Chi sono e quanti sono i terroristi dell’IS – Di Stefania Azzolina

I combattenti altamente qualificati sono circa 25.000 unità, i foreign fighters sono circa 2.000 occidentali, principalmente europei, nordamericani e australiani

Stamattina avevamo pubblicato intitolato «Attentati di Parigi: dichiarazione di guerra all’Europa e alla civiltà», precisando la difficoltà a individuare un nemico praticamente invisibile e di cui non si sa praticamente nulla e di cui non si comprende neppure per quale motivo ce l’abbiano con il mondo occidentale.
Stefania Azzolina, analista Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali) che fornisce analisi internazionali alle massime istituzioni dello Stato, ha cortesemente elaborato una serie di riflessioni per dare una fisionomia al nemico terrorista.

A Parigi abbiamo assistito ad un’operazione terroristica il cui modus operandi non permette di fare alcun termine di paragone con azioni effettuate in passato in Occidente da miliziani di ispirazione jihadista.
La grande capacità di coordinamento tra i singoli gruppi di fuoco permette infatti di poter definire gli attentati parigini una vera e propria operazione militare, svolta dai terroristi all’interno del territorio nazionale francese.
Tutto ciò non può essere frutto di singoli fanatici ma richiede un centro di comando e controllo, a regia di tutte le azioni simultanee.
 
A ben vedere, la difficoltà di combattere la minaccia terroristica sta nel superamento delle logiche tipiche di guerra convenzionale che al contrario permetteva di individuare con chiarezza le parti in causa e loro rispettivi obbiettivi.
La comunità degli Stati, infatti, ha da sempre cercato di scindere tra obbiettivi legittimi e non, tra combattenti e civili, in modo tale da poter limitare con ogni mezzo possibile, sia in maniera temporale che spaziale nel campo di battaglia, l’impiego della violenza politica nelle relazioni internazionali.
Al contrario il terrorismo agisce completamente al di fuori di qualsiasi regola, cercando di imporre progressivamente il campo di battaglia all’interno delle società civili occidentali, per creare un clima permanente di terrore e insicurezza.
Il caso parigino rappresenta in tal senso una nuova evoluzione, soprattutto in riferimento alla natura degli obiettivi scelti.
Se fino a ieri vi era stata la selezione di target dal valore politico o simbolico, questa volta la scelta di posti frequentati da molta gente comune ha avuto un impatto ancor più duro sull’intera opinione pubblica mondiale, veicolando un messaggio di perenne e globale condizione di pericolo anche negli spazi della quotidianità.
 
La figura che permette di dare un’identità a coloro che perpetrano questi attacchi è quella dei foreign fighters, spesso ragazzi giovani, figli di immigrati di seconda o terza generazione ma cittadini europei a pieno titolo.
Nella maggior parte dei casi si tratta di soggetti deboli, emarginati dalla società circostante e quindi maggiormente permeabili dalla propaganda fondamentalista.
La cittadinanza europea permette loro di muoversi liberamente su tutto il territorio comunitario e di utilizzare il Know how acquisito spesso nel corso di viaggi nei territori controllati dai gruppi jihadisti, per colpire le nazioni di appartenenza.
 
In generale vi è una grande difficoltà nel reperire informazioni dettagliate volte a quantificare l’entità del fenomeno jihadista, soprattutto in riferimento alle diverse zone di origine.
Focalizzando l’attenzione sulle milizie dello Stato Islamico in Siria e Iraq, ad esempio, la complessità di avere una stima precisa deriva dal processo evolutivo che il gruppo jihadista ha conosciuto nell’ultimo anno.
Il reclutamento di nuovi adepti è avvenuto spesso tramite vie anticonvenzionali su base locale e attraverso l’incorporazione di personale con esperienza militare dai ranghi degli eserciti iracheno e siriano o di combattenti appartenenti a fazioni contrapposte ai rispettivi regimi, tutti fenomeni difficilmente valutabili dal punto di vista quantitativo.
Bisogna considerare inoltre l’afflusso costante dei foreign fighters, anche in questo caso non facilmente quantificabile.
Complessivamente i dati più attendibili si riferiscono a un nucleo duro di combattenti altamente qualificati compresi tra le 20.000 e le 30.000 unità, per arrivare ad una stima di circa 100.000 miliziani tenendo conto della miriade di milizie paramilitari che ad oggi collaborano con IS e dell’imposizione nelle città controllate della coscrizione obbligatoria.
Riguardo le stime sui foreign fighters anche in questo caso i dati oscillano tra i 20.000 ed i 30.000 combattenti di cui circa 2.000 occidentali, principalmente europei, nordamericani e australiani.
 
L’Italia, a livello di composizione sociale, presenta delle notevoli differenze, ad esempio, dal più complesso contesto francese e questo potrebbe determinare per il nostro Paese una minaccia lievemente inferiore.
Ciò nonostante già da diversi mesi, e dopo gli eventi di ieri ancor di più, le forze politiche e di sicurezza hanno adottato tutte le misure necessarie a affrontare il fenomeno terrorista di stampo jihadista.
Tutto questo, ovviamente, in un quadro di collaborazione a livello comunitario e internazionale, in quanto ormai è sempre più chiaro come non ci si trovi di fronte a minacce per i singoli Paesi bensì a un unico fronte globale del terrore.
 
Stefania Azzolina
(Ce.S.I)