Storie di donne, letteratura di genere/ 556 – Di Luciana Grillo

Ferlin, «In questa notte afgana» – Una storia vera e dura sulla condizione femminile in Afganistan, dove l'unica speranza è che il marito (imposto) sia... gentile

Titolo: In questa notte afgana
Autrice: Pamela Ferlin
 
Editore: Piemme, 2023
Genere: Letteratura femminile di accusa
 
Pagine: 240, Rilegato
Prezzo di copertina: € 17,90
 
Un libro arriva, lo appoggio sulla scrivania e poi, inspiegabilmente, finisce nella colonna dei libri già letti.
Lo ritrovo dopo alcuni mesi, lo leggo con grande interesse e la sera che arrivo all’ultima pagina su facebook trovo il messaggio di un’amica.
Dice che finalmente Aziza è arrivata in Italia! Aziza è una delle protagoniste del libro e all’aeroporto la riceve Pamela Ferlin, l’autrice.
 
Mi sono quasi commossa, perché Aziza e Sima sono entrate nel mio cuore; leggendo la loro storia, il loro coraggio, le privazioni e i rischi che hanno corso mi sono sentita coinvolta, avrei voluto anche io, come la giornalista che le aiuta e mantiene con loro una corrispondenza in un inglese semplice ma efficace, fare qualcosa per loro, incoraggiarle a non mollare, a non piegarsi ai divieti dei talebani, a buttare via il velo che deve coprire anche i loro occhi.
In qualche modo, questa è una recensione atipica; ho già detto troppo…
 
I talebani hanno preso il potere, «il loro avvicinarsi sconquassa la nostra già fragile precarietà… tutte le ragazze che hanno studiato e si sono emancipate, che non hanno mai conosciuto l’obbligo del burqa e a cui è stata prospettata la possibilità di costruire una vita plasmata sui loro desideri, stanno per veder decapitata la loro esistenza…».
La giornalista, che è stata in Afghanistan e ha conosciuto gli hazara, una minoranza sciita perseguitata da secoli, ripensa alle bambine che ha incontrato, che frequentavano le scuole e ora sono diventate donne e forse vanno all’università: «i talebani, ora che sono tornati al potere, le prenderanno di mira. Le useranno per mostrare a tutti che le donne devono stare al loro posto, in casa, sottomesse agli uomini… le cacceranno dalle università e le obbligheranno a sposarsi il prima possibile».
 
Pamela comincia così un dialogo a distanza con Sima, che aveva vinto una borsa di studio e frequentava l’università a Kabul, ma nello stesso tempo si sente in colpa perché le sembra di trascurare le sue figlie. Non a caso la maggiore, Matilde, la rimprovera di avere sempre il telefono in mano.
La giornalista si sente impotente, vuole fare qualcosa perché si sappia cosa sta accadendo in quel Paese lontano, perciò comincia a pubblicare un «Diario afgano» come se fosse Sima, fuggita da Kabul e tornata a casa, in un piccolo villaggio dove ha frequentato la scuola aperta da un’associazione italiana: «La prima cosa che ho fatto al risveglio è stato controllare se sul mio cellulare era ancora attivo Messenger. Vivo la precaria condizione di chi sa che tutti i ponti con l’esterno sono fragili e che tutti i diritti fino a qui conquistati possono essere cancellati».
 
Il Diario racconta di giorno in giorno ansie e paure, rapporti sempre più difficili con le amiche: «tratteniamo le parole, non solo per il terrore di essere intercettate, ma anche perché non sappiamo più cosa dirci. Stanno iniziando a spegnersi prospettive e speranze… forse devo re-imparare a sognare. Sognare di sopravvivere e smetterla con quella illusione di “vivere” … Siamo tante, siamo piene di vita e di sogni… non sappiamo come fare la nostra parte. Siamo piccole, impotenti, vulnerabili e abbiamo paura…non è facile combattere il terrore…».
 
A Sima si aggiunge Aziza, che è rimasta a Kabul e riesce a riprendere l’università, quando i talebani lo permettono.
A un’altra ragazza, Layla, è addirittura negata la sua stessa esistenza. Perché sia libera, la mamma e lo zio l’hanno da sempre considerata un ragazzo, le hanno cambiato il suo nome in Karim…altra storia che si intreccia con quella di Sima.
E poi c’è Saleh, che alle ragazze lascia la sua casa…
 
Bisogna leggerlo tutto questo libro per capire un mondo lontano da noi, per accettare l’idea che Matilde e Rebecca, figlie della giornalista, sono nate dalla parte giusta del mondo, per convincere le giovani donne che anche da noi i diritti conquistati non devono mai essere considerati scontati.
Grazie, Pamela, di averci fatto entrare in una storia così vera e così dura, soprattutto per chi, nonostante abbia voglia di studiare ed emanciparsi, deve accettare il matrimonio, sperando che lo sposo sia «gentile».

Luciana Grillo - [email protected]
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