La crisi cinese fa paura: crollano tutte le borse del mondo

In Europa il peggior calo dal 2008, anno d’inizio della grande crisi: 400 miliardi di capitalizzazione bruciati in un giorno

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Il PIL cinese è sceso dall'8 al 7%, pecentuale che farebbe la felicità del mondo occidentale, ma qualcuno comincia a pensare che il dato sia gonfiato.
La svalutazione dello yuan avvenuta tre volte in poco tempo indica che il colosso asiatico ha bisogno di rilanciare l’economia. E la sola ipotesi di un rallentamento in un paese con un miliardo e mezzo di persone deprime i mercati di tutto il mondo.
Fatto sta che la conoscenza della flessione dell'industria manifatturiera ha generato il panico in Asia e, con effetto domino, in tutto il mondo.
Shangai ha perso in un giorno l’8,5% e il vicino Giappone il 4,61%.
Poi, man mano che il fuso orario si è portato sulle varie economie del mondo, il pessimismo ha dominato le altre borse, portando l'Europa ai livelli del 2008, quando scoppiò la crisi dei mutui, dalla quale stiamo uscendo faticosamente adesso.
Milano ha lasciato sul campo il 5.96%, Parigi il 5,35%, Francoforte il 4.7%, Londra il 4.6%. Atene, come era da immaginarsi, è stata la borsa che ha sofferto di più, perdendo il 10,54%.
Con l’apertura delle borse americane, sono iniziate le flessioni anche a New York, anche se in misura minore. Il Dow Jones presentava in mattinata una perdita dell’1.14% e il Nasdaq solo dello 0,49%. Alla chiusura però Wall Street ha fermato le contrattazioni a -3,5%.
 
Hollande e la Merkel, che si trovavano a colloquio sul tema dell’immigrazione, hanno espresso la loro fiducia, commentando che la Cina ha la forza di cavarsela benissimo da sola. Ovviamente qualsiasi capo di stato deve gettare acqua sul fuoco per non alimentare il panico.
Però il problema di fondo è che la grande Cina è poco conosciuta nei suoi meccanismi ed è legittimo prendere atto di non essere al corrente di tutto. Basti pensare a come riesce a censurare i siti internet non graditi a Pechino.
La svalutazione dello yuan ha reso più interessanti i prezzi dei prodotti realizzati in Cina e quindi anche le aziende italiane ed europee che hanno deciso di aprire lì i propri stabilimenti. L’Europa e gli Usa esporteranno meno in Cina, ma si può presupporre che i beni di lusso non conosceranno crisi.
Però una cosa è certa purtroppo. Nessuna crisi favorisce i mercati in un mondo ormai così globalizzato. E il fatto che, nonostante la svalutazione dello yuan, i consumi in Cina stiano calando, gli operatori non vedono con ottimismo il futuro.
E, poiché tutto è collegato, la crisi si è riversata anche sul prezzo del petrolio, che è sceso sotto la soglia dei 40 dollari a barile. Ricordiamo che quando il petrolio vola oltre gli 80 dollari o crolla sotto i 50, si mettono in crisi interi settori dell’economia.
Lo spread, come era prevedibile, si era subito alzato a 137,47 punti. Poi è sceso a 125 punti per tornare in chiusura sui 130. Questo è il dato che più incide sull’economia italiana, perché lo spread indica il costo del debito pubblico italiano.