Via degli Abati da Pavia a Pontremoli/ 3 – Di Elena Casagrande

Molti preferiscono iniziare la Via degli Abati da Bobbio, luogo simbolo di questo cammino con l’antica Abbazia di San Colombano, uscendo dal mitico Ponte Gobbo

La Basilica Abbaziale di San Colombano.
Link alla puntata precedente.
 
  Le faggete ancora secche ci separano dalla vista della Val Trebbia e dell’Abbazia 
A Nibbiano (dove si arriva da una variante della Via degli Abati) ci gustiamo una cena come si deve e senza fretta. La scelta cade su pisarei e fasö (gnocchetti di farina e pangrattato conditi con sugo e fagioli) e sulla costata alla griglia, vista l’ottima carne della zona. Anche se il mulino è affollato, le stanze di sopra sono tranquille e la nottata passa veloce.
Il pensiero, l’indomani, è quello di tornare a Romagnese, dove abbiamo terminato la tappa ieri. Per fortuna troviamo una coppia di sessantenni, col furgone, che sta andando in zona per partecipare ad una gara di moto e che ci accompagna volentieri. In poco tempo riagganciamo il sentiero 101 per Sassi Neri. Il bosco di faggi è ancora tutto secco. Alcuni ragazzi stanno facendo motocross sul cammino. «Per fortuna niente fango!» – dico a Teo. Finito il bosco sbuchiamo sulla strada. Allo Chalet Volpe, un locale in stile pop-art, ci concediamo una pausa. Urge una bevanda calda.
 

Nei pressi di Sassi Neri.
 
  La Domenica delle Palme entriamo nella Chiesa Abbaziale di Bobbio 
Dallo chalet si scende tra tornanti e campi verdi fino alla Cappella della Madonna di Caravaggio. Esce il sole e la temperatura finalmente si alza. Sulla nostra destra c’è il Monte Penice. Da lassù Teodolinda indicò a Colombano i terreni che lei e il re Agilulfo gli stavano donando.
Al borgo di Poggio Santa Maria la Valle del Trebbia comincia a mostrarsi più nitidamente. L’emozione è forte quando scorgo, da lontano, il Castello Malaspina – Dal Verme, le torri del Duomo e l’Abbazia. Mancano ancora 3 km. Ci arriviamo dalla strada Squera.
Subito ci intrufoliamo dentro la Basilica. Per terra è pieno di foglie d’olivo. Le colonne dipinte mi
danno una sensazione di maestosità ed eleganza. Teo trova ancora qualche ramo, un residuo della Domenica delle Palme e col nostro mazzetto scendiamo alla Cripta. Vogliamo vedere il sepolcro di San Colombano: d’altronde siamo qui per lui.
 

La Cappella della Madonna di Caravaggio.
 
  Per capire la storia dell’Abbazia è opportuno visitare il Museo diocesano 
Nella Cripta si respira molta spiritualità. È vuota e possiamo raccoglierci in pace davanti alla sua tomba. Sono momenti senza tempo e molto personali. Fuori dalla cripta c’è un incredibile pavimento musivo romanico raffigurante le stagioni, bestie fantastiche e la battaglia dei Maccabei. Fu scoperto casualmente nel 1910, durante alcuni lavori di restauro.
Usciti dalla Basilica prenotiamo la visita guidata al Museo diocesano. Ha sede in quello che era lo scriptorium del Monastero. Qui si arrivarono a contare più di 700 codici e 25 manoscritti fra i più antichi della letteratura latina. Nel museo, tra i pezzi più rilevanti, si trovano l’idria in alabastro che il Papa donò ai monaci di Bobbio per legittimare la regola di Colombano, la lapide funeraria dell’Abate Cumiano (un monaco scozzese, che divenne abate, precettore di Liutprando e responsabile dello scriptorium) e le ampolle dei pellegrini (una sorta di souvenir religiosi medievali).
 

L’arca di San Colombano.
 
  Bobbio è uno dei più bei borghi d’Italia e spesso è presa d’assalto dai turisti 
Il Monastero è ancora oggi una parte importante del tessuto urbano di Bobbio, visto che nelle sue strutture vi sono musei, piazze, giardini e la scuola media statale. Ma in città oltre alla Basilica abbaziale c’è pure il Duomo di Santa Maria, dato che Bobbio divenne sede vescovile nel 1014. Nei secoli addietro l’Abbazia (divenuta feudo imperiale coi Franchi) tentò di rimanere indipendente e di preservare i suoi domini, ma con la definitiva sottomissione al Vescovo, nel 1200, cominciò il suo lento declino.
È piacevole passeggiare tra le vie del borgo, ornate di bei palazzi e graziose piazzette, anche se spesso sono zeppe di turisti. Il suo monumento più famoso, più fotografato e più «magico» è il Ponte Gobbo sul Trebbia. Lungo 280 metri, consta di 11 arcate irregolari. Ha origini romane ma ha subito vari rimaneggiamenti. Non fotografare Bobbio col suo ponte sarebbe quasi un sacrilegio.
 

