Le vedute di Tommaso Padoa Schioppa
Conversazione con Salvatore Rossi sul grande crollo della finanza
Per l'ex ministro «in Italia la crisi è meno grave che altrove, ma l'organismo colpito è molto più debole di altri. L'euro ha salvato l'Europa. Dobbiamo definire regole credibili in caso di liquidazione» |
È uno che con le monete ha una certa dimestichezza, Tommaso Padoa-Schioppa. La sua storia sta lì a dimostrarlo, esperienza ministeriale (breve, ma della quale «non mi pento certo di averla fatta») compresa. Adesso è presidente del Comitato finanziario del Fondo monetario internazionale. E con una battuta che ha strappato sorrisi e applausi ha concluso la sua conversazione con Salvatore Rossi (direttore dell'Area ricerca economica e relazioni internazionali della Banca d'Italia) attorno al suo più recente libro, "La veduta corta", a sua volta una conversazione («non un espediente editoriale, semmai uno di quegli strumenti che aiutano a capire») con Beda Romano sul grande crollo della finanza, edito da Il Mulino.
Dal pubblico gli è stata chiesta una opinione sull'euro. In soldoni (appunto): potrà resistere la moneta unica di un Paese che unico non è neanche per idea?
Risposta: «Sono i giornalisti inglesi a pormi spesso questo quesito. Mi domandano se l'euro crollerà. Io dico sempre: anche l'impero romano è crollato dopo 500 anni. Quindi è possibile che l'euro crolli tra 500 anni. Peraltro, senza la moneta unica l'Europa sarebbe stata spazzata via dalla crisi.»
Prima, una lunga e pacata conversazione, nello stile inconfondibile del Festival nonché di Tommaso Padoa - Schioppa. Che con Salvatore Rossi ha collaborato alla Banca d'Italia.
«Ci siamo conosciuti al Centro studi, la discussione era continua e senza conformismi gerarchici,c'era una radicata abitudine ad opinioni diverse.»
Nel libro-conversazione, ricorda Rossi, il movente è esplicitato in prefazione, subito. È il tentativo di capire ed interpretare la crisi. Che non è capita né tantomeno superata, come «la relazione di Banca d'Italia, giusto ieri, sta a dimostrare».
Nel libro si affrontano tre punti: l'ideologia fondamentalista del mercato; lo sguardo corto, appunto e il nazionalismo delle politiche economiche («l'unica globalizzazione mancata è quella della politica»).
In più: la crisi ha rappresentato il simultaneo collasso della fiducia di tutti verso tutti, in tutto il mondo.
E l'ex ministro? Ha citato il brigante Musolino. Che dopo anni di delitti e di latitanza, fu catturato dai carabinieri mentre scappava attraverso un campo, dove inciampò in un filo di ferro. In carcere, continuò a ripetere, fino alla fine: «Chillu filu», «quel filo».
«Ecco, - dice Padoa-Schioppa, - se qualcuno pensa che la crisi derivi da aspetti tecnici, si comporta come Musolino che se la prendeva con il filo».
Non abbiamo capito la crisi?
«Certo che no, ancora non abbiamo capito la crisi del 1929…»
Poi, in ordine sparso. Sono le idee o gli interessi che determinano gli andamenti del mercato?
«Continuo a pensare che prima vengono le idee. È stato così sul finire degli anni Settanta, con la svolta liberista della Thachter e di Reagan, per non parlare di quel che fece Milton Friedman in Cile. Certo, un trentennio si chiude, ora, con l'affermarsi di interessi fortissimi, in un intreccio con le idee assai complicato. Viene da citare Machiavelli e i suoi ordini nuovi che vengono contrastati dagli ordini vecchi, per nulla intenzionati a sgomberare il campo.»
L'affermarsi delle tecnologie che muta la stessa concezione del tempo?
«Resto convinto che siamo in un momento di grande cambiamento prodotto dalla tecnologia e che non abbiamo imparato a dominare. Siamo in una fase di apprendimento, ma la tecnica non prenderà il sopravvento sull'uomo.»
I sondaggi?
«Stanno alla politica come la veduta corta sta al mercato, appunto. Anche se sono convinto che l'azione ben svolta crea il tempo di cui ha bisogno. Fa riflettere il fatto che oggi negli Stati Uniti i cittadini ritengono che Obama avrà bisogno di più tempo di quanto ipotizzato per portare a termine le sue riforme. Ci può essere un effetto pedagogico in politica, evidentemente.»
Spazio anche per il ruolo dell'informazione.
«I giornalisti rischiano talvolta di essere come quella mosca che si adagia sulla Cappella Sistina, e non la vede.»
Per l'Europa.
«Ci vogliono autonomia e pensiero critico per farla uscire dalla crisi.»
Lehman Brothers, giusto andare al fallimento?
«Non c'è la controprova e certo non può sempre essere pantalone a pagare, forse un giorno capiremo che il fallimento non è stato un cattivo investimento sul futuro. Semmai ci si dovrebbe chiedere chi salvare e chi no. Va bene mandare a mare azionisti e dirigenti, ma i risparmiatori - clienti no. Vanno definite regole credibili in caso di liquidazione.»
Ma, ora, come si sta affrontando la crisi?
«Per ora la si gestisce. E ci si attrezza, penso agli Stati Uniti, puntando a cambiare leggi e regolamenti. Ma ci vorranno anni, anche per cambiamenti modesti e insufficienti, come temo.»
L'Italia e l'esperienza di governo?
«Una esperienza comunque positiva. Non so se la ripeterei. Mi chiedete se posso dare indicazioni, io, ora? Non posso dare indicazioni concrete. E' cambiata completamente l'agenda politica ed economica, anche in virtù della crisi, evidentemente. Però mi pare che le le linee di fondo impostate restano valide, anche nell'analisi del mio successore. Certo, in Italia la crisi è meno grave che altrove. Ma l'organismo colpito è più debole di altri. Restiamo un Paese infiacchito da una crescita drogata. Su questo malato agisce la crisi.»
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