Il 9 agosto di cent’anni fa il volo su Vienna di D’Annunzio

Unica prescrizione: «Il volo avrà carattere esclusivamente dimostrativo; è vietato quindi recare qualsiasi offesa alla città»

Il biposto utilizzato da Gabriele D’Annunzio per il raid su Vienna è conservato nel Vittoriale.

Gabriele D’Annunzio l’aveva pensata già prima di Caporetto. Una missione ardita che lasciasse il segno nella storia e che dimostrasse all’Impero asburgico che l’Italia era pronta per il gran balzo.
In realtà, il ruolo di D’Annunzio fu per tutta la guerra quello di un Testimonial ante litteram. La sua notorietà mondiale lo rendeva perfetto in questa parte e lui non chiedeva di meglio che compiere gesti clamorosi che appagassero il suo Io smisurato.
Il Comando supremo, però, aveva sempre negato il permesso di compiere un volo su Vienna. Nel caso – non poi così remoto – di un suo abbattimento o, peggio ancora, di una sua prigionia, l’intero Regio Esercito avrebbe fatto una figura meschina.
 
Ma poi le cose cambiarono. La ritirata di Caporetto e il rischio concreto di una disfatta completa, imposero l’Alto Comando ad attivare azioni che oggi definiremmo di Pubbliche Relazioni per convincere gli Italiani che il Paese sarebbe riuscito a reagire e vincere.
Inoltre, la cosiddetta Beffa di Buccari (vedi) aveva dato lustro alla Regia Marina, ingenerando nell’esercito una notevole dose di invidia…
Insomma, i dinieghi si fecero sempre più affievoliti, finché ad un certo punto D’Annunzio ottenne il via libera.
L’autorizzazione dettava una precisa condizione: «Il volo avrà carattere esclusivamente dimostrativo; è vietato quindi recare qualsiasi offesa alla città.»
Il messaggio, nel quale si affidava il comando al maggiore Gabriele D’Annunzio, concludeva con una frase dannunziana: «[La missione] sarà il fausto presagio della Vittoria».
 

 
In quell’anno di attesa Gabriele D’Annunzio non era rimasto con le mani in mano e da tempo aveva affrontato i problemi tecnici dell’iniziativa. Già il 4 settembre 1917 (20 giorni prima di Caporetto) aveva compiuto un volo di 10 ore su un Caproni Ca3, pilotato dai tenenti Pagliano e Gori, percorrendo più di 1.000 chilometri senza riscontrare alcun problema.
Quando fu il momento di passare al piano operativo, però, furono scelti altri apparecchi, gli SVA, acronimo dei due progettisti Savoia e Verduzio e della Ansaldo. Gli aerei, che dovevano essere 13, dovettero essere adattati alle caratteristiche della missione.
Anzitutto uno degli aerei doveva essere un biposto, dato che D’Annunzio non aveva il brevetto da pilota. Poi i serbatoi di carburante dovevano essere aumentati notevolmente e, infine, l’aerodinamica andava modificata per diminuire il consumo. Il tecnico che mise mano ai velivoli fu Ugo Zagato, che divenne poi famoso per le sue elaborazioni nella storia delle automobili.
 
Venne tracciata una rotta precisa. Gli aerei sarebbero decollati dall’aeroporto di San Pelagio nei pressi di Padova, avrebbero risalito la valle del Piave fino a raggiungere le sorgenti della Drava (in quel punto nascono il Piave, l’Isonzo e la Drava) e avrebbero percorso la valle della Drava in Carinzia e a Graz avrebbero fatto il punto per dirigersi a nord su Vienna.
Un primo tentativo avvenne il 2 agosto. Decollarono puntuali ma, a causa della nebbia incontrata sulle Alpi, i 13 apparecchi dovettero rinunciare all’impresa. E le cose non andarono bene neanche al rientro: solo sette apparecchi riuscirono a tornare alla base di partenza, perché gli altri dovettero atterrare altrove. E tre di essi furono dichiarati inutilizzabili.
La missione non era cominciata bene, ma ci voleva ben altro per fermare i nostri eroi.
 

