Importanza della memoria – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista
Quello che è più pericoloso e inquietante è l’indifferenza alla quotidiana espressione di intolleranza e di odio che rende banale e normale la ferocia e il crimine
«Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo…» scriveva Primo Levi. Per questo che la Giornata della memoria ci serve ogni anno, in quanto ci aiuta a non perdere il passato né a fare ingiallire le foto della storia, quella più terribile che non abbiamo vissuto e conosciuto direttamente, ma il cui ricordo però contiene vita e morte, sofferenza e dolore, tempo e sentimenti. Questa è la memoria che va raccontata in continuazione.
Nella giornata della memoria, giustamente rumorosa, quello che conta di più sono le emozioni che i ricordi contengono. Servono storie da raccontare continuamente e ricordi da trasformare giorno dopo giorno.
Non basta l’abbuffata di dibattiti e lezioni sull’orrore, di documenti e proiezioni sull’Olocausto, anche se utile.
Non è sufficiente una memoria episodica delle tragedie accadute. Serve, ma non può ancora bastare a far crescere consapevolezza e coscienza su quella violenza quotidiana che oggi continua a imperversare ovunque.
E nemmeno è sufficiente per contenere le varie forme di prepotenza, come il bullismo divertito dei bambini o la crudeltà fredda e distaccata dei killer seriali delle tante donne uccise.
Ci servono narratori di storie capaci di mobilitare le emozioni e scuotere le coscienze per combattere quella strisciante normalizzazione della violenza che è fenomeno psicologico costante e pervasivo, il cui fil rouge lega lo sterminio di ieri a quello di oggi.
Abbiamo un bisogno vitale di raccontare la memoria ed è necessario che lo sappiano fare per primi i genitori con i loro figli, che sappiano raccontare di loro stessi e del mondo che hanno vissuto, del proprio cammino e delle strade percorse dal genere umano.
Perché i figli di oggi non solo non conoscono la storia del passato, ma sanno poco o nulla dei loro padri.
Non hanno idea dei genitori quando erano giovani o bambini e non sono consapevoli di ciò che è accaduto prima della loro vita perché quei padri non dicono, non raccontano e non lasciano consegne.
Non bastano più gli anniversari per contrastare quella banalità del male di cui parlava la filosofa Hannah Arend.
Come allora, quello che è più pericoloso e inquietante è l’indifferenza alla quotidiana espressione di intolleranza e di odio che, insieme all’abitudine, rende banale e normale la ferocia e il crimine.
Giuseppe Maiolo - Psicoanalista
Università di Trento - www.officina-benessere.it