L’allarme Fipe: «In 10 anni chiusi in Italia ventimila bar»
Emerge dall’indagine della Federazione dei Pubblici Esercizi. Dopo cinque anni, solo un bar su due riesce a restare sul mercato
C'era una volta il bar. Quello che una volta era considerato il luogo di ritrovo per eccellenza dove poter scambiare due chiacchiere con amici e colleghi e consumare un caffè o un panino, rischia di scomparire.
È la Fipe a lanciare l'allarme presentando alcuni dati durante la tavola rotonda «Rilanciamo il bar», organizzata da dalla federazione dei pubblici esercizi in occasione di Host, la fiera mondiale dedicata al mondo dell'accoglienza e della ristorazione in corso a Milano.
Dopo cinque anni, solo un bar su due riesce a restare sul mercato.
Un fenomeno dovuto in parte alla trasmigrazione verso codici di attività più vicini alla ristorazione per poter ampliare l'offerta e in parte alla cessazione di un numero elevato di attività: dal 2012 a oggi, infatti, il numero delle imprese che svolgono attività di bar nel nostro Paese è diminuito di ben 20.000 unità.
Si tratta di un trend che non accenna ad attenuarsi come dimostrano anche i numeri rilevati durante il primo semestre del 2023, quando le imprese che hanno avviato l'attività sono state 1.132 e quelle che l'hanno cessata 1.838, con un saldo negativo di 706 unità.
«Aperti per lo più sette giorni su sette, per una media di quattordici ore giornaliere (ma non mancano gli h24) – rileva la Fipe – i bar rappresentano uno dei servizi di maggiore prossimità presenti sul territorio.»
La «sfida» dello dmart working e dell'innovazione digitale
L'evoluzione dei modelli di consumo ha contribuito fortemente alla diversificazione dell'offerta facendo sviluppare a fianco del tradizionale bar-caffè specializzato proprio nella colazione nuove formule focalizzate non solo sul pranzo ma soprattutto sulla sera.
Lo sviluppo dello smart working e l'innovazione digitale stanno ridisegnando i flussi di clientela dentro le città spingendo il bar alla ricerca di una nuova dimensione adattativa.
Colazione, pranzo, pause, aperitivi, intrattenimento sono i punti cardinali dell'offerta del bar per un valore di 23 miliardi di euro dietro cui opera una lunga filiera di produttori e grossisti. Il bar è anche fonte di lavoro. Sono oltre 300.000 le persone impiegate tra indipendenti e dipendenti.
Di questi ultimi, più della maggioranza, ossia il 59%, è assunto con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, con una prevalenza delle soluzioni part-time (59,3%).
Significativa anche la presenza femminile: sei dipendenti su dieci, infatti, sono donne. La crisi pandemica prima e quella energetica poi impongono un profondo ripensamento dei modelli organizzativi alla ricerca di una più efficiente combinazione tra impiego del lavoro e orari di apertura.
«Quello dei bar è un settore che ben si presta a una duplice chiave di lettura: è al tempo stesso dinamico, grazie alla sua vitalità imprenditoriale, ma anche fragile, per via della forte pressione competitiva a cui è esposto.
«Fare fatturato con uno scontrino medio di appena 4 euro è sempre più difficile mentre i costi continuano a correre, – commenta Sergio Paolantoni, Presidente di Fipe-Confcommercio Roma e del Gruppo Palombini. – L'iniziativa di oggi è stata l'occasione per discutere delle sfide che attendono il comparto tra mancanza di personale qualificato, orari di servizio, impennata dei costi e difficoltà di adeguamento dei listini come le cronache di questi ultimi mesi hanno ampiamente dimostrato.
«Oggi più che mai è urgente ripensare i modelli organizzativi per assicurarci da qui in avanti una maggiore sostenibilità del business e maggiori prospettive di sopravvivenza del format icona dello stile di vita italiano.»