Un «must» della tradizione trentina: la Cacciatora di Mezzocorona
Antipasti da favola, bolliti della tradizione più classica, selvaggina indimenticabile e… gli incredibili dolci
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Nei nostri servizi dedicati alla «Ricerca del gusto» non poteva mancare un ristorante noto non solo in Trentino ma un po’ in tutto il Paese: la Cacciatora di Mezzocorona.
Il ristorante ha preso vita nell’immediato dopoguerra, quando quattro amici appassionati di caccia acquistarono il fabbricato semidistrutto dai bombardamenti, lo restaurarono e lo adibirono a luogo di incontro in occasione delle battute di caccia che finivano in laute libagioni.
Dal 2008 il ristorante è gestito da Paolo Bonetti e Daniela Petza, che hanno mantenuto la tradizione enogastronomica trentina come base naturale delle proposte, prediligendo una cucina a base di carne e selvaggina, ma inserendo nel menù grandi piatti di pesce ed esecuzioni più creative.
La palazzina (la vediamo nella foto di copertina) è molto bella, inserita vicino all’argine destro dell’Adige, in mezzo alla campagna che ospita un giardino e una bellissima veranda che sia in estate e in inverno offre l'opportunità di pranzare o cenare nel verde incantevole della Piana Rotaliana.
Il locale si presenta gradevolmente, dispone di oltre duecento coperti tra la doppia sala al piano terra, l’elegante saletta privata e il salone panoramico al piano superiore, che può ospitare fino a centocinquanta persone.
In cucina, oltre al titolare Paolo, sono presenti Umberto Leonardelli e Debora Caldonazzi. Il servizio, diretto dalla titolare Daniela, è cordiale e ben curato. La lista dei vini trentini, nazionali ed esteri, va da sé, è ricca.
Come usiamo fare nei nostri servizi sulla cucina dei ristoranti, lasciamo che sia il gestore a suggerire il pasto ideale. Oltre alla cacciagione, alla Cacciatora, ci sono state suggerite portate molto delicate e indimenticabili.
Come i nostri lettori ormai sanno, descriviamo le pietanze messe in tavola senza dare voti, ma esprimendo una valutazione indiretta: se potessimo ordinare una sola portata, quale sceglieremmo?
Noi come al solito eravamo in tre e abbiamo espresso i tre piatti preferiti. Anzi quattro, perché uno di noi ne ha voluto scegliere per via eccezionale due.
Le indicheremo alla fine.
In attesa che arrivassero gli antipasti, insieme al teroldego De Vescovi Ulzbach del 2014, ci sono stati portati degli assaggi di minestrone di fagioli fatto «alla vecchia maniera». Il sapore intenso del minestrone rivelava la presenza delle patate passate che ne davano consistenza e del lardo della casa che dava sapore equilibrato.
L’idea di dare solo un assaggio è giusta. Se ne mangerebbe volentieri una scodella, ma dopo non si riuscirebbe a gustare l’intero pasto.
Eravamo in tre, ma due di noi hanno optato per l’antipasto, mentre il terzo non ha saputo resistere alle pappardelle fatte in casa al sugo di cervo.
E qui abbiamo espresso già due dei «piatti da salvare», quelli che vorremmo se potessimo ordinare una sola portata. Parliamo del salmone affumicato e dell’affettato di cinghiale e di cervo.
Non che le pappardelle fossero da meno, ma chi le ha scelte, ha poi trovato qualcosa di superiore.
Fatto sta che il salmone selvaggio, affumicato dalla casa, così saporito non lo avevamo mai provato in Trentino. Affettato davanti a noi, accompagnato da crostini della casa e da burro, è stato davvero eccellente, indimenticabile.
Anche gli affettati di cinghiale e di cervo sono stagionati dalla casa. Ci è stato concesso di visitare il luogo dove avvengono l’affumicatura e la stagionatura, dove c’erano ancora i trucioli di faggio e ciliegio fumanti. Una visita che vale la pena fare, perché dà l’idea di come la casa sappia lavorare unendo le antiche tradizioni alla sicurezza alimentare offerta dalle modernità di oggi.
Per secondo, due di noi hanno gradito i bolliti misti, il terzo le costolette di cervo.
Il carrello dei bolliti contiene tutto, dalla testina ai cotechini di Trento e di Modena, lo zampone, il manzo, la lingua, la gallina. Ovviamente la testina era accompagnata dalla peverada, mentre la salsa verde andava bene per tutto il resto, così come il purè.
Quello che ci è piaciuto di più è stato poter confrontare i due cotechini e lo zampone. Ma la gallina è stata superba, indimenticabile, a dimostrazione che quando la sua carne è buona, davvero non fa invidia al pollame nobile.
Le costolette di cervo sono risultate il terzo piatto «da salvare», quello che ordineresti se potessi chiedere una sola portata. Le costolette erano due, accoppiate alle patate al forno. Naturalmente c’erano tanto di marmellata di mirtilli, la polenta di Storo a formare un letto per i funghi di bosco e le zucchine affettate sottili. Un piatto da consigliare, come i due antipasti di cui sopra, sapendo di fare bella figura.
Mentre stavamo gustandoci il pasto, dei commensali di un affollato tavolo vicino al nostro si sono alzati per chiederci per quale motivo scattavamo le foto.
Si sono presentati come milanesi che quando possono vengono in Trentino per pranzare alla Cacciatora e volevano assicurarsi che parlassimo bene del «loro» ristorante sul nostro giornale...
Rassicurati in tal senso, ci hanno confessato che solitamente mangiano in fretta per arrivare prima al dolce, che ci hanno consigliato di non dimenticare.
L’aneddoto lo riportiamo perché ci sembra un ottimo complimento per un ristorante che fa fare bella figura al Trentino.
In effetti, dopo una zuppetta di fagioli, degli antipasti luculliani, i bolliti e il cervo, se i vicini non avessero parlato così bene dei dolci non li avremmo ordinati.
Abbiamo chiesto la mousse di cioccolata (quando c’è la chiediamo sempre), il semifreddo con amaretto e – dulcis in fundo, appunto – il tortino con cuore caldo di cioccolata.
E questo tortino è il quarto piatto «da salvare», perché la cioccolata calda contenuta ha ricordato periodi passati in cui i dolci appartenevano alla cultura della cucina ricca dell'Impero.
G. de Mozzi