«Riflessioni» a Palazzo Trentini – Di Daniela Larentis
È il titolo della mostra che affianca le opere di due artisti trentini, Carlo Sebesta e Franco Manzoni, visitabile a Trento fino al 30 luglio 2016
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«Riflessioni» è il titolo di un’interessante mostra che affianca le opere di due artisti trentini, Carlo Sebesta e Franco Manzoni, curata da Clio Boboti e Gabriele Salvaterra.
Inaugurata con successo lo scorso 7 luglio a Palazzo Trentini, in Via Manci 27, nel centro storico di Trento, resterà aperta fino al 30 luglio 2016 (orari d’apertura: lu-ve: 10-18| sabato: 9-12).
Due parole su questi due apprezzati artisti trentini.
Carlo Sebesta, classe 1920, scomparso nel 2013, è stato medico oltre che artista.
Franco Manzoni, come abbiamo ricordato in altre occasioni, è nato a Trento nel 1964. Di formazione scientifica e matematica (parallelamente alla pittura presta da oltre vent’anni la sua consulenza nel campo dell’informatica e della matematica applicata) ha al suo attivo numerose esposizioni (ha prestato la sua consulenza artistica non solo per la realizzazione di opere in spazi pubblici e privati in Italia e all’estero, ma anche per l’allestimento di set cinematografici).
Sottolinea Gabriele Salvaterra, nel suo intervento critico «Come punto di partenza simbolico quasi a conferma sull’opportunità di questa doppia personale c’è la mostra di Venezia del 2003 alla Galleria III Millennio, in cui Sebesta presenta i quadri di Manzoni.
«Non è la prima volta che ciò accade ma in questo caso il tutto viene registrato con grande sintesi nella vignetta leggera e ficcante (che funge da invito anche alla presente mostra) in cui un burbero Sebesta, con un vigoroso atto indicante, invita a porgere attenzione ai quadri del giovane amico-pittore Franco Manzoni».
Da una parte quindi un giusto omaggio retrospettivo all’attività di Sebesta, non sempre adeguatamente valorizzata anche per la sua natura privata, e dall’altra uno spaccato dello stato della pittura di Manzoni nel suo muoversi errabondo tra pratiche e stili.
Il riflettersi dei due amici pittori in questa mostra ha a che fare con corrispondenze formali, a volte sottili, a volte più esplicite, e con un medesimo approccio alla pratica pittorica che si potrebbe definire disinteressato, eccentrico, autoironico, ma non per questo meno serio.
Entrambi portano e hanno portato avanti la propria pittura come pratica personale, decentrata, slegata dalle ansie, dalle motivazioni e dagli interessi del cosiddetto sistema dell’arte.
Un discorso che cerca di trovare la propria ragione di essere semplicemente in se stesso e nella propria onestà artigianale.
Disinteresse e onestà che possono trovare degna sintesi, mutatis mutandis, nell’attività di caricaturista di Sebesta: una produzione di altissimo livello per leggerezza e incisività che viene generosamente sprecata (si fa per dire) come dono d’occasione per amici e parenti. Per entrambi la pittura è quindi urgenza comunicativa che si indirizza in primo luogo verso le persone, senza badare troppo a distinzioni tra semplici appassionati e addetti ai lavori.
Ma il confronto tra i linguaggi di Sebesta e Manzoni è anche un rapporto di contrasti apparenti che ripercorrono la classica polarità tra figurativo e astratto, resa evidente dall'attento lavoro di selezione e abbinamento svolto da Clio Boboti.
Riflettendo i quadri dell’uno nelle composizioni dell’altro, osservando il curioso ripetersi di equilibri, di linearismi e di medesimi stratagemmi compositivi, si capisce come iconico e aniconico siano solo due facce di quella stessa medaglia che punta al raggiungimento di uno stato di equilibrio dinamico dopo il quale si può definitivamente staccare il pennello dal supporto e dichiarare concluso il lavoro».
Abbiamo rivolto a Franco Manzoni alcune domande.
Carlo Sebesta e Franco Manzoni: due artisti appartenenti a generazioni diverse: che cosa vi ha avvicinati, a suo tempo, e come è nata l’’idea di questa doppia personale?
«Posso parlare solo a titolo personale, anche se Carlo Sebesta (Carletto per gli amici) sarebbe stato felice di essere qui con me a rispondere alle sue domande e soprattutto lo avrebbe fatto con grande competenza e la genialità che lo hanno sempre contraddistinto.
«Carletto ha cominciato ad interessarsi ai miei lavori nei primi anni novanta, quando ancora facevo il figurativo. La grande considerazione per i suoi quadri che avevo la fortuna di conoscere privatamente mi ha portato quindi a confrontarmi con lui. Ne è nato un rapporto di stima reciproca e di affetto che non è mai scemato.»
Cosa vi unisce a cosa vi divide, artisticamente parlando, secondo la sua opinione?
«Quello che ci accomuna nell'arte lo ha detto bene Gabriele Salvaterra nella presentazione. Io credo sia in estrema sintesi il puntare direttamente all'obbiettivo e cioè alla comunicazione, al contenuto di un'opera, piegando i nostri mezzi al servizio dell'opera e mai viceversa.
«Ci divide apparentemente il fatto che Carletto fa il figurativo mentre io faccio l'astratto; in realtà questa è una divisione che nasce solo dall'esigenza di catalogare le cose; esigenza che non ci appartiene e che per definizione non dovrebbe appartenere agli artisti.»
Qual è il tema della mostra?
«La mostra è basata su associazioni - scelte con grande sensibilità da Clio Boboti, nipote di Carlo Sebesta e scenografa di respiro internazionale, con la quale abbiamo collaborato per installare e pensare questa mostra - di lavori di Sebesta e miei che vorrebbero un po' riflettersi l'uno nell'altro (anche per questo è stato scelto il titolo riflessioni).
«Non esiste quindi una scansione temporale e anche l'anno di produzione del lavoro è stato per questo volutamente omesso; queste affinità non hanno tempo.»
C’è un messaggio che trapela attraverso questo percorso espositivo?
«Come ho già avuto occasione di dire, io non voglio e non posso impartire lezioni nè tantomeno distribuire certezze, ma mi piacerebbe che questo percorso espositivo facesse nascere delle domande.
«Aggiungo solo che la mia pittura è sempre propositiva, positiva e mai negativa o distruttiva; nasce da una felice scoperta nuova o da una ricerca nuova.»
Cosa le ha insegnato, dal punto di vista umano, Carlo Sebesta, il quale in vita fu anche medico oltre che artista?
«Posso dire che mi ha insegnato moltissimo: umanamente oltre che artisticamente. Avremmo voluto, prima o poi, fare un'esposizione assieme, ma le vicende della vita lo hanno consentito solo ora.
«Quest'anno si è creata quest'occasione e io, assieme ai suoi famigliari, abbiamo potuto portare a termine quel vecchio proposito.»
Progetti futuri?
«Procedo nella mia ricerca, ponendomi orizzonti sempre più lontani, percorsi sempre più difficili.
«Concludo con una considerazione: certamente il lavoro così prezioso, ma anche molto privato, di Carletto, meritava e meriterà anche in futuro il giusto riconoscimento.»
Daniela Larentis – [email protected]