimia nervosa è stimata essere di almeno 12 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra le donne e di circa 0,8 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra gli uomini.
«Nella popolazione generale di età maggiore di 18 anni sono stati stimati tassi di prevalenza life time, cioè la percentuale di una popolazione che sviluppa una determinata malattia nel corso della sua vita, dello 0,9% per l’anoressia nervosa, dell’1,5% per la bulimia nervosa e del 3,5% per il BED tra le donne, mentre i tassi corrispondenti negli uomini sono stati trovati essere dello 0,3%, dello 0,5% e del 2%.
«Nelle donne di età compresa tra i 18 e i 24 anni, i tassi sono molto più elevati: 2,0% per l’anoressia nervosa, 4,5% per la bulimia nervosa e 6,2% per il BED e i disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati. Tutti i disturbi dell’alimentazione sono più frequenti nella popolazione femminile che in quella maschile.
«Negli studi condotti su popolazioni cliniche, gli uomini rappresentano il 5-10% di tutti i casi di anoressia nervosa, il 10-15% dei casi di bulimia nervosa e il 30-40% dei casi di BED. Gli uomini con disturbi dell’alimentazione non sembrano differire sostanzialmente dalle donne per età di esordio, insoddisfazione per il proprio corpo, metodi di controllo del peso, caratteristiche cliniche ed evolutive.
«Sia nell’anoressia nervosa sia nella bulimia nervosa, la fascia di età in cui l’esordio si manifesta più spesso è quella tra i 15 e i 19 anni. Alcune osservazioni cliniche recenti hanno segnalato un aumento dei casi a esordio precoce. Questo aumento è in parte spiegato dall’abbassamento dell’età del menarca osservato negli ultimi decenni, ma potrebbe anche essere collegato a un’anticipazione dell’età in cui gli adolescenti sono esposti alle pressioni socio-culturali alla magrezza, attraverso mezzi di comunicazione come internet.
«Ad oggi non sono comunque infrequenti casi di anoressia nervosa e bulimia nervosa a esordio tardivo che sono associati ad un maggiore rischio di cronicità e a una maggiore presenza di disturbi psichiatrici in comorbidità, come ansia e depressione.
«Nell’anoressia nervosa, il tasso di remissione è del 20-30% dopo 2-4 anni dall’esordio e del 70-80% dopo 8 o più anni. Nel 10-20% dei casi si sviluppa una condizione cronica che persiste per l’intera vita, danneggiando gravemente il funzionamento interpersonale e la carriera scolastica o lavorativa. Fattori prognostici favorevoli sono la giovane età e la breve durata del disturbo, mentre fattori prognostici sfavorevoli sono la presenza di problematiche mediche o psichiatriche coesistenti.
«Circa il 30% dei pazienti presenta un viraggio verso la bulimia nervosa o un disturbo dell’alimentazione non altrimenti specificato, di solito entro i primi 5 anni dall’esordio della malattia.
«Il rischio di morte per una persona con diagnosi di anoressia nervosa è 5-10 volte maggiore di quello dei soggetti sani della stessa età e sesso. Il suicidio costituisce circa il 20% di tutte le cause di morte, mentre le complicanze mediche acute e croniche (soprattutto le infezioni, la deplezione di proteine e le alterazioni elettrolitiche) sono le cause più frequenti.
«In Italia i disturbi del comportamento alimentare coinvolgono approssimativamente due milioni di giovani: su 100 adolescenti circa 10 ne soffrono; di questi 1-2 presentano forme conclamate e più gravi come l’Anoressia e la Bulimia mentre gli altri hanno manifestazioni cliniche transitorie e incomplete. (Dalla Ragione L., 2005.).
«Secondo dati aggiornati a novembre del 2006, forniti dal Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, la prevalenza dell’Anoressia Nervosa e della Bulimia Nervosa in Italia sarebbe rispettivamente dello 0.2%-0.8% e dell’1%-5%, in linea con quanto riscontrato in molti altri paesi.»
A seguito dei primi «campanelli d’allarme» a chi ci si deve rivolgere qual è lo specialista di riferimento?
«Il trattamento per i Disordini Alimentari è sempre multidisciplinare con il coinvolgimento di più figure professionali: psicologi, nutrizionisti, psichiatri, educatori, infermieri, psichiatri.
«È un lavoro a 360 gradi che deve coinvolgere la mente e il corpo entrambi profondamente colpiti.»
Come viene diagnostica l’anoressia nervosa?
«Dalla rilevazione di segni clinici legati alla grave malnutrizione: perdita di peso, osteoporosi, squilibri elettrolitici, danni cardiocircolatori, ipotermia, squilibri ormonali. Accanto segnali psicopatologici: depressione, ossessioni sul cibo e forme corporee, ansia, insonnia, irritabilità.»
