La storia della musica nelle scuole italiane – Di Nadia Clementi

Sull'importanza di questo insegnamento ne abbiamo parlato con il prof. Giacomo Fornari, Docente al Conservatorio Monteverdi di Bolzano

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Nel contesto delle recenti dichiarazioni del Ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, emerge con forza la necessità di rivalutare il ruolo dell'arte e della musica nel sistema educativo italiano.
Con la frase «Arte e musica possono avere sempre più spazio nei nostri programmi scolastici, per questo ho chiesto ad un gruppo di pedagogisti di riflettere sulle nuove indicazioni nazionali. «Credo che sin dalle scuole Primarie dovremmo dare uno spazio importante a queste materie», il Ministro Valditara ha lanciato un chiaro segnale di rinnovamento e valorizzazione delle discipline artistiche.
L'Italia è universalmente riconosciuta per il suo immenso patrimonio artistico e musicale.
Dalla musica sacra del Medioevo ai capolavori operistici di Verdi e Puccini, fino alle sperimentazioni contemporanee, la storia della musica italiana rappresenta un tesoro inestimabile che deve essere preservato e tramandato alle nuove generazioni.
L'insegnamento nelle scuole non solo permette di mantenere viva questa tradizione, ma contribuisce anche a formare cittadini consapevoli del loro patrimonio culturale.
 
L'insegnamento della musica non è solo una questione di cultura e tradizione, ma ha anche comprovati benefici sullo sviluppo cognitivo ed emotivo degli studenti.
Studi scientifici dimostrano che l'educazione musicale può migliorare le capacità di memoria, attenzione e problem-solving.
La musica stimola inoltre la creatività e la capacità di espressione personale, offrendo agli studenti un mezzo attraverso cui esplorare e comprendere meglio se stessi e il mondo che li circonda.
Incorporare la storia della musica nei programmi scolastici può favorire l'inclusività e la coesione sociale. La musica è un linguaggio universale che trascende le barriere linguistiche e culturali, promuovendo il dialogo e la comprensione reciproca.
Attraverso attività di gruppo, come cori e orchestre scolastiche, gli studenti imparano a lavorare insieme, sviluppando competenze sociali fondamentali come la collaborazione, la disciplina e il rispetto reciproco.
 
La visione del Ministro Valditara di dare maggiore spazio all'arte e alla musica sin dalle scuole primarie segna un cambiamento di paradigma nel sistema educativo italiano ci invita a ripensare l'educazione in termini più ampi, riconoscendo che le arti non sono solo complementi, ma pilastri fondamentali di una formazione completa e olistica. Investire in queste materie significa investire nel futuro dei nostri giovani e, di conseguenza, nel futuro della nostra società.
Per approfondire l’argomento abbiamo intervistato il prof. Giacomo Fornari laureato in Musicologia sui canoni vocali di Mozart, ha studiato all’Università di Heidelberg e Dottorato a Tübingen.
Docente al Conservatorio Monteverdi di Bolzano di cui è stato direttore dal 2017 al 2023. Curatore di numerosi saggi e libri dedicati soprattutto a Mozart, in ultimo Giustizia e Musica con Sonya Beretta (https://www.pacinieditore.it/prodotto/giustizia-musica-beretta-fornari/).
Già presidente dell’Istituto Musicale di Bolzano. Membro dell’Akademie für Mozartforschung di Salisburgo. Attualmente è direttore artistico di Musica in Aulis.
 
 
Il prof. Giacomo Fornari.
 
