«Sovranità criminale e relazioni tra mafie e stato»
Salvatore Lupo ha parlato sul tema attualissimo della «trattativa» tra mafia e Stato
L'Italia è un paese a sovranità limitata? Questo interrogativo è la premessa del Focus «Sovranità criminale» che, con Salvatore Lupo e Gaetano Savatteri, ha approfondito il ruolo e il peso delle organizzazioni criminali nel nostro Paese.
Contrastate dalle istituzioni ma anche in larga parte subite con rassegnazione dalla popolazione e in parte riconosciute come un vero e proprio potere, le organizzazioni mafiose esercitano un ruolo pervasivo in alcune regioni italiane: impongono regole, fanno affari e, come la cronaca ci ricorda, emettono sentenze e comminano punizioni.
Sono un potere in grado di limitare la sovranità della nostra democrazia? Se ne è parlato questo pomeriggio nella Sala Depero del palazzo della Provincia, a Trento.
L'incontro, a cavallo tra storia e cronaca, ha offerto spunti di riflessione in campo economico, giuridico, sociale e culturale.
Sovranità e mafia sembrano termini antitetici e inconciliabili, ma non lo sono, spiega Salvatore Lupo, professore ordinario di Storia contemporanea presso l'Università di Palermo e autore di numerosi studi sulla storia della società meridionale tra Otto e Novecento.
L'idea della statualità della mafia risale nel tempo, alle origini del fenomeno. La teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici all'interno della società offre un supporto concettuale a questa visione.
Il termine sovranità rimanda a quello di territorialità, perché il potere si esercita su uno spazio fisico che è più grande per gli stati e più piccolo per le mafie.
Sui territori in cui agisce, la mafia si muove come uno stato perché garantisce ordine in cambio di una sorta di imposta, il pizzo.
Nelle zone sotto il suo controllo spesso non viene consentito alcun reato. Nella Palermo di oggi, per esempio, nei mercati tradizionali, i borseggi non sono diffusi come in altri luoghi.
Il fenomeno mafioso è interclassista perché accomuna persone marginali e colletti bianchi.
Curioso è poi il fatto che accade spesso che la mafia si modelli sull'organizzazione statale: si è notato che la struttura delle famiglie mafiose corrisponde all'organizzazione territoriale dei Commissariati di Polizia.
Non esiste la mafia senza un'enfasi sull'elemento regolatore. Il mafioso si presenta infatti come protettore, come difensore della tradizione.
Quello della mafia è un ordine che non deriva dall'astrattezza di una norma ma dalla concretezza della pratica.
Non c'è modernizzazione che abbia intaccato la rappresentazione di sé stessa che la mafia fa. La forza del modello è quella di sopravvivere e riproporsi sempre uguale.
Stimolato dalle domande di Gaetano Savatteri, giornalista del Tg5, Salvatore Lupo ha parlato anche del tema, attualissimo, della «trattativa» tra mafia e Stato.
Ha ricordato che la criminalità organizzata non è onnipotente ma prospera negli spazi lasciati liberi dalle istituzioni.
Agli inizi fu il contrabbando delle sigarette, poi di morfina e di eroina in tempi più recenti a far prosperare la mafia.
Quanto alla «trattativa» il relatore ha sottolineato che anche la Magistratura, che sta indagando, è parte dello Stato, che gli apparati di sicurezza sono più di uno e anche la criminalità non è un monolite.
È quindi più preciso parlare, se fossero dimostrate nel corso dei processi, di responsabilità individuali.
Il paese, nonostante tutto, non deve dimenticare i successi importanti riportati nella lotta alla mafia, che ama pensarsi come un super potere, ma non lo è. C'è invece un sovrainvestimento simbolico nella mafia da parte dell'opinione pubblica.
Non basta disporre di capitali per diventare finanziere o imprenditore. Attraverso i movimenti di capitale e quelli migratori le mafie possono però riprodursi a distanza, riproponendo nel luogo di arrivo i caratteri originari e ibridandosi con altre forme locali di illegalità.
E' razzista ed falsa l'idea che le mafie si riproducono perché ci sono popoli particolarmente vocati a esportare questa modalità criminale: la maggior parte dei flussi migratori non produce mafia.
Le mafie non le fanno i capitali ma gli uomini; è vero però che la repressione passa anche dal seguire i flussi finanziari.
Si parla di mafia dal 1861 in poi, ma mai come dalla fine degli anni '80 del secolo scorso la mafia è diventata così centrale nel dibattito pubblico italiano.