Ciclo Integrato dell’Acqua: un preciso obiettivo da perseguire

Mercoledì 22 marzo si è svolto un Convegno dedicato all’Acqua presso il Museo Civico di Rovereto – Di Paolo Farinati

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Si è svolto quest’ultimo mercoledì 22 marzo presso il Museo Civico di Rovereto un interessante Convegno dedicato all’Acqua.
In particolare, alla preziosa e salubre acqua di Rovereto, proveniente dalle due sorgenti dello Spino e dell’Orco, poste all’inizio della Vallarsa, nel Comune di Trambileno, valle a suo tempo formata dallo scorrere delle acque del torrente Leno.
Quell’acqua potabile, assieme a quella fluente dello stesso Leno, è stata fondamentale per la storia e lo sviluppo economico e sociale della città di Rovereto.
Senza quell’acqua, ad esempio, non sarebbe sorta in città la fiorente industria della seta e non sarebbero state realizzate le varie rogge indispensabili per un minimo di igiene per la comunità. A metà ‘800 fu costruita con denari pubblici e privati la famosa «canaletta», che dalla sorgente dello Spino portò l’acqua potabile in città.
 

 
È, invece, del settembre 1990 l’inaugurazione della galleria di conduzione che dalla stessa sorgente giunge dopo oltre tre chilometri alla Madonna del Monte, facendo pure da moderno serbatoio di acqua.
Oggigiorno, per caduta l’acqua dello Spino arriva ai rubinetti di tutti i roveretani e degli abitanti di altri paesi della Vallagarina, quali Mori, Isera e altri borghi della Destra Adige.
Un bel regalo della natura avere una sorgente in quota, non c’è alcun dubbio, ma molti sono stati nel tempo i corposi investimenti fatti nella gestione dell’acqua a Rovereto da parte del Comune cittadino e più recentemente dalla ASM e negli ultimi due decenni dal Gruppo Dolomiti Energia.
Il Ciclo Integrato dell’Acqua richiede costantemente grandi investimenti, per garantire la qualità dell’acqua, per evitare perdite nella sua distribuzione a tutti gli utilizzatori, civili e produttivi, per depurarla opportunamente e quindi per restituirla «sana» al fiume.
 
Riflettere e parlare di Ciclo Integrato dell’Acqua ci porta opportunamente alla normativa di riferimento per l’intero territorio italiano, ovvero alla Legge 5 gennaio 1994 n.36, chiamata anche «Legge Galli», in quanto il relatore fu l’allora onorevole Giancarlo Galli.
Una disposizione di grande importanza e di vera lungimiranza, dal momento che tale Legge ha avviato la ristrutturazione dei Servizi Idrici in Italia. O quantomeno avrebbe dovuto dare inizio a tale improrogabile processo. In verità, non fu così dappertutto, ma molti passi da allora sono stati fatti. Dagli ottomila gestori del 1999, dopo quasi trent’anni dall’entrata in vigore della «Legge Galli», oggi sono qualche centinaio i gestori dell’acqua nel nostro Paese, di cui però molti ancora di piccole dimensioni e quindi incapaci di fare i dovuti investimenti.
 


La Legge 36 / 1994 chiariva e chiarisce tuttora che il Servizio Idrico Integrato è l’insieme dei servizi pubblici di captazione, di trasporto e di distribuzione di acqua ad usi civili, delle fognature e di depurazione delle acque reflue.
Non è difficile comprendere la portata innovativa contenuta in questa definizione: prima della riforma, ma purtroppo in parte ancora oggi, in Italia sono molti i Comune che gestiscono, direttamente o tramite una propria società municipalizzata, il servizio di acquedotto, di fognatura e di depurazione. Spesso succede che il Ciclo Integrato dell’Acqua sia diviso tra più soggetti, ovvero il Comune si tiene la parte dell’acquedotto mentre lascia la depurazione e la fognatura ad aziende consortili oppure a soggetti pubblici e/o privati.
 
