Medaglia d’onore a Bruno Pellegrini, Riva del Garda

Fu fatto prigioniero dopo l’8 settembre 1943: il suo fu il destino degli Internati militari deportati per aver rifiutato di combattere con i tedeschi

Si è svolta sabato 27 gennaio a Trento la cerimonia di conferimento della medaglia d'onore concessa dal presidente della Repubblica ai cittadini italiani deportati e internati nei lager nazisti. Delle sette medaglie, una è stata riconosciuta a Bruno Pellegrini (1907-2000), rivano nato a Varone che dal 9 settembre 1943 al 12 ottobre 1945 fu internato in un lager nazista in Prussia Orientale, nell’attuale Polonia.

A consegnare la medaglia, a Palazzo Geremia, il commissario del Governo Filippo Santarelli; a riceverla, le figlie di Bruno Pellegrini Maria Grazia e Rita, accompagnate dal vicesindaco Silvia Betta.
Precisamente, le sette persone cui in Trentino è stata riconosciuta quest’anno la medaglia d’onore sono definiti Imi (Italienische Militär-Internierten, Internati militari italiani), termine adottato dai tedeschi nei confronti dei soldati italiani catturati, rastrellati e deportati nei territori del Terzo Reich nei giorni immediatamente successivi all'armistizio di Cassibile dell’8 settembre1943, per essersi rifiutati di combattere nell’esercito tedesco.

Gli Internati militari italiani furono circa 650mila, di cui 7522 trentini.
Inizialmente considerati prigionieri di guerra, in seguito cambiarono lo status in «internati militari»: in questo modo la Germania poté evitare di riconoscere loro le garanzie delle Convenzioni di Ginevra.
Dall'autunno del 1944 alla fine della guerra diventarono lavoratori civili, così da poter essere utilizzati come manodopera coatta senza godere delle tutele della Croce Rossa.
 
«Per me è stato molto commovente – dice il vicesindaco Betta – non solo per la solennità e l’intensità di un simile momento, ma anche perché conosco benissimo la famiglia.
«La figura di Bruno Pellegrini è molto conosciuta e stimata, a Varone e in generale a Riva del Garda, e sono contenta che il suo gesto, che gli è costato due anni terribili in un lager, la lontananza dalla famiglia e il rischio di non sopravvivere, sia stato riconosciuto come merita.»
 
Nei racconti di Bruno Pellegrini ai familiari, la fame e il freddo, le privazioni e le umiliazioni, il corpo che si consumava giorno dopo giorno, le marce forzate, i compagni di viaggio divorati a morte dalla stanchezza e dal gelo.
E una vita aggrappata alla speranza di riabbracciare la famiglia, in una situazione in cui la differenza tra la vita e la morte aveva il peso del battito d'ali di una farfalla.
Catturato a San Paolo di Appiano, dopo cinque giorni di viaggio in treno in un vagone arrivò nel lager che pesava 78 chili: dopo 60 giorni di prigionia ne aveva persi 30.
Fu fatto prigioniero dopo l’8 settembre 1943: il suo fu il destino degli Imi, gli Internati militari deportati per aver rifiutato di combattere con i tedeschi.