Come si cura con quali farmaci?
«Purtroppo le terapie psicofarmacologiche nella anoressia sono a oggi poco efficaci, non agiscono infatti sul nucleo ossessivo. Usiamo gli psicofarmaci nel 30% dei casi, quando è presente una comorbidità [la coesistenza di più patologie diverse in uno stesso individuo - NdR] importante.»
Quali sono le terapie più aggiornate per l’anoressia?
«Dal punto di vista psicologico, la terapia cognitivo-comportamentale continua ad essere l’approccio privilegiato nel trattamento degli adulti, in particolare nella forma migliorata proposta da Fairburn (CBT-E).
«La CBT-E è efficace per la bulimia nervosa e altri disturbi dell’alimentazione infatti in soggetti normopeso circa la metà dei pazienti va in remissione e mantiene i risultati. Circa il 30% dei pazienti affetti da anoressia nervosa e trattati a livello ambulatoriale ottiene un successo con la CBT-E; la percentuale è leggermente superiore se si considera la fine del trattamento in regime di ricovero.
«Nella sua revisione della letteratura Waller fa comunque notare che l’efficacia di questo approccio dovrebbe essere riletta alla luce di dati scientifici più rigorosi.
«In primo luogo servirebbe un confronto fra la CBT-E e le altre forme di CBT esistenti perché non è chiaro se la CBT-E rappresenti un miglioramento o semplicemente una più ampia applicazione dei principali metodi CBT nei disturbi dell’alimentazione.
«In secondo luogo deve essere chiarito quale forma di CBT-E si sta prendendo in considerazione (se la sua forma allargata o focalizzata) dato che la mancanza di differenza nei risultati fra le due versioni è stata seguita più recentemente dall’adozione di una versione ibrida, basata sull’originale forma focalizzata, che però incorpora il modulo Intolleranza alle emozioni della versione allargata.
«In terzo luogo, altre terapie strutturate che si basano su un modello cognitivo ma comprendono altri elementi (ad esempio l’affettività) possono essere efficaci come la CBT-E in pazienti non sottopeso e questo apre la possibilità al fatto che il livello di struttura della terapia sia la chiave dei buoni risultati, forse tanto quanto il contenuto. Infine dovrebbe essere considerata la natura della CBT che viene implementata perché ad esempio, non è ancora chiaro se la CBT ambulatoriale sia efficace per i casi di anoressia nervosa di lunga data.
«La ricerca negli ultimi anni ha valutato anche l’efficacia di altre terapie per adulti affetti da anoressia nervosa in particolare la Gestione Clinica Specialista di Supporto (SSCM), il modello Maudsley di trattamento per l’anoressia nervosa negli adulti (MANTRA) e la Terapia Dialettica Comportamentale (DBT).
I primi risultati della SSCM sono stati promettenti, ma studi successivi hanno suggerito un tasso di recupero ambulatoriale che si assesta intorno al 15%.
«La terapia MANTRA progettata per essere più complessa rispetto alla CBT, riporta risultati notevolmente inferiori a quelli della CBT-E, con un tasso di recupero simile a quello della SSCM. La DBT in una sua versione open-DBT, è stata sviluppata per l’anoressia nervosa con particolare attenzione alla componente compulsiva. Fino ad oggi, è stata testata solo in pazienti ricoverati, con un gran numero di dati mancanti e un tasso di recupero intorno al 15-20%.
«Quindi, anche se con la CBT-E il tasso di recupero del 30% per l’anoressia nervosa è senza dubbio più debole rispetto ai casi non-sottopeso, risulta comunque notevolmente più alto rispetto alle altre terapie. Tuttavia, Waller sottolinea che la maggior parte delle terapie sopra elencate ha un ragionevole tasso di parziale recupero/miglioramento per l’anoressia nervosa, suggerendo come ognuna abbia un potenziale di miglioramento.
«Un’altra terapia è la Cognitive Remediation Therapy (CRT) utilizzata per affrontare la mancanza di flessibilità cognitiva associata in particolar modo all’anoressia nervosa. Alcune evidenze da studi controllati e randomizzati indicano che la CRT è efficace nel mitigare alcuni aspetti della patologia dell’alimentazione e nel migliorare l’adesione ad altre terapie, anche se i benefici non sembrano sempre riconducibili alla prevista maggiore flessibilità cognitiva. Rimane, inoltre, da chiarire se gli effetti di una CRT aggiuntiva sono associati agli esiti positivi di altre terapie e se la CRT è utile nel migliorare la flessibilità cognitiva indipendentemente dall’impatto della ri-alimentazione nei pazienti malnutriti.
