Storie di donne, letteratura di genere/ 491 – Di Luciana Grillo
Lucia Tilde Ingrosso, «I Monteleone» – L’autrice intesse una saga privata piena di ironia e tenerezza, un inno alle famiglie legate dal sangue o... dal semplice amore
Titolo: I Monteleone
Autrice: Lucia Tilde Ingrosso
Editore: Baldini + Castoldi, 2023
Genere: Saga
Pagine: 432, Brossura
Prezzo di copertina: € 20
Ho conosciuto Lucia Tilde Ingrosso attraverso il romanzo biografico Anna Politkovskaja. Reporter per amore; so che ha scritto una serie di gialli e che si è dedicata anche ai giovani lettori.
Sapevo che la sua scrittura era scorrevole, limpida, piacevole, ma solo con I Monteleone ho capito quanto possa essere coinvolgente e convincente.
Una saga familiare comporta la stesura di una storia complessa, che percorre più generazioni, vive tempi diversi, segue mode e modi di pensare in evoluzione: Ingrosso riesce con maestria a far entrare lettrici e lettori in una grande famiglia, i cui membri sono diversi per carattere, educazione, cultura.
«I Monteleone avevano un grande, grandissimo senso della famiglia. Erano sempre presenti, compatti, solidali. In ogni circostanza, a prescindere. Se c’era di mezzo la famiglia, partecipavano anche a matrimoni che non condividevano. Finanziavano imprese che erano destinate al fallimento.
«Assicuravano il loro voto, pur turandosi il naso. Frequentavano parenti, di sangue e acquisiti, di cui non avevano alcuna stima… i panni sporchi si lavavano rigorosamente in famiglia, mentre in pubblico non si faceva intravedere una crepa, mai. E l’immagine che emergeva era sempre stata quella della massima coesione e compostezza».
Era un vero clan, ci si rispettava senza ipocrisia, si riconoscevano i pregi anche di chi all’inizio non era stato particolarmente gradito, come Luisa, ad esempio, una giovane donna semplice, di madre analfabeta, che era riuscita a farsi apprezzare dalla suocera Pia, e infine a farsi amare quando aveva manifestato coraggio e forza, difendendo la famiglia che aveva creato.
Pia scrive: «Mia nuora ha fatto a mio figlio tanti doni preziosi, in questi anni. I più preziosi sono i figli, ma subito dopo metto l’avergli taciuto l’orribile violenza di cui fu vittima. Non vuole farlo soffrire, dice, ma desidera anche evitare che da violenza si generi violenza e che il seme della follia avveleni anche le generazioni future».
Sarebbe complicato orientarsi fra genitori, figli e nipoti, prime e seconde mogli, se Ingrosso non avesse pensato anche di anteporre al romanzo un albero genealogico, al quale tornare in caso di dubbi.
Per confermare l’attaccamento alla famiglia d’origine, la figlia di Luisa che, sposandosi, prende il cognome del marito, continua poi a sentirsi Monteleone, come la pronipote Vittoria, l’ultima a rientrare nella storia, il cui amico Andrea – suo malgrado – sbroglia una vecchia matassa e consente di svelare un segreto che fa capolino fin dalle pagine iniziali.
Insieme a queste figure, c’è Silvia che compie 85 anni, c’è suo figlio Guido, che organizza per la mamma una grande festa di compleanno, ci sono le nuore Caterina e Pamela («sua nuora – la sua prima e unica nuora, non la seconda»), ci sono i gemelli Roberto e Pia, c’è Gisella, detta Gilla, stilista di moda che soffre di disturbi alimentari, c’è Lucrezia avvocata affermata che ha paura dell’amore, ci sono Fabrizio e Margherita che indagano insieme fra le carte scolorite di Amedeo, «un uomo elegante, distinto, occhi e capelli chiari, occhialini da intellettuale», magistrato ucciso perché faceva il suo dovere… «Ci sono uomini che muoiono nel proprio letto e ci sono uomini che muoiono per un ideale. Amedeo sentiva di far parte della seconda categoria. Anzi, lo sapeva… lui se lo aspettava».
Naturalmente, le vicende dei Monteleone si incrociano con gli eventi storici; l’autrice accenna a fatti, film, palazzi famosi, hotel e ristoranti; ci ricorda la strage di piazza Fontana, la P2; ci descrive Milano, lo skyline della città, la metropolitana e le costruzioni di mattoncini rossi che «facevano pensare al Greenwich Village, quartiere bohemien di New York», la Rinascente dove Luisa, arrivata dal sud, aveva lavorato; e gli anni di guerra, la villa di Laveno, Radio Londra e la notizia dell’armistizio.
Ci sarebbe ancora tanto da scrivere… mi piace concludere con le parole di Silvia, figlia di Luisa: «La verità ci rende più forti e più liberi. Ma la verità non è tutto: lo capisci anche da te che non sono i legami di sangue che fanno una famiglia. Una famiglia è formata da persone che si amano, si aiutano e si proteggono».
Ogni altra parola sarebbe superflua.
Luciana Grillo - [email protected]
(Recensioni precedenti)