Prof. Fornari, secondo lei in che modo l'insegnamento della storia della musica può contribuire alla formazione culturale e sociale degli studenti italiani?
≪Naturalmente la scuola è la sintesi di una serie di discipline tutte molto importanti. È però sbagliato considerare la musica una materia accessoria.
«La Riforma Gentile [1922-24 – NdR], di cui tutti siamo figli, ha dato molti impulsi alle discipline umanistico-raffigurative (nei Licei germanici, ad esempio, si insegna storia della musica e più raramente storia dell’arte, mentre da noi i licei musicali esistono da pochissimi anni).
«Ciò ha avuto conseguenze importanti ed ha formato generazioni di cittadini più preparati sulle arti visive che sulla musica. La cosa, però, appare curiosa in un Paese come il nostro che, nell’ambito della musica cosiddetta colta, ha giocato un ruolo fondamentale.
«Anticamente la notazione (con linee e spazi…) e l’apparato pedagogico-musicale (i Conservatori etc.) si sono sviluppati in Italia, così come la Penisola è stata la culla del melodramma.
«In questo, l’Italia ha giocato un ruolo così importante che storicamente le nozioni musicali sono sempre state espresse nella nostra lingua (Adagio, Allegro, Andante etc. etc.). Evitando nazionalismi posticci ed anacronistici sarebbe però giusto che nella scuola pubblica si imparasse molto di più la musica che – lo ripeto – è il prodotto della nostra storia e della nostra cultura, semplicemente perché esso appartiene ai nostri orizzonti culturali.
«La musica, peraltro, si attaglia anche ai novi concetti di apprendimento che prediligono un approccio affettivo, emotivo e quindi, attraverso essa, si possono vincere competenze ed attenzioni in modo efficace contribuendo a formare emotivamente la personalità degli allievi.
«Per queste ed altre ragioni sono convinto che un apprendimento maggiore di questa disciplina sarebbe un servizio utile alla formazione del cittadino.
«D’altra parte, dalla radio ad internet ed ancora con i gingle che sentiamo nei centri commerciali, siamo bombardati di musica ogni giorno: conoscerla aiuterebbe a capire meglio noi stessi.≫
 
Come può l'insegnamento della storia della musica favorire l'inclusività e la coesione sociale tra gli studenti?
≪Si dice che la musica sia il più universale dei linguaggi umani. E questo è vero fino ad un certo punto (la musica indiana è diversa da quella cinese che, a sua volta, ubbidisce a criteri tecnici e fisici diversi dalla nostra).
«Ma è vero anche che l’arte dei suoni penetra in soppiatto in ciascuno di noi. Per questa ragione essa è un veicolo comunicativo straordinario.
«Ormai già da anni si cerca di lavorare nella scuola con il repertorio musicale. I bambini provenienti da paesi remoti portano il loro bagaglio musicale e noi portiamo il nostro. Si tratta di un incontro e non di uno scontro tra popoli.
«Scherzando dicevo una volta: portiamo la IX Sinfonia di Beethoven al fronte ucraino e insegniamo anche ai nostri antagonisti russi che Beethoven si augurava tutti gli uomini saranno fratelli. E lo ha fatto in musica.
«È un sogno, ovviamente, un’utopia, ma chissà, come la Bibbia racconta delle trombe presso le mura di Gerico, forse anche oggi un approccio diverso aiuterebbe l’umanità a pensare la società e le sue problematiche in modo diverso.
«Anche il Covid ci ha insegnato che la coesione e una politica sociale attenta aiuta i rapporti e fa scoprire ambiti umani impensati. La musica è di fatto inclusiva di per sé.≫
 

 
Quali aspetti della storia della musica dovrebbero essere prioritari nei curricula scolastici per garantire una formazione completa e bilanciata?
≪Il problema dell’apprendimento è che abbiamo sempre pensato che chi capisce la musica la sa anche praticare. Si tratta di un approccio dogmatico privo di senso.
«Questo modo di procedere si deve ancora alla Riforma Gentile che ha fatto dei Conservatori delle scuole tecniche di alto apprendimento tecnico. Tutto questo non è sbagliato, ma è molto riduttivo perché relega l’arte dei suoni ad un fatto esclusivamente tecnico del tipo: sei intonato? Allora sarai musicista! Sei stonato? La musica non è per te.
«Ora serve una rivoluzione culturale nella nostra mentalità, imparando a capire che la musica è in primis una disciplina umanistica, estetica ed antropologica. Essa è una delle tante espressioni dell’animo umano che può essere approcciata anche senza competenze specifiche.
«È un dono che un essere umano (la compositrice/il compositore) fa ad altri esseri umani (noi). Pensiamo anche ai campionati europei od alle altre manifestazioni sportive: l’inno nazionale scandisce momenti significativi della nostra realtà.
«Così come ci sono state musiche che, nel bene e nel male, si sono appiccicate a momenti importanti della storia della nostra civiltà. Da lì si può iniziare a lavorare per capire che la storia della musica è semplicemente la storia della nostra civiltà vista attraverso occhi molto particolari e stimolanti… da qui serve quella che definisco una rivoluzione culturale soprattutto da parte degli operatori che devono diventare il tramite di una nuova forma di apprendimento.≫
 

