Modi de dir 'n trentìm/ 27 – Di Cornelio Galas

27ª puntata dei modi di dire e frasi fatte della tradizione dialettica trentina

O DÉNT O FÒRA – Perentorio «invito» a prendere una decisione su dove stare. In casa o fuori. In cucina o sul balcone. Di solito arriva dalle donne ai mariti, ai figli che vagano senza mèta proprio quando si sta per lavare il pavimento. Particolarmente pressante la richiesta in caso di maltempo. «Dài, dént o fòra che se nò m’engiàzzo a star chi a spetàr cosa te voi fàr».
 
NO GH’E’ ZERÒTI CHE TEGNA – Per dire che non c’è niente da fare. Inutile attaccare cerotti ad una “ferita” (situazione, prospettiva di solito nefasta, azione impossibile) che sarà difficile curare. E quindi risolvere. A volte basta la prima parte: «No gh’è zeròti». Simile al già citato «No gh’è mal de bàle».
 
L’HO VIST MAL – Rapporto sulle condizioni (perlopiù di salute) di qualcuno incontrato recentemente. Può anche essere una sorta di radiografia fatta de visu: «Oscia, ma sat che te vedo mal, propri mal…». Possibili risposte. Nel primo caso: «Ah ma l’è da ’n pèz sàt che l’è così…». Secondo caso: «Gnanca mi se l’è per quel te vedo meio…».
 
ANCÒI NO SÓN DAL VÈRS – Oggi non mi sento bene, oggi non ne ho voglia. «Te séi dei nosi stasera?» «No, ancoi non son dal vèrs.»
 
SCANTONAR – Mettere qualcosa in un ripostiglio. Nascondere. «Vara che ho trovà quei giornai veci che te zerchèvi: i era scantonài drio l’armàr…». Ma anche deviare dal tema, parlare d’altro, sfuggire al “redde rationem”. «No serve a gnènt che te te scantóni… Questa l’è la verità, diàolpòrco».
 
PICH E BAÌL – Piccone e badile. Come dire «Forza, al lavoro!». Abbinamento di attrezzi che prelude a scavi, a lavori edili, certamente a fatica. Va aggiunta quasi sempre la «cariòla» per il trasporto.
 
PONTA E MAZOT – Come sopra, due attrezzi usati di solito per demolizioni, per fare un buco, una traccia per gli impianti elettrici o termici. «Ah, tute l dì co la ponta e mazòt per far quel mistèr… no te digo».

DE CAZUÒLA REVÈRSA – Ti concio per le feste. In realtà, «smaltare con la cazzuola reversa» è un lavoro di fino.
 
ZÀ CHE NO TE GH’AI GNÈNT DA FAR – Tipica frase rivolta ai pensionati, ai disoccupati, ai cassintegrati ma anche a lavoratori momentaneamente non impegnati. Frase destinata a irritare profondamente quello che non avrebbe niente da fare. Prelude a compiti da svolgere per riempire proprio quel “vuoto”. Che a quanto pare tutti notano, tranne gli interessati. La risposta: «Ma se l’è la prima volta stamatina che podo fermarme n’atimo…».
 
DOMAN VEI I MEI – Annuncio della visita di suoceri, cognati, parenti. Non sempre accolta con entusiasmo da generi e affini. «Ma come? No avevente dit che doman se neva a magnar el pés sul lach? No pòdei vegnir n’altro dì?».

TRA LÙS E L’ÀS – L’ùs è l’uscio, la porta. L’às è lo stipite. Come dire tra l’incudine e il martello. Per esteso, né fodrà né embastio.
 
CASCAR COME ’N PÉR – Legge della gravità. Scoperta non a caso da Newton quando gli cadde in testa una mela. La pera dà però, in trentino, un’idea più buffa di questo finir per terra. E meno buffa per quanto riguarda le conseguenze. Per esteso, «boccalone», uno che abbocca.
 
EL GHÈ CASCÀ DÉNT COME EN PÉR – Come sopra, ma rafforzato.
 
SE NO L’E’ ANCÒI L’È DOMÀN – Quando si è incerti sulla data in cui sarà eseguito un lavoro, consegnato qualcosa, mantenuta una promessa. Comunque si pone un limite temporale: al massimo domani. Con l’indicativo “è”. Senza se, senza ma, senza forse.

EL MÉS DEL MIGA, L’ÀN DEL MAI – Risposta negativa a una domanda irricevibile.
 