«Infine, si sono dimostrate efficaci una serie di programmi di sostegno individuali e di gruppo, mirati al supporto per gli altri significativi con riduzione dei livelli di stress, ma rimane da stabilire se abbiano un chiaro beneficio in termini di riduzione dei sintomi dei pazienti.
«Per quanto riguarda le varie terapie psicologiche ad oggi disponibili per gli adolescenti, il Trattamento Basato sulla Famiglia (FBT) si è dimostrato superiore ad altri approcci individuali, in termini di velocità o livello di recupero, per pazienti con anoressia nervosa. Per i bambini e gli adolescenti è raccomandata la Terapia Familiare focalizzata per l’anoressia nervosa (FT-AN).»
Quali sono le conseguenze? Qual è l’aspettativa di vita per le persone che soffrono di anoressia nervosa?
«Se la patologia non è curata le aspettative di vita sono molto basse, intorno ai 30-35 anni.
«È una patologia cronica, estremamente invalidante, che riduce moltissimo la qualità della vita. Per questo è molto importante arrivare precocemente alle cure, nel primo anno di storia di malattia.»
Si può guarire?
«Assolutamente sì, oggi i risultati delle terapie per l’anoressia sono molto confortanti. Ma la prognosi di queste patologie dipende da due fattori: la precocità della diagnosi e la tempestività dell’intervento, che deve avvenire nel primo anno di storia di malattia. È una patologia che tende a cronicizzare e a recidivare.»
Come aiutare gli adolescenti e cosa devono fare i genitori?
«È molto importante lavorare con gli adolescenti sulla loro autostima, sulla loro immagine corporea, sulla loro difficoltà a sentirsi adeguati. Consideriamo anche che l’obesità infantile è un grave fattore di rischio per i disordini alimentari.
«I genitori, appena notano un cambiamento continuativo nelle abitudini alimentari, associato ad un vistoso cambio di carattere devono sospettare un Disordine alimentare. Esiste un Numero Verde della Presidenza del Consiglio 800180969 e un sito dove sono censiti tutti i Centri accreditati dal Ministero della salute www.disturbialimentari.it»
In attesa di nuove cure, cosa possiamo fare in termini di prevenzione?
«Possiamo tenere sotto controllo alcuni fattori di rischio come l’obesità infantile e i Disturbi selettivi dell’alimentazione.
«Il Ministero ha individuato quattro aree dove è possibile intervenire: la scuola, il mondo dello sport, la diet industry, i mass media. Con campagne specializzate e con controllo della diffusione di modelli culturali e mode pericolose.»
Dott.ssa Laura Dalla Ragione e-mail: [email protected]
Centro DCA Palazzo Francisci Via Cesia Todi 075-8943302
Prof. Tommaso Beccari.
Prof. Beccari, ci parla dei risultati dello studio, condotto da un team del King’s College di Londra e dell’università della Carolina del Nord (USA), pubblicato su Nature Genetics riguardante la genetica?
«Si tratta di una ricerca pubblicata nel 2019 e effettuata su 16.992 pazienti affetti da anoressia nervosa volta ad identificare variazioni genetiche associate con la patologia. I risultati ottenuti sono di grande interesse scientifico e permettono di affermare che esiste una correlazione genetica con disordini psichiatrici e metabolici.
«L’anoressia alla luce di questi risultati può essere considerata una malattia psichiatrica-metabolica. La ricerca ha portato all’identificazione di otto loci significativamente correlati all’ anoressia il cui ruolo fisiologico necessita di ulteriori e approfonditi studi. Certamente alla luce di questi risultati saranno da rivalutare sia i metodi di diagnosi che lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche.»
Oggi la comunità scientifica accetta che ci sia una componente epigenetica, oltre a quella familiare, psicologica e traumatica, che contribuisce all’espressione del disturbo. C’è concordanza sul fatto che una vulnerabilità genetica possa far sì che la persona esposta agli altri fattori sviluppi più facilmente un disturbo alimentare?
«Sicuramente la comunità scientifica è concorde nel dire che esiste una componente genetica della malattia. Grazie ai primi studi effettuati su fratelli gemelli possiamo affermare con certezza che l’anoressia ha una ereditabilità del 48-74%. Ad oggi l’importanza dell’epigenetica sullo sviluppo dell’anoressia nervosa non è stata ancora dimostrata e gli studi effettuati sono tra loro discordanti.