 
L’8 agosto partirono, stavolta in 11, ma in quota incontrarono forti correnti contrarie che, costringendo gli apparecchi a un eccessivo consumo di carburante, fu deciso il rientro alla base.
Stavolta il progetto fu a due passi dall’archiviazione, anche perché era stato disposto che la missione doveva essere composta da almeno 5 apparecchi. Era giunto il momento delle decisioni irrevocabili.
Quella notte D'Annunzio convocò nell'hangar i piloti più fidati: Natale Palli, Antonio Locatelli, Gino Allegri, Aldo Finzi, Piero Massoni, Giuseppe Sarti, Ludovico Censi e Giordano Granzarolo e disse loro che stavolta sarebbero partiti a tutti i costi.
«Se non si arriva su Vienna – giurò e si fece giurare – non si tornerà indietro.»
Poco dopo, alle ore 5.30, gli 11 velivoli presero il volo, diretti a Vienna. Era il 9 agosto 1918.
 
Tre aerei, purtroppo, furono costretti al rientro immediato per avaria, e i piloti Francesco Ferrarin, Masprone e Vincenzo Contratti dovettero rinunciare alla missione.
Gli otto aerei superstiti stavolta proseguirono la missione regolarmente. Raggiunsero la valle della Drava e sorvolarono le città di Reichenfels, Kapfenberg e Nenberg.
Nessun agguato da parte dei caccia austriaci. Una volta, due aerei nemici li avvistarono e atterrarono apposta per dare l’allarme. Ma non furono creduti.
Ma sui cieli di Viener Neustadt, quando ormai si vedeva all’orizzonte la città di Vienna, si verificò un altro incidente. L’aereo del pilota Giuseppe Sarti dovette atterrare per noie al motore. Riuscì ad incendiare il velivolo prima di essere fatto prigioniero.
Gli altri sette aerei raggiunsero indisturbati il cielo di Vienna dove, grazie al cielo limpido, poterono abbassare la quota a 800 metri. E lì, sempre in formazione a cuneo, sorvolarono la città, dando modo a D’Annunzio di scaricare 50.000 volantini (per un peso di 20 kg) in modo che i viennesi si rendessero conto di quanto stava accadendo.
I volantini portavano un messaggio scritto in italiano in bianca e in tedesco in volta.
Li vediamo nei due riquadri.

VIENNESI!
Imparate a conoscere gli italiani.
Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà.
Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne.
Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e d'illusioni.

VIENNESI!
Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l'uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s'è volto contro di voi.
Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell'Ucraina: si muore aspettandola.
 
POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati!
VIVA LA LIBERTÀ!
VIVA L'ITALIA!
VIVA L'INTESA!
 
 
 
         
 
 
 
  
 
WIENER!
Lernt die Italiener kennen.
Wenn wir wollten, wir könnten ganze Tonnen von Bomben auf eure Stadt hinabwerfen, aber wir senden euch nur einen Gruss der Trikolore, der Trikolore der Freiheit.
Wir Italiener führen den Krieg nicht mit den Bürgern, Kindern, Greisen und Frauen. Wir führen den Krieg mit eurer Regierung, dem Feinde der nationalen Freiheit, mit euren blinden, starrköpfigen und grausamen Regierung, die euch weder Brot noch Frieden zu geben vermag und euch nur mit Hass und trügerischen Hoffnungen füttert.
 
WIENER!
Man sagt von euch, dass ihr intelligent seid, jedoch seitdem ihr die preussische Uniform angezogen habt ihr seid auf das Niveau eines Berliner-Grobians herabgesunken, und die ganze Welt hat sich gegen euch gewandt.
Wollt ihr den Krieg fortführen? Tut es, wenn ihr Selbstmord begehen wollt. Was höfft ihr? Den Entscheidungssieg, den euch die preussische Generale versprochen haben?
Ihr Entscheidungssieg ist wie das Brot aus der Ukraina: Man erwartet es und stirbt bevor es ankommt.
 
Bürger Wiens! Bedenkt was euch erwartet und erwacht!
HOCH LEBE DIE FREIHEIT!
HOCH LEBE ITALIEN!
HOCH LEBE DIE ENTENTE!

