Lezioni in presenza, digitale, relazioni: la scuola riparte
La tavola rotonda al Festival dell’Economia: «Istituti aperti al pomeriggio e innovazione per recuperare ciò che abbiamo perso»
La scuola, le ferite che ha subito per la pandemia, accanto agli elementi positivi che possono favorirne la rinascita.
Opportunità da cogliere per proseguire nella trasformazione in corso che non è solo tecnologica, ma investe gli aspetti innovativi, mantenendo centrale l’aspetto relazionale e il «buonumore» degli studenti che è il terreno fertile per l’apprendimento.
Guarda al futuro il dibattito avviato da «La scuola interrotta», la tavola rotonda del Festival dell’economia in Sala Depero dedicata all’impatto dell’emergenza Covid sul mondo dell’istruzione.
Se una delle proposte per recuperare il gap prodotto dal lockdown e in parte attenuato dalla didattica a distanza è aprire gli istituti anche al pomeriggio - come propongono Andrea Gavosto, economista e direttore della Fondazione Giovanni Agnelli e la dirigente scolastica dell’ITT Buonarroti di Trento Laura Toller, Elia Bombardelli, docente e youtuber e Katharina Werner, economista presso l’ifo-Center for the economics of education di Monaco di Baviera, si concentrano sull’avanzamento delle nuove tecnologie.
Si potrà affermare un sistema duale, blended, fatto di lezioni in presenza e digitale che si migliorano a vicenda, a patto che nessuno rimanga escluso.
«Come ha influito la didattica a distanza sulla performance degli studenti italiani?»
È la domanda iniziale di Massimo Mazzalai, giornalista Rai e moderatore dell’incontro. Una domanda semplice che richiede una risposta complessa, come la definisce.
Gavosto precisa che la perdita è stata enorme: «L’Italia è uno dei Paesi che ha avuto le chiusure più lunghe in Europa, si sono perse 37 settimane di scuola a partire da marzo 2020».
Aiutandosi con gli studi in altri Paesi europei, come quello molto approfondito nei Paesi Bassi, che ha certificato «una perdita di circa il 20% delle competenze, un anno perso», l’economista traccia un bilancio a livello economico.
«Ciascun ragazzo rischia di perdere l’equivalente circa 2.000 euro in termini di guadagni da futuri posti di lavoro, – aggiunge. – Moltiplicati per 6,5 milioni di studenti significano circa il 20% del Pil nazionale.»
L’impatto c’è stato, ma contiene anche fattori di spinta verso il futuro, argomenta Toller.
«Non c’è dubbio che la pandemia ha causato sul sistema scuola nel suo complesso un vero e proprio terremoto, che ha scosso ciò che c’era prima del gennaio 2020.
«Nel contempo si sono viste crollare le rigidità di un modello di scuola che spero andremo a ricostruire in maniera innovativa e diversa.
«Per la prima volta dal dopoguerra si aprono opportunità straordinarie per il mondo della scuola, mi auguro vengano colte.»
La scuola a distanza, su cui si è puntato il dito, è un mezzo che è stato utile per attenuare la perdita educativa. In futuro cosa rimarrà?
«Siamo passati – a parlare è l’insegnante delle superiori Bombardelli, che racconta di aver iniziato con le lezioni su YouTube nel 2012, “in tempi non sospetti – dalla situazione pre-pandemia in cui il digitale aveva una bassa permeazione nelle scuole, e poi siamo passati ad un eccesso inverso.
«Spero che nel futuro ci sia più presenza e più digitale, usando questo come supporto strategico per quello che si fa in aula.
«L’approccio vincente è blended, le lezioni in presenza per le cose ciò che viene meglio in presenza, la modalità a distanza per rafforzare o accompagnare.»
Werner, che ha studiato l’impatto della dad sugli studenti in Germania, si focalizza sul tema delle disparità: «I ragazzi che avevano un basso rendimento dopo avevano ancora più problemi nello studiare da soli, mentre altri ragazzi imparavano bene a casa. C’è una disparità.
«Tornando a scuola bisognerà cercare di ridurre questa disuguaglianza.»
La domanda finale è cosa fare ora. Aprire le scuole al pomeriggio, puntare sul tempo pieno, sulle attività progettuali e sui laboratori, anche per rafforzare l’aspetto relazionale che si è indebolito per le chiusure: è quanto propongono Gavosto e Toller.
Bombardelli ricorda «l’enorme salto in avanti nell’uso delle tecnologie, ad esempio per le piattaforme per la didattica e i colloqui online che non richiedono più ai genitori di assentarsi dal lavoro».
«Possiamo ragionare non solo su come insegniamo ma su cosa insegniamo, – continua. – Facciamo entrare altre cose nelle scuole, l’educazione finanziaria, le criptovalute.»
Werner suggerisce di «sfruttare il potenziamento tecnologico, isolando gli elementi positivi da quelli negativi, senza lasciare soli tanti genitori».
C’è tempo per un richiamo unanime sull'importanza degli investimenti, in formazione dei docenti, strutture, dotazioni, collegandosi al Next Generation Eu.
«Investire nella scuola è più che investire in banca, – risponde Gavosto a Mazzalai. – L’investimento in istruzione è il migliore che si possa fare per le generazioni future. Le priorità fissate sono positive, vedremo.»