È evidente che ciò determina ancora oggi una frammentazione delle gestioni, con conseguente incapacità di fare i necessari investimenti al fine di ridurre, tra l’altro, le enormi perdite di acqua potabile e di poterla depurare prima di restituirla al fiume.
A questo male si aggiunge quello del costo medio a cui paghiamo in Italia l’acqua del rubinetto: è sempre stata considerato un canone per il servizio erogato. Con questa visione politico - giuridica si è giunti a criteri tariffari estremamente bassi, che portano ancora oggi a significative perdite a carico dei bilanci comunali, incidendo, peraltro, molto anche sulla bassa qualità del servizio.
La riforma introdotta dalla «Legge Galli», necessaria per ovviare ai problemi sopra descritti, aveva ed ha previsto una riorganizzazione del settore, sia di tipo territoriale che di tipo funzionale.
 

 
La Legge 36 / 1994 divise l’Italia in circa novanta aree, definite A.T.O. - Ambito Territoriale Ottimale, all’interno del quale la conduzione del Servizio è affidata ad un Gestore Unico, che per tutto quel territorio, si occupa dell’intero Ciclo Integrato dell’Acqua come sopra illustrato.
Esaminando la realtà esistente, ad esempio all’interno della Regione Emilia Romagna sono stati individuati nove A.T.O. che corrispondono all’incirca al territorio delle nove province.
All’interno di ogni A.T.O. opera un Gestore Unico appartenente, nel caso dell’Emilia Romagna, a società del Gruppo Hera. Negli Ambiti Territoriali Ottimali di Piacenza, Parma e Reggio Emilia, il Gestore Unico è rappresentato invece da Enìa S.p.A.
 
La riforma ha determinato due effetti molto importanti: in primo luogo, come già detto, ha portato ad una riduzione considerevole del numero delle gestioni. Inoltre, ha cambiato la definizione della tariffa, calcolata ora in modo tale da assicurare la copertura integrale, oltre che del costo per il servizio, anche dei costi d’investimento e di esercizio sostenuti dal gestore. Garantendo così efficienza, efficacia ed economicità alla gestione integrata del Ciclo dell’Acqua. Ma in Italia la strada da fare è ancora molta.
E in Trentino come siamo messi? Direi bene, sicuramente meglio che in altri territori della nostra amata penisola. Abbiamo il Gruppo Dolomiti Energia che del Ciclo dell’Acqua gestisce la captazione, la distribuzione, le analisi di potabilità e salubrità, le fognature e la consegna ai vari depuratori, gestiti questi direttamente dalla Provincia di Trento, praticamente su tutta l’asta del fiume Adige, ovvero da Mezzolombardo ad Ala.
 

 
Sono ben oltre duecentocinquantamila gli abitanti serviti, ossia oltre la metà della popolazione trentina. Un’aggregazione virtuosa, che partì nel 1998 con la fusione in Trentino Servizi dell’ASM di Rovereto e della SIT di Trento. Il suddetto Gruppo, la cui proprietà è per oltre il 70% di enti pubblici, PAT e Comuni di Trento e Rovereto ne sono i maggiori Soci, svolge annualmente importanti investimenti in tutte le delicate fasi del Ciclo dell’Acqua.
Se lo può permetter in quanto ha le «spalle larghe», ovvero dispone di quelle ingenti risorse date dalla dimensione del Gruppo DE e dal fatto di gestire servizi pubblici più ricchi del Ciclo dell’Acqua, quali ad esempio la produzione e la distribuzione di energia elettrica e la distribuzione del metano.
 
Il tema di oggi e di domani è quello di far entrare nella gestione integrata dell’acqua svolta dal Gruppo DE altri territori del Trentino, al fine di dare una valida qualità omogenea del servizio a costi sempre contenuti. Non si può qui non citare il grande progetto di costruzione di un acquedotto di fondovalle, che unisca e metta in sicurezza tutti gli abitanti lungo il corso trentino del fiume Adige. Progetto pensato circa vent’anni fa e realizzato solo in parte, ma che la PAT e i Sindaci interessati, in particolare quelli di Trento e di Rovereto, devono riporre sul tavolo e dare ad esso la giusta priorità.
Ancor più oggigiorno, ovvero in un tempo in cui la siccità tocca incredibilmente anche il nostro territorio alpino. Come sempre è questione di responsabilità e di volontà. Il tempo è sempre meno, mentre le idee e le risorse non ci mancano.

Paolo Farinati - [email protected]