Dopo aver sganciato i volantini, i sette aerei ripresero quota e intrapresero la via del ritorno, su una rotta totalmente diversa per ovvi motivi di sicurezza.
Misero la prua a sud ovest, diretti a Lubiana. Da lì puntarono su Trieste e sorvolarono l’Adriatico.
A Trieste, dato l’allarme, un idrovolante austriaco si era alzato in volo per intercettarli, ma non era riuscito neppure a vedere i nostri aerei né a raggiungere la quota necessaria.
Sorvolando il mare, gli aerei furono avvistati dai nostri caccia torpedinieri che, non essendo stati informati, li scambiarono per aerei nemici. Ma non accadde nulla.
Giunti a Venezia, sganciarono altri volantini, destinati al sindaco della città e all’Ammiraglio comandante, nei quali si leggeva che la missione era stata compiuta.
Atterrarono a Padova alle ore 12.40, dopo sette ore e 10 minuti e dopo aver percorso 1.000 chilometri, 800 dei quali in territorio nemico.
Questo il comunicato ufficiale.

Zona di guerra, 9 agosto 1918.
Una pattuglia di otto apparecchi nazionali, un biposto e sette monoposti, al comando del maggiore D'Annunzio, ha eseguito stamane un brillante raid su Vienna, compiendo un percorso complessivo di circa 1.000 chilometri, dei quali oltre 800 su territorio nemico.
I nostri aerei, partiti alle ore 5:50, dopo aver superato non lievi difficoltà atmosferiche, raggiungevano alle ore 9:20 la città di Vienna, su cui si abbassavano a quota inferiore agli 800 metri, lanciando parecchie migliaia di manifesti.
Sulle vie della città era chiaramente visibile l'agglomeramento della popolazione.
I nostri apparecchi, che non vennero fatti segno ad alcuna reazione da parte del nemico, al ritorno volarono su Wiener-Neustadt, Graz, Lubiana e Trieste.
La pattuglia partì compatta, si mantenne in ordine serrato lungo tutto il percorso e rientrò al campo di aviazione alle 12:40.
Manca un solo nostro apparecchio che, per un guasto al motore, sembra sia stato costretto ad atterrare nelle vicinanze di Wiener-Neustadt.

Anche D'Annunzio, esultante per il buon esito della sua impresa, inviò alla Gazzetta del Popolo di Torino il seguente telegramma.
«Non ho mai sentito tanto profondo l’orgoglio di essere italiano. Fra tutte le nostre ore storiche, questa è veramente la più alta… Solo oggi l’Italia è grande, perché solo oggi l’Italia è pura fra tante bassezze di odii, di baratti, di menzogne.»
 
Mai l’utilizzo di un testimonial d’eccezione come D’Annunzio che volò su Vienna ebbe una tale redemtion.
Pur essendo stato militarmente inoffensivo, il volo su Vienna ebbe una vastissima eco morale, psicologica e propagandistica sia in Italia che all'estero, compromettendo sensibilmente l'opinione pubblica dell'Impero asburgico.
La stessa stampa austriaca accolse favorevolmente l'«incursione inerme» (come fu definita perché non arrecò offesa alla città) degli aerei italiani a Vienna.
Analogamente, il Frankfurter Zeitung condusse una critica aspra e virulenta «non contro gl’Italiani, ma contro le autorità, a cui i Viennesi devono gratitudine per la visita degli aviatori. La popolazione non fu avvisata prima, e non fu dato l’allarme quando gli aviatori arrivarono.
«Non occorre dire quale catastrofe poteva accadere se, invece di proclami, avessero gettato bombe. Non si comprende come abbiano varcato centinaia di chilometri senza essere avvistati dalle stazioni di osservazione austriache.»
 
L'Arbeiter Zeitung, invece, si pose una domanda, destinata a rimanere senza risposta:
«Dove sono i nostri D'Annunzio?
«D'Annunzio, che noi ritenevamo un uomo gonfio di presunzione, l'oratore pagato per la propaganda di guerra grande stile, ha dimostrato d'essere un uomo all'altezza del compito e un bravissimo ufficiale aviatore.
«Il difficile e faticoso volo da lui eseguito, nella sua non più giovane età, dimostra a sufficienza il valore del Poeta italiano che a noi certo non piace dipingere come un commediante.
«E i nostri D'Annunzio, dove sono?
«Anche tra noi si contano in gran numero quelli che allo scoppiar della guerra declamarono enfatiche poesie. Però nessuno di loro ha il coraggio di fare l'aviatore!»

Guido de Mozzi
 
Si ringrazia Wikipedia per le immagini.