Lettere al direttore – Claudio Riccadonna, Ala
Poi, d’un tratto, un’evoluzione improvvisa, un atteggiamento nuovo…
Qualche anno fa, quando li vedevo per strada scodinzolare oltre le misure di “sicurezza”, previste per legge, o appropinquarsi nell’intento di annusarti, venivo agitato da un insolito nervosismo, ragionando pertanto, con fare circospetto, in termini freddi e legalistici.
Invocavo, facilmente, alla prima disattenzione dei loro padroni, il mancato rispetto delle leggi e di eventuali regolamenti territoriali.
D’altra parte, se non li impari a conoscere, se non entri nella loro “colorata” dimensione, sentimenti di diffidenza, di fastidio, di inavvicinabilità finiscono per prevalere inevitabilmente.
Poi, però la svolta decisiva. Una cagnetta si insinua nella mia vita familiare, come spesso accade perché voluta da altri e accettata, almeno inizialmente, obtorto collo, per benevolenza personale.
Tuttavia, in seguito, l’ovvia trasformazione naturale: una distanza che si riduce progressivamente, un’empatia che avanza, di fronte a quello sguardo callido ma innocente, capace, nella sua tenerezza, di ristorare anche il cuore dei più riottosi.
Un legame forte, un vincolo sempre più stringente, che è in grado di vincere qualsiasi resistenza personale.
Quelle dimostrazioni di affetto, quegli atteggiamenti e quei sentimenti, sempre più desueti tra i nostri simili, di vera e sincera umanità, di lealtà, di fedeltà, di paziente aspettazione, peraltro così enfatizzati in proverbiali aneddoti letterari antichi e moderni, non ti lasciano scampo.
Ecco, allora, che si crea un rapporto simbiotico, autentico e genuino, che ti spinge a dedicare al tuo inseparabile compagno domestico una miriade di amorevoli attenzioni quasi come fossero degli stretti familiari, a nutrire un riguardo che un tempo non comprendevo e che da scettico, quando lo vedevo in altri, tacciavo e ridicolizzavo.
D’altra parte, come affermato dal grande scrittore francese Victor Hugo, «se guardi negli occhi il tuo cane, come puoi ancora dubitare che non abbia un’anima?».
Sappiamo quanto gli amici a quattro zampe siano importanti per i nostri anziani, quanto abbiano per loro una valenza terapeutica, quanto rappresentino un potente e salvifico antidoto per vincere la solitudine e in alcuni casi la depressione, a dispetto, ahimè, di tanti seniores vergognosamente trascurati dai loro “cari” nei loro bisogni emotivi e affettivi, ma, per usare un’assonanza disarmante, non dai loro cani.
Pensiamo poi a quanto si possa arrivare a spendere per la cura-mantenimento dei preziosi compagni di viaggio (oltre 800 euro l’anno).
Di fronte a tutto ciò, addolora leggere le tante storie di abbandoni degli amici più fedeli dell’uomo, come evidenzia di continuo l’associazione italiana per la difesa degli animali e dell’ambiente.
Per fortuna, gli animali domestici, dal 2009, sono stati decretati ufficialmente esseri senzienti, non più delle cose, dotati di una forte sensibilità, in grado di provare il dolore che può derivare dall’abbandono e dal venir meno di adeguate attenzioni, pertanto il loro abbandono è considerato un reato penale, in base all’articolo 727 del codice penale.
Dovremmo, comunque, fare nostre le parole illuminanti di un maestro di inestimabile saggezza, il Mahatma Gandhi, che in un’occasione disse: «la grandezza e il progresso morale di una nazione si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali».
Claudio Riccadonna - Ala