 
Come la sua esperienza come direttore del Conservatorio Monteverdi di Bolzano ha influenzato la sua visione sull'importanza dell'insegnamento della storia della musica nelle scuole?
≪A mio modo di vedere la situazione è molto migliorata negli ultimi anni. Soprattutto in Alto Adige ed in Trentino abbiamo Istituti musicali performanti che hanno numeri altissimi di allievi. Questo significa che, almeno nella nostra regione, la musica è un bene comune ben custodito (usando un gioco di parole) e molto ben gestito con iniziative in generosa qualità e quantità.
«Quindi anche i rapporti con le scuole pubbliche sono ottimali, almeno a Bolzano. Anche l’alternanza scuola-lavoro ha portato molti allievi delle scuole superiori che desiderano conoscere meglio il Conservatorio e questo ha prodotto risultati significativi.
«Certo, all’interno della macroregione-Euregion Tirolo c’è qualche squilibrio. Ad esempio, chi studia ad Innsbruck non paga tasse scolastiche ha servizi ampiamente migliori dovendo studiare meno anni per ottenere lo stesso titolo. Così si solleva un caso delicatissimo di involontaria concorrenza sleale, in quanto il sistema italiano (la elevazione dei Conservatori ad università) stenta a decollare, nonostante fosse previsto dalla legge 504 del 1999.
«In realtà si tratta di un problema che potrebbe essere risolto in Trentino Alto-Adige con leggi provinciali e/o regionali ad hoc che siano molto più coraggiose dell’inoperosità nazionale.
«In questo contesto, il Conservatorio di Bolzano e quello di Trento, intessono rapporti sempre più stretti con le scuole varando iniziative sempre più ambiziose, come, qualche anno fa l’esecuzione a Bolzano dei Carmina Burana di Carl Orff e la Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven dove l’orchestra è stata messa a disposizione dal Monteverdi e le scuole superiori di Bolzano ci hanno messo il coro coinvolgendo decine e decine di liceali.
«Il risultato? Migliaia di persone tra il pubblico ed auditori tutti esauriti tra Bolzano, Bressanone e Silandro. Un vero successo e, soprattutto, la nascita di amicizie e conoscenze tra i ragazzi. Questa sicuramente è la via giusta.
«Con le superiori il Conservatorio di Bolzano ha convenzioni sia nel mondo tedesco sia in quello italiano a tutto vantaggio degli allievi che possono studiare contemporaneamente sia in un’istituzione sia nell’altra. La cosa è ancora più agevole per Trento che ha un liceo al suo interno.≫
 
In che modo la sua appartenenza all'Akademie für Mozartforschung di Salisburgo ha arricchito la sua prospettiva sull'insegnamento della musica?
≪Quello dell’Akademie für Mozartforschung presso la Stiftung Mozarteum di Salisburgo era il sogno, l’obiettivo scientifico della mia vita. Sono molto felice di averlo potuto raggiungere prima del previsto.
«Per me è un’importante ed imprescindibile occasione di approfondimento, di aggiornamento, di studio e di ricerca, visto che Mozart rappresenta il punto fermo della mia vita.
«Chiaramente, quando faccio lezione - quest’anno ho tenuto un corso di Storia delle forme e dei repertori musicali sul Don Giovanni KV 527 del compositore salisburghese - essere aggiornati è un dovere oltre che un piacere.≫
 

