Modi de dir 'n trentìm/ 26 – Di Cornelio Galas

26ª puntata dei modi di dire e frasi fatte della tradizione dialettica trentina

AH, I ME SENTE STAVOLTA… – Annuncio di contestazione verbale di un contenzioso. Segue: «Che no la finìs miga chi neh…». E ancora: «Che no i pensa de cavarsela cosita…».
 
TIRETE DRIO LA PORTA QUANDO TE VAI FORA – Invito a chiudere la porta quando si esce. Non a staccarla dai supporti e a portarsela via. Segue sempre: «E sèrela piam che se no vei zò el crocefìs tacà de sora come semper…».
 
L’È DELE BÀLE CHE… – È inutile che… Insomma si contesta un’azione priva di senso. Forse anche dannosa allo stesso soggetto che la compie. O ha in animo di concretizzare. «L’è dele bale che te vaghi avanti e ’ndrio senza combinar gnent…».

GH’AVÉ ’NA CASA, ’NA FAMEA, QUALCHEDÙNI CHE VE SPÈTA? – Domanda, retorica, rivolta a ospiti che non si decidono ad andare via magari al termine di una lunga cena, con dopocena a base di barzellette che tutti conoscono da un pezzo. Rafforzativo: «No so, se volé ve lasso anca dormìr chi sul canapè… mi vago a paion entant».
 
CIAPA LA GÓMA E NÈTA SÙ VALÀ – Laddove la goma non è la gomma. Ma un idrante. C’è però anche la «góma» nel senso di pneumatico. E anche quella per «scancelàr».

VOT DO BÌSI DA PORTAR VIA? – Attenzione. Qui le doppie contano. E diversificano il significato. Bìsi sta per piselli verdi. Che sistematicamente, chi ha l’orto, produce in abbondanza. Ed è costretto quindi, nel periodo della «grande, simultanea crescita» di questo ortaggio, a regalare. Un modo per sbarazzarsi in realtà di un fastidioso «surplus». Bissi, invece, sta per serpenti (bìs, il singolare). Occhio: «Molàr ’l bìss» ha significati talvolta a sfondo erotico, vietati ai minori di 18 anni. Anche se può voler dire semplicemente: «Andare alla toilette».
 
MA GNANCA SE… – Negazione decisa. Rifiuto, rigetto perentorio di una proposta, di una richiesta. I puntini di sospensione possono essere riempiti da vari «contrappesi». Tipo: «Ma gnanca se te dai desemili euri… ma gnanca se te me ’l domandi en dinòcio… ma gnanca se me telefonés el papa (e quest’ultima è oggi da evitare visto che papa Francesco ha fatto tante «sorprese»).

MA GNANCA SE TÓRTA – Come sopra, ma più specifico: «neanche se mi dai una torta!»

MA GNANCA SE TÈRA! – Come sopra, più allargato: «Neanche se mi regali la Terra».

DÌGHEL ANCA TI OGNI TANT – Coinvolgimento (di solito del padre) nell’educazione dei figli. Invito a rimproverare, a far raccomandazioni, a richiamare. «Dai dìghelo anca ti ogni tant che no se pòl dormir fin a mezdì tuti i dì… No l’è miga n’albergo sta cà e po’ son sèmper mi quéla che nèta».
 
SE CIÀVA – Chissenefrega. Che vada a quel paese. «Nar a farse ciavàr»: andare in malora, marcire, morire. Anche: «Ma che ’l se ciàva anca lu!». Ovvero: ma che anche lui se ne vada, mi lasci stare, vada via. «Te ciava qualcos?»: T’interessa qualcosa forse di questo? «Enciàvete denter»: chiuditi a chiave. «Son restà enciavà fora»: ho perso la chiave, non riesco ad entrare.
 
CIÀVETENE – Frégatene, «lassa pur che el mondo el diga».
 
DI’ GIURO – Invito a confermare solennemente la verità di quello che si afferma, con un giuramento. Con una mano (sulla Bibbia? No, di solito sulla Gazzetta dello Sport, sulla foto della mamma, sul libretto di circolazione della moto appena acquistata. Attenzione a eventuali dita incrociate sotto il tavolo che potrebbero vanificare questo «sigillo».
 
MA TE PAR L’ORA? – Contestazione sull’orario pattuito per il rientro a casa dei figli adolescenti. Per una telefonata a tarda notte senza preavviso e senza effettiva urgenza. Per l’arrivo, con notevole ritardo, ad un appuntamento. Le possibili giustificazioni: «Vara, gh’era ’na coa longa come l’am de la fàm». Oppure: «Oscia, i m’ha robà l’orolòi, no pensévo fussa sì tardi». O ancora: «Papà, vara che ’n discoteca i taca via a mezanòt. E ’l pu bèl el vei en par de ore dopo…».
 
