«Acqua: pubblica o privata o...? La terza via dell’acqua»
Il confronto organizzato da Eurisce e l'Università di Trento sulla privatizzazione e sul referendum del 12 e 13 giugno
L'acqua resta e resterà sempre un bene pubblico, sarà la sua
gestione a essere soggetta a cambiamento, a poter mutare da
pubblica a privata.
Il 12 e 13 giugno saremmo chiamati a esprimere il nostro pensiero,
a prendere una decisione su un servizio di primaria necessità e che
stabilisce una netta distinzione tra paesi civilizzati e paesi in
via di sviluppo.
Parlare di acqua, infatti significa parlare di diritti fondamentali
dell'uomo e di libertà.
Di fronte alla possibilità di scegliere se privatizzare il servizio
idrico si celano insidie che è nostro dovere tenere in
considerazione, come hanno spiegato gli oratori dell'incontro
moderato dal professore Andrea Pradi dell'Università di Trento,
intitolato «Acqua: pubblica o privata o..? La terza via
dell'acqua», organizzato da Eurisce (European Research Institute on
Cooperative and Social Enterprises) e l'Università di Trento,
all'interno dell'area «Confronti» del Festival dell'Economia di
Trento.
«Vi sono situazioni particolari in Italia che meritano la nostra
attenzione, - ha spiegato Ugo Mattei, docente di Diritto
internazionale e comparato all'Università di California Hastings -
per esempio l'acquedotto del Monferrato in Piemonte può essere
gestito solo in perdita perché porta acqua a casupole lontane,
difficili da raggiungere. Lo Stato ha deciso di infrastrutturare
per portare civiltà, per dare a quelle persone la possibilità di
farsi una doccia senza andare al pozzo. Ora potreste pensare che se
si privatizzasse il servizio idrico nessuno comprerebbe la gestione
di questa specifica zona. E invece non sarebbe così perché sotto il
Monferrato c'è una falda acquifera molto pura che farebbe gola al
privato per vendere l'acqua in bottiglietta, vero business
dell'acqua.»
Allo stato attuale circa il 32% d'acqua in Italia viene sprecato,
come ha illustrato Claudio De Vincenti, docente di Economia
politica all'Università La Sapienza di Roma.
«Su cento litri di acqua in Puglia se ne perdono 87, in Trentino
27. Circa il 15% della popolazione italiana è priva di un servizio
fognario e vi è una mancata depurazione pari al 30%.
L'infrastrutturazione in Italia è dunque fortemente in
ritardo.»
Di fronte quindi, alla possibilità di scegliere fra due modelli di
gestione del servizio idrico: pubblico o privato la decisione
appare difficile.
«Entrambi i modelli presentano dei limiti - ha specificato Pier
Angelo Mori, docente di Economia politica all'Università di Firenze
- quello pubblico ha certamente limiti finanziari, propone una
gestione che può risultare opaca con una distorsione degli
obiettivi e con un approccio manageriale non del tutto democratico.
Dall'altro lato il modello privato porta con sé un grande limite,
vale a dire la debolezza strutturale del regolatore, al quale si
sommano difetti quali la variazione delle tariffe, la mancanza di
un impegno a lungo termine del gestore e anche qui potrebbe esserci
poca trasparenza.»
«Oggi - ha ribadito Claudio De Vincenti - il tasso di realizzazione
degli investimenti varia molto da regine a regione, fino arrivare
al 15% in Puglia e la media del costo dell'acqua a metro cubo è
pari a 0,91 Euro.»
I modelli proposti non prevedono un coinvolgimento diretto dei
cittadini, per questo necessitano di essere affinati. Si potrebbe
così scegliere di rinforzare il modello esistente «dando maggiore
potere decisionale ai comuni dislocati sul territorio, come ha
affermato Claudio de Vincenti, oppure scegliere - in linea con il
pensiero di Pier Angelo Mori - di adottare un modello cooperativo,
dove sono i cittadini che si associano. Un modello di gestione
privato sociale che consentirebbe di risanare i limiti sia della
gestione pubblica che di quella privata-lucrativa.»
Vale però la pena di ricordare con le parole di Ugo Mattei che
«dobbiamo tenere in considerazione che è istituzionalmente
impossibile scegliere liberamente, infatti laddove la scelta del
privato è libera da parte del potere politico, non lo è altrettanto
l'ipotetica futura scelta di tornare al pubblico.
«Non si può rinazionalizzare ciò che è stato reso privato, perché
non avremmo i soldi necessari per ricomprare la società che
gestisce quel servizio. La scelta del privato è una scelta di non
ritorno. E il modello privato non è compatibile con la gestione di
un bene per il pubblico. Privare significa togliere e in questo
caso togliere ai cittadini un bene di loro diritto.»