Negazionismo e ambivalenza – Di G. Maiolo, psicoanalista
Quando emergono i segni della nostra fragilità, dobbiamo trovare risorse individuali e rigenerare equilibri interni cercando sostegno nell’affetto di chi ci sta attorno
È un tempo complesso e difficile quello della seconda ondata della pandemia, perché ci tiene tutti in sospensione. Soprattutto ci confonde.
È un’altalena continua dell’umore individuale e collettivo, un andare e venire dall’angoscia all’euforia, dalla voglia di starsene chiusi in casa alla necessità di tornare alla vita normale e al lavoro quotidiano, dall’apatia alla frenesia di uscire.
Un’ambivalenza estesa che riconosci quando incontri assembramenti di gente davanti a un ristorante o lungo lo struscio prima che inizi il lockdown annunciato.
Ti accorgi che insieme alla fatica di vivere la nuova stagione dei contagi, col panico che evocano gli ospedali vicino al collasso, il virus che non rallenta, c’è ovunque un crescendo di gente che nega il pericolo o finge che tutto sia normale, che rimuove i rischi e agita fantasmi e ombre lunghe di complotti.
Nel malessere diffuso che viviamo c’è la necessità, tutta umana, di provare a uscire in qualche modo dai sentimenti ambigui che avanzano quando la minaccia torna a gravare sui nostri pensieri. Sono i sistemi di difesa psicologica quelli che si mobilitano quando ci dobbiamo fare i conti con i pericoli, le perdite subite o le distanze forzate e, più ancora con i distacchi annunciati.
Il ritorno della «segregazione» forzata rivela l’angoscia e quell’andare per i mille rivoli dell’insicurezza, ma al contempo alimenta tutte le nostre possibili difese e mette in mostra le difficoltà che abbiamo ad elaborare gli aspetti depressivi e la confusione che alberga ovunque.
È la nostra psiche che, a livello individuale e collettivo, si attrezza e utilizza quei meccanismi di difesa che principalmente da piccoli erano adattivi e che anche all’adulto, in una certa misura, possono venir utili.
Così «rimuovere», come è accaduto in estate, l’idea del contagio serviva per giovani e adulti a far sentire liberi, non trasgressivi.
Oppure quel «negare» la necessità delle misure di prevenzione del contagio che passano per la mascherina e il distanziamento, non è che un modo infantile per esprimere il desiderio di normalità ed evitare il confronto con la realtà.
Strumenti di difesa ingenui o anacronistici, ma anche se eccessivi, sintomi inquietanti di patologia che richiede interventi.
L’ipotesi, ad esempio, del complotto potrebbe significare il tentativo di contenere l’ansia, perché dare qualcuno la colpa del nostro male e ci alleggerisce e ci mette, almeno parzialmente, al riparo dalle nostre responsabilità.
Ma se questo sentimento si estende, potrebbe già essere il segnale di un vero e proprio disagio mentale.
Non è, allora, una difesa d’ufficio del negazionismo che sembra estendersi, quanto la necessità di riconoscere le vulnerabilità comuni.
Così come riconoscere che l’incertezza e la precarietà dominate di questo tempo, alimentano sentimenti di impotenza e di solitudine collettiva che possono trasformarsi in depressione o in rabbia e poi in comportamenti di violenza e intolleranza sociale.
Di certo non c’è solo lo tsunami spaventoso delle emozioni che ci ha travolto, ma anche l’insicurezza economica, la precarietà del lavoro, la rottura delle relazioni sociali e la diffidenza nelle istituzioni, a farci star male.
Però in tutto questo, gioca un ruolo importante anche la perdita della fiducia in noi stessi, soprattutto quando ha a che fare con una fragile e vacillante «base sicura».
È questa profonda incertezza che si somma alle precarietà reali a fa crescere senso di spaesamento e di vuoto, apatia e diffidenza e in qualche caso mettere in evidenza sintomatologie depressive e fobiche che hanno urgenza di essere prese in considerazione.
Per prima cosa, però, dovremmo trovare risorse individuali e rigenerare equilibri interni cercando sostegno nell’affetto di chi ci sta attorno e incrementando la solidarietà sociale senza la quale le parole speranza e fiducia sono e rimangono parole vuote.
Giuseppe Maiolo - Psicoanalista
Università di Trento - www.officina-benessere.it