Leaseback, alcune informazioni in merito allo strumento

Dati e presupposti tecnici che lo rendono possibile strumento di politica economica

In merito al dibattito sollevato in questi giorni sullo strumento del leaseback, Trentino Sviluppo intende fare chiarezza su alcuni punti e dati diffusi, senza volere con questo entrare nel merito della discussione politica in atto.
Ecco quindi i numeri e cinque punti che aiutano a capire meglio, da un punto di vista squisitamente tecnico, la natura e le potenzialità di un intervento finanziario garantito, remunerativo e che al tempo stesso è un incentivo indiretto all’innovazione.
Anzitutto i numeri. Dal 2007 ad oggi si sono completate 27 operazioni di leaseback con altrettante aziende trentine, per un importo pari a 189 milioni di euro, ed impegni occupazionali, da parte delle imprese, per il mantenimento di 3.724 unità lavorative annue (ULA) per il quinquennio successivo all’intervento.
 
A seguito di tali operazioni di leaseback Trentino Sviluppo ha speso 189 milioni di euro diventando proprietaria di un patrimonio immobiliare valutato in 193 milioni di euro, incassando inoltre le rate previste dai contratti di leasing.
Lo strumento ha quindi una sua sostenibilità economica intrinseca.
Ma, al di là dei numeri, quali sono le motivazioni tecniche che hanno portato all’introduzione del leaseback quale uno strumento della politica economica provinciale?
 
Primo. Perché è un incentivo indiretto all’innovazione.
Con il leaseback l’ente pubblico si occupa di ciò di cui le imprese dovrebbero occuparsi un po’ meno, cioè appunto gli immobili.
Infatti il cuore dell’azienda, quello che genera qualità e innovazione, non è nei «muri», ma nelle conoscenze, nelle risorse umane e negli impianti tecnologici e macchinari.
Se la Provincia, tramite Trentino Sviluppo, riesce ad offrire capannoni e uffici come servizio pubblico, sgravando le imprese dal relativo peso finanziario, queste possono effettivamente concentrare le proprie risorse sulle abilità tecniche: saperi, ricerca, brevetti, impianti e macchine.
Sembra paradossale, per il senso negativo che spesso si dà alla parola « immobiliare», ma con questa politica è possibile dare una spinta indiretta ma non secondaria all’innovazione.
 
Secondo. Perché sostiene la finanza d’impresa.
Nel leaseback, visto che l’impresa possiede già un immobile idoneo, l’intervento immobiliare si trasforma di fatto in un intervento finanziario: l’azienda ottiene mezzi liquidi fuori del circuito bancario, interessanti specie in un periodo di restrizioni creditizie, con i quali riduce i propri debiti e può finanziare i progetti di sviluppo aziendale.
Quindi il leaseback sostiene non soltanto l’innovazione ma la competitività in tutte le sue declinazioni.
Non a caso questo strumento ha rappresentato un aspetto cruciale, anche dimensionalmente, della manovra anticrisi della Provincia. In tal senso, Trentino Sviluppo ha garantito così per un periodo di crisi rivelatasi lunga e dolorosa anche per il territorio trentino un’alternativa al credit crunch bancario.
 
Terzo. Perché offre garanzie occupazionali.
Trentino Sviluppo esige «in cambio» di questo tipo di interventi un chiaro beneficio sociale: l'impegno contrattuale da parte delle aziende interessate a mantenere un determinato livello occupazionale, condiviso dalle organizzazioni sindacali e proporzionale ad un prefissato parametro di spesa (1 occupato per ogni 80 mila euro di spesa, ridotti a 50 mila fuori dall’asta dell’Adige), per un certo numero di anni successivi all'intervento.
 
Quarto. Perché contribuisce a razionalizzare l’uso del suolo.
Visto che la morfologia del Trentino non è molto adatta all’attività produttiva, l’acquisizione di immobili alla proprietà pubblica serve anche a razionalizzare l’uso del suolo e a calmierare gli eccessi del mercato immobiliare.
Anche se Trentino Sviluppo non regala nulla (perché vendite, locazioni e leasing sono regolati a prezzo di mercato) non cerca nemmeno speculazioni: di fronte a domande concorrenti, l’assegnazione di un immobile o di un’area disponibile si discosta dal criterio della pura convenienza immobiliare, e segue invece criteri di opportunità socio-economica, preferendo, ad esempio, l’impresa più innovativa o quella a più alta intensità di lavoro.
Si fa, insomma, una sorta di «asta sociale», che premia proprio i benefici collettivi dell’attività d’impresa.
 
Quinto. Perché si tratta di un intervento pubblico «protetto».
Il leaseback è un intervento «a capitale protetto»: i mezzi finanziari impiegati per acquistare l’immobile vengono restituiti e remunerati dall’azienda interessata (alla quale quindi non si regala nulla) e, nel malaugurato caso di fallimento della stessa, resta all’ente pubblico un bene da offrire ad altre imprese, come hanno dimostrato recentemente, ad esempio, i casi di Ala (compendio «ex Martinelli») e Rovereto (immobile «ex Gallox»).
Incentivi finanziari e fiscali rappresentano invece erogazioni a fondo perduto.
Quindi il leaseback è un intervento efficace per il sistema nel suo complesso, con rischio relativamente basso.
 
Tutto ciò premesso è evidente che il leaseback non è uno strumento generalizzabile, in quanto la sua piena efficacia dipende, oltre che dall'equità del prezzo, anche dalla presenza dei seguenti tre requisiti fondamentali:
a - la straordinarietà dell’intervento, soprattutto in termini di ricaduta sociale (inevitabilmente legato allo spessore occupazionale delle aziende interessate);
b - l’interesse immobiliare strategico, in relazione alla scarsità di aree da destinare all’attività economica (anche sotto questo profilo è inevitabile la preferenza per la grande dimensione e la localizzazione in zone ad elevata domanda);
c - la finalità di sviluppo o di riconversione, legata ad un progetto aziendale credibile che non può risolversi in mera iniezione di finanza a scopo di salvataggio.