Massimo Parolini: «La via cava», poesie tra estetica e teologia

La bellissima raccolta di poesie è stata presentata nella straordinaria sala degli Affreschi della Biblioteca comunale a Trento – Di Daniela Larentis

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Massimo Parolini, una personalità eclettica: curatore d’arte, insegna materie letterarie presso le scuole superiori del Trentino.
Laureato in Filosofia all’Università di Venezia Ca’ Foscari, per il Centro Universitario Teatrale di Venezia – nato su iniziativa di Giorgio Gaber – ha scritto e rappresentato le commedie «Il medico della peste» e «Svevo e Joyce».
Ha pubblicato la silloge «Non più martire in assenza d’ali» (Editoria Universitaria) sul tema della guerra nella ex Jugoslavia, premiato al Concorso Internazionale di Poesia «San Marco – Città di Venezia».
Sua la bellissima raccolta di poesie dal titolo «La via cava» (Edizioni LietoColle) è stata presentata lunedì 18 gennaio 2016 nella meravigliosa sala degli Affreschi, presso la Biblioteca comunale di Trento, con intervento critico dello storico dell’arte dott. Roberto Pancheri e del teologo Mons. Lodovico Maule (presente un folto pubblico, fra cui anche l’Assessore alla Cultura Turismo Giovani di Trento Andrea Robol).
 

 
È lo stesso autore a spiegare nella prefazione la scelta del titolo: «Cavo, concavo, incavo, è ciò che ha la superficie curva e rientrante. Cavo è il grembo che ci ha custodito dal concepimento alla nascita.
«Cava la culla che lo ha sostituito nei primi mesi di vita. Cava è la mano che stringo in segno di relazione, cava la mano che accarezza, che accoglie l’acqua che disseta e ci sostiene, cavo il pozzo da cui attingere l’acqua, il secchio che la raccoglie, il mestolo la coppa il bicchiere che imitano la mano, cavo il vaso che contiene gli alimenti.
«Cavo è il riparo che ospita l’uomo, dalla grotta caverna alla casa certificata, cavo il riparo degli dei, l’antro della Sibilla, il luogo delle profezie, gli ipogei, le necropoli (unite negli Etruschi dalle vie cave).
[…] Ritirarsi nello spazio cavo non è quindi pura fuga dal mondo (per Amleto basterebbe un guscio di noce): è desiderio di incontrare la propria ombra, scendere alle Madri, incontro l’Alterità, Dio, là dove l’angelo e la mosca e l’anima sono uguali: là dove stavo e volevo quello che ero, ed ero quello che volevo (Meister Eckhart, Deutschen Predigten, 1314 circa».
 
Nella sezione «In un tempo più lento» siamo colpiti dall’incanto di questi versi: «In un tempo più lento|ho tagliato i capelli alla terra|ho vangato il suo cuore di madre|ad un tratto ho sentito|nel mio orto concluso|di essere un uomo|al mio fianco|una donna|da amare».
In alcune poesie viene toccata la sfera della quotidianità, degli affetti più cari, come in «Piccola Arual», dedicata alla figlia Laura, e in «Tu, che fiore dici io sia?», una poesia delicatissima e di grande suggestione, dedicata alla moglie Sabina, in cui l’euforbia incarna il valore delle semplicità e quindi della bellezza, «ha un fiore poco appariscente», «l’euforbia può aver spine e ha bisogno della luce che alimenta, che sostiene…», ma «dona molto e si accontenta della luce solamente: ogni giorno è lì presente|basta amarla|ed è per sempre».
Altre sono ispirate invece a personaggi illustri come Dante Alighieri o a protagonisti autorevoli del panorama letterario italiano come lo scrittore e poeta Mario Luzi, scomparso una decina di anni fa; una poesia è dedicata all’amico monaco Antonio Mistrorigo, del monastero benedettino di S. Giorgio a Venezia.
 

 
Una parte rilevante delle poesie è dedicata alle opere di grandi artisti del passato, Giotto (San Francesco), Leonardo da Vinci (Madonna Litta), Caravaggio (L’ultima Emmaus), tanto per citare degli esempi, e ancora Vincent Van Gogh, il fondatore del movimento spazialista Lucio Fontana (Il dio cavo), mentre altri componimenti sono ispirati ad opere di artisti contemporanei viventi come il pittore Riccardo Guarneri, il pittore Paolo Dolzan, lo scultore Mauro De Carli, i pittori Guido Polo e Pietro Verdini, lo scultore Settimo Tamanini, in arte Mastro 7.
 
Splendida la poesia che si rifà all’opera di Verdini («L’angelo sulla città», 1985, un paesaggio urbano ed extraurbano su cui incombe un angelo protettore) nella sezione Il Dio che viene: «Nuvola d’anzol sulla città|gravitante nello spazio ingombro:| la notte, blu d’alchimia,|riposa e non sa.|Non serafino non cherubino|neppure fluorescente intelletto divino;|piuttosto un lottatore di sumo|pronto a schiacciare|col suo peso ogni cosa|o forse una specie di siepe|a difesa di morbidi grembi|un guardiano che cura l’attesa|di una vita nuova che verrà:|la notte, blu d’alchimia,|riposa e non sa».
 
È un angelo che Mons. Lodovico Maule spiega essere «piuttosto massiccio, pesante, non come gli angeli eterei a cui siamo abituati.
Il concetto di santità nella lingua materna di Gesù, in aramaico, indica l’idea della pesantezza: «santo è qualcosa che pesa, infatti nel Vangelo ogni volta che Dio si rivela, quelli che godono di questa rivelazione provano il senso della stanchezza, della spossatezza».
Mons. Lodovico Maule sottolinea che il tema comune che lega le poesie della sezione Il Dio che viene, che sgorgano dalla contemplazione di opere d’arte del passato e contemporanee, «sembra essere quello del Dio nascosto».
 

 
«Quando la fede incontra la bellezza – ribadisce nel suo intervento Mons. Lodovico Maule – l’arte e la poesia, la musica, allora sì, è il dubbio a vacillare e il cuore ritrova la via dell’attesa, del dono, il cammino e una nuova speranza. Ed è la poesia che è nata dal cuore di Massimo Parolini davanti al Roveto di Mastro 7.»
Intitolata Roveto, essa è ispirata alla splendida scultura in rame di Mastro 7, Il Roveto ardente: «Rogo pneumatico di rovi arsi|lingua del logos bruciando crea|soffi nativi, fiamme di voce|ad indicare un nome|tetagramma di luce|a sugellare un patto che l’uomo innalzi | con la pianta dei piedi, sulla sabbia, scalzi».
 
Un altro componimento ha attirato la nostra attenzione, una poesia che Massimo Parolini ha voluto dedicare a un collega scomparso in circostanze tragiche (dal titolo In the corner).
È proprio vero, come dice Parolini «appariamo: ed è svanire», la nostra vita così come la conosciamo in fondo è per tutti il fugace battito d’ali d’una farfalla, l’aprirsi e il chiudersi di una finestra, servendoci delle parole di un altro poeta da noi particolarmente amato, il Quasimodo, aggiungiamo «ed è subito sera».
 
Daniela Larentis – [email protected]