CONTÈNT COME ’NA PASQUA – Felicissimo. Come se fosse… rinato, resuscitato, dopo un periodo oscuro. O come se non ci fosse nulla di più bello. Naturalmente prima di rompere l’uovo e trovare magari una sorpresa. Ancora più bella. O meno…
 
GH’O CHI ZÈNT – Ho qui gente. Sottinteso: in casa. Segue: «Ciàmeme dopo valà…» o «Te ciamo mi quando i son sol» o ancora «Dai che ne sentìm n’altro moment». Ovviamente si usa anche quando si è soli, una scappatoia per rinviare il dialogo.
 
SÉT TI? – Domanda che si pone nell’incertezza-certezza. Ovvero quando si avverte un rumore provenire dalla porta d’ingresso. Di solito i ladri non rispondono. Se invece si tratta del marito (o della moglie) che rincasa troppo tardi seguirà: «Ma te parelo ore?» Oppure «Almén dì qualcòs, sona ’l campanèl, fate sentir che ho ciapà ’na stremìa…».
 
MA TI NO TE SÉI EL TONI! – Scappatoia per fare marcia indietro. Di solito l’altro risponde: «lo so!»
 
VALÀ VALÀ VALÀ… – Sarcastico. Laddove si retrocede subito in serie inferiore quanto sentito dall’altro. Non è raro che segua: «Còntele men grosse… valà». L’interlocutore comunque non deve tradurre letteralmente: non occorre «andare là». Anche perché non ci sono al riguardo indicazioni precise. A meno che non segua: «Ma và a cagàr valà», magari con l’aggiunta di «mona», vocativo: Ma và a cagàr valà, mona! In questo caso bisogna chiedere subito dove si trova la toilette. Di solito è in fondo a sinistra.
 
NO GH’È SU GNÈNT – Tipica frase al bar da parte di chi legge i giornali cercando qualcosa che gli interessi. Dipende dai gusti ovviamente: c’è chi è attratto dalla cronaca nera, chi dal gossipi, chi dallo sport. Se proprio nulla capta l’attenzione del lettore il giornale resta a disposizione di altri avventori. In caso contrario potrebbe essere sequestrato per ore davanti ad una tazzina di caffè.
 
NO SE FA COSÌ – Riguarda un lavoro non eseguito a regola d’arte. Ma anche un comportamento, un atteggiamento, un’azione. «Dai, no se fa così…». Se il richiamo è indirizzato ai bambini: «T’ho dit che no se fa così. Quante volte devo dirtel?»
 
’SA ÈRONTE DRIO A DIRTE? – Amnesia. Richiesta di aiuto per poter continuare il discorso. Effetto delle eccessive incidentali, parentesi, fughe fuori tema precedenti. Possibili risposte: «Ah se no te’l sai ti…» Oppure: «Ma no erit drio a dirme de to nuora… a proposit, come stàlo so fiòl?»
 
DAVÈRZEME – Aprimi. Di solito ci si riferisce alla porta d’ingresso. Gli altri significati riconducono a Jack lo squartatore. Nel caso di scatole o altri contenitori: «Dai daverzeme ’l ti valà».
 
’NA SCIÀNTA – Piccola quantità. Di liquidi. «Dame’n giust ‘na sciànta». Anche «cinìn». «Basta ’n ci cin… se no fago la bala».
 
EN SCIÒF – Unità di misura tipica trentina, corrispondente a quanto ci sta in un pugno. Al mercato: «La me’n daga en sciòf».
 
TIRALANA – Soprannome di un vecchio titolare di imprese funebri di Arco. Derivava dall’ultimo gesto, professionale, prima della chiusura della bara. Quando tirava appunto il velo bianco interno (non sempre di lana) e diceva, a tutti i cari estinti, senza distinzione: «Ah pora dòna… Ah pòr òm….ah pòr putèl…ah pòra putelòta…». Seguiva il sigillo e il rumore dell’avvitatore.
 
TÈI PUTEL, SALTA FÒR DA QUEL PIGIAMA LÌ…! – Frase che si dice al ragazzino che cerca rogne, per fargli mettere i piedi in terra.
 
SON MÌ – Risposta al telefono fisso, quindi quando non c’erano ancora i cellulari con numero in entrata sul display. Non sempre c’era il riconoscimento vocale. Da qui la replica: «Sì va bèn, ti te sei ti, mi son mi…. ma ti chi vegniresset a esser?».