Storie di donne, letteratura di genere/ 544 – Di Luciana Grillo

Federica Lauto, «Marguerite mon amour» – Una frase emblematica dell’autrice: «Non sono mai stata dove mi sarei trovata a mio agio»

Titolo: Marguerite mon amour
Autrice: Federica Lauto
 
Editore: Le plurali, 2024
Genere: Narrativa italiana femminile contemporanea
 
Pagine: 250, Brossura
Prezzo di copertina: € 18
 
Ho già recensito un lavoro di Lauto, una biografia romanzata di Irène Nemirovsky, e mi sono accinta alla lettura di «Marguerite mon amour» - dichiarazione d’amore a Marguerite Duras - con interesse, perché anche io amo questa scrittrice, le sue atmosfere, i suoi romanzi.
Lauto sceglie di raccontare Duras con le parole di Erica, una giovane commessa, che ripercorre i suoi passi, recandosi nei luoghi dove Marguerite ha abitato, visitando gli appartamenti in cui ha vissuto e immaginando che la scrittrice sia con lei, che le parli, le dia indicazioni, le suggerisca, le risponda - alla domanda «Ma lei è un’allucinazione?»:
«I libri a volte sono più reali di tutto il resto. E i loro autori e autrici non muoiono mai…».
Un’altra volta afferma: «La scrittura non mi ha mai abbandonata».
 
Dunque, Erica si mette in viaggio, sostenuta dal figlio di un importante editore, va ad Hanoi, poi a Phnom Penh, a Parigi, a Neauphle-le-Chateau, a Trouville e in tanti altri luoghi visitati da Marguerite; racconta le vicende familiari, i trasferimenti e le malattie di suo padre, la durezza della madre, i rapporti difficili con il fratello, i suoi amori.
E contemporaneamente ricorda i romanzi che da questi luoghi sono scaturiti, come ad esempio «India Song», ambientato sul delta del Gange, dove «il caldo può uccidere quanto la mancanza d’amore. E lei lo aveva capito, perdendo suo padre e guardando sua madre» che si occupava poco di lei e del fratello Paulo perché a loro preferiva il figlio maggiore Pierre che «rubava e dava scandalo nelle fumerie d’oppio».
 
Quando Erica lascia l’Indocina e si sposta a Parigi, va alla ricerca di Pardaillan, dove Marguerite ha vissuto da piccola, dove è morto il padre e dove è tornata da adulta con uno dei suoi amanti.
È dalla vicina piccola città di Duras che Marguerite ha preso il cognome, quello che noi conosciamo.
A questa donna inquieta e indomita non basta scrivere, anche se ripete: «A volte l’unica cosa da fare è scrivere… Bisogna scrivere senza correggere, non per forza alla svelta, ma semplicemente senza fermarsi… Devi buttar fuori la scrittura, lasciare tutto così come appare».
 
C’è il cinema che l’affascina, perciò si dedica alle sceneggiature per registi importanti come Alain Resnais, a cui propone «Hiroshima mon amour», in ricordo di quel terribile evento che l’aveva spinta ad abbracciare il comunismo.
E spesso gira film nella sua casa, come attori compaiono i parenti… «la parola per lei diventava un oggetto filmabile. Era un cinema nuovo, enigmatico, sperimentale…era un cinema tutto suo».
Un elemento che ci avvicina a Duras è la sua frequentazione con Elio Vittorini e sua moglie Ginetta: con loro, in un ambiente colorato dal verde degli ulivi e profumato dal pergolato di glicine,
Marguerite scriveva e (forse) fumava e beveva di meno. I suoi testi venivano rappresentati anche a teatro, era diventata famosa, era stata invitata anche negli Usa.

Non mancavano le critiche, però, «Duras era una scrittrice che non lasciava indifferenti. O la amavi o la odiavi. O ti entusiasmavi per i suoi libri o la detestavi profondamente».
Invecchiando, Marguerite si sente più libera di scrivere, morti i suoi parenti non ha inibizioni, e dunque scrive il suo romanzo più famoso, che venderà tante copie, diventerà un film e la renderà ricca, «L’amante»: la sua scrittura è «secca, precisa, potente. Con dialoghi fulminanti, ambigui».
Erica continua a seguirne le tracce, da Trouville a Neauphle a Parigi, sapendo che Duras ha scritto: «Non sono mai stata dove mi sarei trovata a mio agio».
 
Luciana Grillo – [email protected]
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