Il Ponte Gobbo o Ponte Vecchio di Bobbio.

  Un albergatore di qui viene in vacanza in Trentino anche se dice di temere l’orso 
La Via degli Abati esce proprio dal Ponte Gobbo. San Colombano è ricordato anche qui, da un capitello. Attraversato il fiume si sale, a destra, tra i campi. I contadini sono al lavoro. Maggiociondoli fioriti, biancospini e spighe di epilobio colorano il sentiero fino a Santa Cecilia e ancora su, fino a Fontana.
Al termine di una salitella nel bosco, sbuchiamo davanti all’Albergo Pineta. È chiuso, ma incontriamo il proprietario che sta facendo scaricare le cassette delle bevande in vista della prossima apertura. Viene in vacanza ad Andalo e Molveno e ci racconta dell’attacco di un orso ad un suo collega albergatore, durante la raccolta del miele. «Ci ha giocato come con una bambola di pezza!» - racconta. «Beh, se gli hanno dato solo 200 punti, ma è ancora vivo, gli è andata bene!» – commento con Teo. Ed ancora: «Chissà perché da noi i giornali non ne hanno parlato».
 

Bobbio dall’alto.
 
  A Coli ci dicono che non si possono visitare né la Chiesa né la Grotta di San Michele 
La Via degli Abati continua in costa per un po’, per poi scendere verso Coli. San Colombano trascorse i suoi ultimi giorni, da eremita, nella Spelonca di San Michele, qui vicino. Purtroppo, una frana l’ha resa temporaneamente inagibile ed è impossibile andare a vedere la grotta e quel che resta della chiesetta di San Michele, addossata alla roccia. Anche la chiesa del paese, ove è custodita la Crux Michaelica (una stele con croce del VIII – X secolo), è chiusa e la signora incaricata di aprirla dice che è anziana e non ce la fa ad accompagnarci. Pazienza!
Puntiamo direttamente al valico della Sella dei Generali. Dopo alcuni strappi scendiamo di nuovo, attraversiamo un paio di torrenti e poi di nuovo su fino ai ruderi del Castello di Faraneto, oggi azienda agricola. In uno dei tornanti nel bosco Teo si imbatte in uno yak. «Che spavento!» – esclama, voltandosi verso di me. «Da dietro sembrava proprio un orso!» – dice. Gli credo. Sentito il racconto di prima, avrei preso un colpo pure io.
 

Uno yak sul sentiero per Faraneto.
 
  Sono terre poco abitate, ma molto amate da chi le ha lasciate per lavoro 
Di buona lena passiamo da Cornaro e Pescina. Qui, sulla strada, passa un signore col trattore. Si ferma. Ci dice di sbrigarci perché il tempo volge al brutto. Racconta che è in pensione e che, finalmente, è potuto tornare a vivere qui, anche se solo. La moglie, che ancora lavora, sta a Piacenza e lo raggiunge nel week end. Mi fa tenerezza. Mano a mano che si sale verso il valico della Sella dei Generali, il paesaggio diventa quasi lunare, tra rocce e pietre scure ricoperte di licheni.
Una volta al passo imbocchiamo una comoda carrareccia. Peccato solamente per la pioggia, sottile, che comincia ad infastidire, bagnandomi occhiali e capelli. «Mi sembra di essere in Aragón, su una di quelle piste forestali dopo Viver de la Sierra, clima a parte!» – dico a Teo. Alla località Fontanone, dove – ovviamente – c’è un enorme abbeveratoio per le mucche, seguiamo le indicazioni per Mareto. Alloggeremo lì, in mezza pensione.
 

Verso Sella dei Generali.
 
  È bello, dopo la pioggia e il vento, trovare un posto accogliente dove stare 
A Mareto, vicino alla chiesa, vediamo due ragazze in infradito. «Sono per forza due pellegrine» – esclamo. Ci si riconosce subito, tra simili. «È questo l’Albergo dei Cacciatori?» – chiedo loro. «Sì, sì». Bene, a quanto pare siamo in compagnia. All’interno c’è anche un’altra e numerosa compagnia di viandanti. Corriamo a farci la doccia. A cena ci viziano con le specialità del posto: torta di patate, tortelli di patate ai funghi, faraona ripiena con asparagi e radicchi di campo e la «pìcula 'd caval». Il proprietario mi spiega che la «piccola» (porzione ridotta) era la merenda del mattino per i facchini del mercato ortofrutticolo e per i ferrovieri di Piacenza. È un ragù di carne di cavallo, cotta per ore nel suo soffritto con le verdure.
A Piacenza, infatti, fin dai tempi dell’impero romano, si consuma la carne dei cavalli delle guarnigioni militari giunti «a fine carriera». In un clima festoso, facciamo il pieno di energia per la tappa di domani.
 

La «piccola» di cavallo.

Elena Casagrande – [email protected]

(La quarta puntata della Via degli Abati sarà pubblicata mercoledì 3 aprile 2024)