Gestione unitaria del Ciclo Integrato dell’Acqua

Un preciso obiettivo da perseguire con forza anche in Trentino – Di Paolo Farinati

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Un altro tema fondamentale se il Trentino vuole garantirsi un sano sviluppo sostenibile è quello del Ciclo Integrato dell’Acqua, di quella preziosa e salubre acqua di cui il nostro territorio, in presenza di una piovosità e di una nevosità normali, è assai ricco.
Senz’acqua e sole si va poco lontani. Lo abbiamo capito durante l’estate 2022, allorquando parecchie località di montagna anche del nostro Trentino hanno potuto avere l’acqua solo se portata con le cisterne. La nostra storia ci dice molto: lo sviluppo economico e sociale, ad esempio, della mia città di Rovereto senza l’acqua delle sorgenti dello Spino e dell’Orco e del torrente Leno sarebbe stato ben diverso.
 
Non sarebbe sorta in città la fiorente industria della seta e non sarebbero state realizzate le varie rogge indispensabili per un minimo di igiene pubblica. A metà ‘800 fu costruita con denari pubblici e privati la famosa «canaletta», che dalle suddette sorgenti in quota portò l’acqua potabile in città. Nel settembre 1990 fu inaugurata la galleria di conduzione, che dalla stessa sorgente giunge dopo oltre tre chilometri alla Madonna del Monte, facendo pure da consistente serbatoio di acqua.
Per caduta l’acqua dello Spino arriva ai rubinetti di tutti i roveretani e degli abitanti di altri paesi della Vallagarina, quali Mori, Isera e altri borghi della Destra Adige. Un bel regalo della natura. Nel tempo molti sono stati gli investimenti fatti nella gestione dell’acqua a Rovereto, da parte del Comune cittadino prima, poi dalla ASM e negli ultimi due decenni dal Gruppo Dolomiti Energia.
 
Il Ciclo Integrato dell’Acqua richiede costantemente e anno dopo anno grandi investimenti, per garantire la qualità dell’acqua alla sorgente, per evitare perdite nella sua distribuzione a tutti gli utilizzatori, civili e produttivi, per depurarla opportunamente e quindi per restituirla «sana» al fiume.
La normativa di riferimento per l’intero territorio italiano, è la Legge 5 gennaio 1994 n. 36, chiamata anche  «Legge Galli», in quanto il relatore fu l’allora onorevole Giancarlo Galli. Una disposizione di grande importanza e di riconosciuta lungimiranza, dal momento che tale Legge ha avviato la ristrutturazione dei Servizi Idrici in Italia. Dagli ottomila gestori dell’acqua del 1999, dopo quasi trent’anni oggi sono qualche centinaio nel nostro Paese. Molti, però, sono ancora di piccole dimensioni, con poche risorse finanziarie e, quindi, incapaci di fare i dovuti investimenti.
 

 
La Legge 36 / 1994 chiariva e chiarisce come il Servizio Idrico Integrato è l’insieme dei servizi di captazione, di trasporto e di distribuzione dell’acqua, delle fognature e di depurazione delle acque.
Non è difficile comprendere la portata innovativa contenuta in questa definizione. Prima della riforma, in Italia erano molti i Comune che gestivano, direttamente o tramite una propria società municipalizzata, il servizio di acquedotto e delle fognature. Il Ciclo Integrato dell’Acqua era così diviso tra più soggetti, ovvero il Comune teneva l’acquedotto, mentre lasciava la depurazione e la fognatura ad aziende consortili oppure a soggetti pubblici e/o privati.
 
Ciò determina ancora oggi una frammentazione delle gestioni, con conseguente incapacità di fare i necessari investimenti al fine di ridurre, ad esempio, le enormi perdite di acqua potabile.
Aggiungiamo che il costo medio a cui paghiamo in Italia l’acqua del rubinetto è sempre stato considerato un canone per il servizio erogato. Con questa visione politico - giuridica si è giunti a tariffe molto basse, che portano ancora oggi a significative perdite nei bilanci comunali e ad una bassa qualità del servizio.
La «Legge Galli», necessaria per ovviare ai problemi sopra descritti, ha previsto una riorganizzazione del settore, sia di tipo territoriale che di tipo funzionale.
 
L’Italia è stata suddivisa in circa novanta aree, definite A.T.O. - Ambito Territoriale Ottimale - all’interno del quale il Servizio è affidato ad un unico Gestore, che si occupa dell’intero Ciclo Integrato dell’Acqua.
La riforma ha determinato due effetti molto importanti: ha portato ad una riduzione considerevole del numero dei gestori e, inoltre, ha cambiato la definizione della tariffa, calcolata ora in modo da coprire, oltre che il costo del servizio, anche i costi degli investimenti. Garantendo così efficienza, efficacia ed economicità alla gestione integrata del Ciclo dell’Acqua. Ma in Italia la strada da fare è ancora molta.
 

 
E in Trentino come siamo messi? Direi bene, sicuramente meglio che in altri territori. Abbiamo il Gruppo Dolomiti Energia che gestisce su tutta l’asta del fiume Adige, ovvero da Mezzolombardo ad Ala, la captazione, la distribuzione, le analisi di potabilità e salubrità, le fognature e la consegna ai vari depuratori, gestiti questi dalla Provincia di Trento. Sono oltre duecentocinquantamila gli abitanti serviti, ossia oltre la metà della popolazione trentina. Un’aggregazione virtuosa, che partì nel 1998 con la fusione tra ASM di Rovereto e SIT di Trento. Il suddetto Gruppo DE, la cui proprietà è per oltre il 70% pubblica, PAT e Comuni di Trento e Rovereto ne sono i maggiori Soci, attua annualmente importanti investimenti in tutte le fasi del Ciclo dell’Acqua.
 
Se lo può permettere in quanto ha le «spalle larghe», ovvero dispone di ingenti risorse date dalla dimensione del Gruppo e dal fatto di gestire servizi più ricchi del Ciclo dell’Acqua, quali la produzione e la distribuzione di energia elettrica e la distribuzione del metano.
Anche sulla base di precisi parametri europei, la Legge «Galli» individua l’Ambito Territoriale Ottimale in 500 mila abitanti: ovvero l’intero Trentino(!). Il tema urgente di oggi e dei prossimi anni è, quindi, quello di far entrare nella gestione integrata dell’acqua operata dal Gruppo DE altri territori del Trentino, al fine di dare una qualità omogenea del servizio a costi più bassi in tutta la nostra Provincia.  Fondamentale diventa la realizzazione del grande acquedotto di fondovalle, che unisca e metta in sicurezza gli abitanti lungo il corso trentino del fiume Adige.
 
Progetto pensato circa vent’anni fa e realizzato solo in parte, ma che la PAT e i Sindaci interessati, in particolare quelli di Trento e di Rovereto, devono riporre sul tavolo e dare ad esso la giusta priorità.
Ancor di più oggi, ovvero in un tempo in cui la siccità tocca anche il nostro territorio alpino. E’ questione di responsabilità politica e di buona volontà propria anche dei bravi pubblici Amministratori. Il tempo è sempre meno, mentre le idee e le risorse non ci mancano.

Paolo Farinati