«Bisogna precisare che l’epigenetica è uno studio molto difficile da effettuare che necessità di un buon quantitativo di materiale di partenza. Inoltre, al contrario della genetica che può essere fatta su qualsiasi tipo di campione (dal prelievo ematico al campione di saliva), l’epigenetica varia in base al materiale di partenza. Infatti il nostro patrimonio genetico, il nostro DNA, rimane invariato nel corso del tempo ed è lo stesso in ogni singola cellula del nostro corpo, mentre l’epigenetica, tutte le modificazioni che vengono scritte sopra il DNA variano nel tempo, variano dopo la somministrazione di farmaci, variano con lo stile di vita, con la dieta, dopo una malattia e possono essere diverse da un organo all’altro, da una cellula all’altra.
«Le ricerche effettuate sulla metilazione dei geni, che è indubbiamente una delle modifiche epigenetiche più studiate perché è responsabile dell’accensione o dello spegnimento di un gene, non sono state conclusive. Infatti due ricerche evidenziano una ipometilazione genica, una ricerca una ipermetilazione e un’altra ricerca nessuna variazione nella metilazione.
«Come tutti gli studi di epigenetica, vari fattori possono avere portato a queste diverse conclusioni, in primis un diverso materiale di partenza (ad es. linfociti vs cellule di sfaldamento della bocca) e solo ulteriori e più stringenti ricerche potranno indicarci il ruolo dell’epigenetica associato all’anoressia nervosa.
«Indubbiamente la metilazione del DNA è stata associata a diverse patologie, come Alzheimer, autismo, schizofrenia e sarà quindi molto interessante approfondire questo aspetto anche per i disturbi del comportamento alimentare.
«Non dobbiamo dimenticarci che questo tipo di variazioni (non permanenti) a carico del nostro DNA avvengono prevalentemente in regioni con un alto contenuto di isole CpG e lo studio di polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) saranno molto utili per aprire la strada a queste nuove indagini.
«Ad oggi i geni maggiormente studiati per la metilazione sono i recettori dopaminergici (DRD2 e DRD4), alcuni pro-ormoni come la pro-opiomelanocortina (POMC), il gene per la leptina e per la grelina, il fattore neutrofico cerebrale (BDNF) e alcuni recettori per i cannabinoidi (CB1).»
Nei casi di anoressia genetica, le cure potrebbero cambiare in che modo?
«Certamente la comprensione dell’influenza della genetica sull’anoressia nervosa potrà in futuro cambiare anche il tipo di cure. Questo cambiamento sul tipo di terapia potrà essere generalizzato a tutti i pazienti affetti da anoressia, ma anche essere personalizzato a seconda delle mutazioni e dei geni coinvolti.»
Sempre riguardo l’anoressia genetica è in corso una ricerca medico-scientifica condotta in collaborazione con il laboratorio di genetica MAGI. Vuole parlarci di questo importante progetto?
«La collaborazione con Il Dr. Matteo Bertelli risale a molti anni fa ed è iniziata con le malattie genetiche di accumulo lisosomiale e più recentemente si è focalizzata sulla genetica dei disturbi alimentari, in particolare l’anoressia nervosa.
«L’approccio che è stato seguito non è per il momento di natura epigenetica ed è diverso dagli studi effettuati sugli SNP (Polimorfismi a singolo nucleotide) che comprendono la maggior parte delle ricerche finora effettuate.
«La ricerca si è concentrata esclusivamente su pazienti che mostravano una familiarità per questo tipo di disturbo (almeno uno o più familiari affetti). Sono stati arruolate intere famiglie, in modo tale da vedere come certe modifiche a carico del DNA potessero segregare, essere quindi ereditate, all’interno della famiglia.
«Il team di ricercatori del Dr. Bertelli ha effettuato la sequenza di interi geni, una strategia che si chiama candidate gene. Per questo motivo abbiamo svolto un’approfondita ricerca su quali potessero esser i geni coinvolti nell’anoressia nervosa (geni che regolano la sazietà, geni correlati a segnali neuronali, etc).
«Sono stati così selezionati 453 geni che sono stati completamente sequenziati e analizzati per la presenza di mutazioni e polimorfismi (cambiamenti presenti in almeno l’1% della popolazione generale che proprio per questo motivo non possono essere considerate mutazioni).
«L’analisi genetica è ancora in corso ma sono emersi interessanti risultati su alcuni geni (PDE11A, BDNF, CACNAC1, PTGS2 e altri).
«Allo studio genetico seguirà anche un’analisi biochimico-funzionale delle proteine codificate dai geni interessati. Lo scopo principale è quello di identificare i meccanismi molecolari che sono alla base della patologia e che sono di fondamentale importanza per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche. Infine grazie a questo tipo di studio si potranno migliorare i metodi di diagnosi.»
Prof. Tommaso Beccari - [email protected]
Nadia Clementi - [email protected]