MA DAI… – Sorpresa. Meraviglia. A volte ipocrita. Insomma è possibile che questa specie di «Ooooooh» nasconda in realtà ben altre emozioni e sentimenti. Ad esempio un’indiretta presa in giro dell’interlocutore. «Sat che l’è tuta la not che no dormo? – Ma dai» (effettivo pensiero: L’è ‘n po’ cavoli tói, no me ne frega gnent). «Sat che ’n ferie ho fat la foto ensema a Pupo?» – Ma dai… (effettivo pensiero: ma chi èlo ’sto Pupo?). «Sat che ieri aven trovà dese chili de brise?» – «Ma dai…!» (effettivo pensiero: Ma se no te sei mai nà per fonghi en vita tua…).
 
PROVA A SCHIZÀRMEL – Non è l’accordo con un killer per investire qualcuno. Semplicemente la richiesta di aiuto per un brufolo sulla schiena.
 
NO STE VARDAR EL CASIN – Succede quando arrivano in casa ospiti all’improvviso. Sistematicamente quando c’è il massimo disordine. O meglio quando c’è il “solito” normale sottosopra. Serve per far immaginare agli altri come sarebbe se tutto fosse al posto giusto. Segue: «Son ciapà ’stamatina, gh’ò ancor da avérghe dó minuti per méter a posto la cà, ma sentéve zo ‘ntant che meto su la mòka».
 
ZERTO CHE ANCA TI… – Quando l’altro ha appena finito la relazione sul proprio ruolo (ovviamente sempre migliore di altri) in una determinata discussione, questione. In pratica l’ombra del sospetto anche su chi si è appena dichiarato innocente o comunque estraneo ai fatti.
 
BEVI DE MEN VALÀ – Drastico giudizio su quello che si è appena sentito. Imputazione: alcolismo. «Sat che ieri sera ho vist en zièl na roba che pareva en disco volante?» – «Bevi de men valà soratut a stomech vòt». Oggi si direbbe anche «Cambia lo spacciatore».
 
MI NO, VEH – Classica risposta alla domanda (a volte sottintesa): Chi è stato? Se scatta questa giustificazione da parte di un singolo all’interno magari di un gruppo numeroso sorge inevitabilmente il sospetto che sia proprio quello il «colpevole» ovvero l’autore del misfatto in cerca di autore.
 
BON – Senza punto interrogativo serve a rafforzare il concetto appena espresso. Ma anche a prendere respiro. Un come «also» in tedesco, «well» in inglese, «donc» in francese. O il sinonimo «nevera» o ancora il semplice «neh». Se è seguito da punto di domanda invece prende il significato di «sul serio?» o «davvero?» o ancora «ma veramente?».
 
SCHÈRZET? – (Anche schèrzit). Domanda retorica per sottolineare la propria meraviglia. A volte si estende: «Schèrzet, o dìset dalbòm?»
 
ANCA SE FUSSA (o FUSSA ANCA) – Non riguarda l’anatomia umana. Insomma non c’entra con bacino, osso sacro, coccige e altre ossa che stanno appunto attorno all’anca. Sta per «ebbene, anche se questa ipotesi trovasse riscontro…». Praticamente esclude problemi in prospettiva. Cioè dopo la verifica di un dato, di una situazione, di una notizia non ancora acclarati ma appena percepiti. «Ho vist to marì con n’altra… -Anca se fussa, alme n el me stà for dai pei: per ‘n pezòt e lo soporta n’altra».
 
LE VÈI SÈMPER TUTE ENSÈMA – Riguarda di solito gli imprevisti, i guai. Che non vengono mai da soli o in date e orari diversi. Anche: «No sta dirme… una drio l’altra. No se vede mai la fin de stì casìni». Segue sempre l’elenco di questa cascata di disgrazie: «Oh, prima el bocia coi sciopèti [morbillo -ndr], po’ el nono che i l’ha trovà per tera stinch come na rana fora dal circol dei pensionai, po’ me marì che la sbrugnà la machina… No te digo el rest».
 
GATE GATE GATE – Richiamo per gatti? Cancello, canalizzazione, terminal in inglese? No, serve per accompagnare vocalmente l’azione che provoca il solletico. Di solito sotto le ascelle, punto più sensibile. Anche: biri, biri, biri.
 
SE DEMÒ ’L FES DO GOZZE… – Se solo cadessero quattro gocce... Una sorta di appello contro la siccità. Virtuale danza della pioggia. Non necessaria come in questa estate del 2014, mentre stiamo scrivendo. Per una situazione meteo migliore invece si usa: «Se demò ’l se tirés fora…» o «Dai che forsi vei fora ’l sol…».

’NA COMPAGNIA DEL TRIVELÌN – Congrega di amici uniti dalla passione del cavatappi.