 
Come vede la collaborazione tra istituzioni pubbliche e private nella promozione della cultura musicale nelle scuole?
≪Credo che la collaborazione tra le diverse istituzioni pubbliche, ma anche tra associazioni private, sia uno dei punti di forza e di orgoglio della nostra terra. Nonostante tutte i possibili sensi di invidia e/o concorrenza tra le diverse realtà, riusciamo piuttosto bene ad elaborare molte iniziative comuni.
«Lo scorso anno il MART, con il Conservatorio Monteverdi e l’Associazione Musica in aulis di Bolzano, ha realizzato una prestigiosa ed importante iniziativa su un altro personaggio legato al Trentino-Alto-Adige: Arturo Benedetti Michelangeli, presentandolo - grazie all’acume di Vittorio Sgarbi, Franco Panizza e Denis Isaia - sotto vesti inedite, inimmaginabili quanto diverse dai soliti cliché.
«Anche qui ribadisco: scopo della mostra non era quello di presentare il più grande pianista del Novecento in quanto tale, ma l’uomo con le sue particolarità, se vogliamo le sue stranezze, le sue competenze e, soprattutto, il suo genio. Michelangeli che lavora al Conservatorio di Bolzano e che abita in Trentino: pubblico e privato insieme.
«Credo che la mostra Arturo Benedetti Michelangeli: Portraits, realizzata tra via Bettini a Rovereto e Villa Lagarina (palazzo Libera), sia stato un esempio importante ed una dimostrazione che veramente l’unione fa la forza.
«La splendida collaborazione dell’ente Regione e delle due Province autonome è stato un ulteriore esempio virtuoso di collaborazione e di sostegno alla cultura.
«Ovviamente, vi sono tante altre iniziative del genere e bisogna proseguire proprio intensificando rapporti, contatti e collaborazioni. Anche la musica contribuisce alla formazione del cittadino, come sostiene Sonya Beretta nel volume Giustizia e musica presentato qualche settimana fa a Pergine Valsugana.≫
 

 
In base alla sua esperienza internazionale, quali modelli di insegnamento della storia della musica adottati in altri Paesi ritiene possano essere implementati con successo in Italia?
≪L’Italia soffre di un ritardo secolare dovuto a diverse ragioni. Noi che la musica l’abbiamo inventata (sicuramente implementata con competenze molto particolari come detto) soffriamo di un ritardo cronico e, appunto, secolare.
«Joseph Haydn ha ricevuto in Inghilterra un Dottorato ad Oxford alla fine del Settecento, se venisse in Italia la cosa è possibile solo a partire dall’anno prossimo (2025!). Anche la mancata promozione dei Conservatori a vere e proprie università (già realizzata in quasi tutti i Paesi d’Europa) è un fattore determinante che limita la nostra proposta.
«Un ragazzo che studia musica ad Innsbruck riceve una vera e propria laurea, un allievo di Trento o di Bolzano deve accontentarsi di un titolo di studio equipollente rinunziando ad una vera e propria laurea.
«Questa incapacità a livello nazionale si abbatte sulla nostra realtà che, sia per motivi culturali sia per motivi geografici, non ha nulla di diverso né di inferiore a quella austriaca e a quella tedesca, notoriamente molto performanti a livello mondiale.≫
 

 
Può condividere qualche esempio di buone pratiche osservate durante i suoi studi e il suo lavoro all'estero che potrebbero essere applicate nelle scuole italiane?
≪A dire il vero non ho tante esperienze di attività scolastiche all’estero in quanto frequento soprattutto il mondo dell’università, ma ho potuto vedere numerosi progetti interdisciplinari realizzati in cui la musica non sempre è il fine, bensì un mezzo pedagogico importante per raggiungere altri obiettivi.
«Con e attraverso la musica, in molte scuole austriache e bavaresi, si esercita l’aritmetica e si imparano le lingue straniere. Cantare una lingua anziché parlarla è molto più facile e naturale. La melodia è un veicolo formidabile e rende l’apprendimento più facile.
«Queste sono solo piccole cose che si possono fare e che possono migliorare notevolmente la qualità dell’apprendimento. Imparare una lingua straniera cantando facilita il percorso e questa sarebbe una piccola cosa che si può fare a breve e senza difficoltà applicative, sempre che il personale docente voglia partecipare a questo progetto, ma sono certo che sarebbe un piccolo ma importante esperimento virtuoso a costo zero.
«In molti paesi stranieri non si studia musica per educarsi ad essa, ma si utilizza la musica per imparare anche altro.≫

Nadia Clementi - [email protected]
Prof. Giacomo Fornari - [email protected]
 
Presentazione libro Giustizia e Musica: Fornari, Sandra Matuella, Paolo Curattolo e Sonya Beretta.

https://www.pacinieditore.it/prodotto/giustizia-musica-beretta-fornari/