VARA CHE LA VA DE SCOPELONI! – Minaccia di ricorso a punizioni corporali, schiaffi a mano aperta e altro. Rivolta a bambini capricciosi. Tra adulti: «Se te ciàpo te désfo» oppure «Vei vei che te ’n dago ’na ràta» o ancora «Gh’at bisogn de ‘na remenàda?».
 
TE SEI PROPRI ’N SECIÈR… – Si dice a qualcuno che abusa con l’alcol. Al punto di buttar giù vino, birra, liquori in quantità industriale. Come se fosse una sorta di lavello della cucina… Con notevole capacità di entrata quando si è tolto il tappo sotto.

TE BEVI COME ’NA LÓRA – Bevi come un imbuto. Come un gorgo.
 
GNANCA BÒN – Classica frase di sfida. Come quando si gettava il guanto all’avversario. Segue una dichiarazione, perlopiù esagerata, dell’interlocutore circa un’impresa che questi si dice in grado di compiere. Esempio: «Mi farìa el giro dela Busa tut en retromarcia…» – Risposta: «Gnanca bon…». Al che due sono i possibili finali: 1. Lo sfidato monta in macchina, mette la retromarcia e prova ad uscire dal cancello di casa… 2. Lo sfidante, visto il tentennamento da parte dello sfidato davanti alla dimostrazione pratica, mette il dito nella piaga: «Te l’avevo dit che te te saressi cagà adòs…» «’N cont l’è le ciaciere, n’alter i fati». La missione apparentemente impossibile potrebbe però anche essere suggerita direttamente e nei dettagli dallo sfidante: «Gnanca bon de magnar en tre minuti en chilo de formai grana gratà zò senza bever gnent…». In questo caso la risposta potrebbe invertire ruoli: «Ah sì? Prova tì che te ciacieri tant…». «Vara che te cópo! – Gnanca bom!»

A CIÀCERE NO SE SGIÓNFA DONE – Originario di chi si vanta di scoparle tutte (a parole), ma poi trasferito a tutti coloro che parlano parlano ma non concludono niente.
 
MIZ PATOCH – Più di bagnato. Fradicio scnhietto. Situazione in cui ci si può trovare dopo essere stati sotto la pioggia battente per ore senza ombrello. O dopo essere finiti vestiti in piscina, nel lago, nel mare, ecc. Segue sempre: «Dài sùghete en pressa se no te voi ciapàr su na dòja». La dòja è la polmonite. In roveretano viene pronunciata con la o chiusa: «Dója».
 
PADÈLA ROTA – Non è solo quella (con i buchi) che serve per le caldarroste. In genere si definisce così chi non sa mantenere un segreto. Ovvero lascia uscire dai fori (dalla bocca in questo caso) qualcosa che gli è stato riferito in maniera molto riservata e con la solenne promessa di non spifferare il tutto ai quattro venti.

LÒDETE ZÉSTA, CHE EL MÀNEGO L’È RÓT! – Lodati presuntuoso, che hai più difetti che pregi.

ALTE CHE SE LE VEDA – Famoso (superato però da nuove tattiche) richiamo degli allenatori di calcio trentini ai propri giocatori per favorire cross e comunque «far vedere» la palla ed evitare un disastroso tiki taka. Battuta che si dice quando a tennis si fa un pallonetto per salvare il colpo. Sotto… ancora più sotto serve anche a «far vedere» le palle di altro tipo, quelle del basso ventre per intenderci. Cioè l’agonismo, il gioco mascolino in campo.
 
FORA CHE (EL, LA, I) VEGNA – Invito senza mezzi toni a dire, mostrare qualcosa che l’altro, l’altra, gli altri stentano a esternare. O a confessare nel caso di contesti che creano particolare disagio, imbarazzo.
 
FÒRA FÒR – Dappertutto. Esempio: «Gh’era bar fòra fòr.»
 
SE TE SAVESI… – Serve per creare un alone misterioso attorno a qualcosa. Esempio: «Com’èla nada ieri sera col to nof moròs?» – «Se te savesi…». Oppure: «Se te savesi chi el che ho vist ieri sera…». Si possono usare anche altre frasi: «Vara, no tel digo gnanca come l’èi nada…». Oppure: «Te l’avesi vist…». O ancora: «Ah se te ghe fussa stà anca ti…». Dipende poi dalla curiosità o meno dell’interlocutore se l’intervallo vuoto dei «tre puntini…» sarà riempito con descrizioni generali, nei dettagli o con ulteriori elementi di suspence tipo: «Che po’ n’ho t’ho gnancora racontà el pù bel…».
 
PÒL DARSE – Ipotesi. Eventualità. Una sorta di «nì», insomma tra il no e il sì. «Dìsit che vegna da piover anca ancòi? – Ah pòl dàrsi, zamài st’istà tuti i dì prima o dopo do góze ‘l le fa».