Autonomie di Trento e Bolzano, una storia da rileggere oggi / 29

La questione finanziaria come concausa del provincialismo autoreferente – Di Mauro Marcantoni

Gli anni Novanta beneficiarono, per l’autonomia del Trentino-Alto Adige, di un regime di entrate eccezionale, che andava sicuramente oltre il gettito fiscale riscosso localmente.
Le ragioni di questo surplus, che fece lievitare i bilanci provinciali di oltre due cifre tra una legislatura e l’altra, derivavano dalla riforma del sistema finanziario, che trovò compimento sul finire degli anni Ottanta e che, ovviamente, produsse i suoi effetti nel decennio successivo.
La riforma ebbe un percorso in verità lungo e travagliato, anche perché, almeno inizialmente, le due Province autonome avevano visioni diverse.
 
Bolzano poneva un problema di garanzie e di rapporti con lo Stato che si volevano ricondurre nell’ambito di una relazione oggettiva riguardante esclusivamente il sistema delle quote fisse, senza quota variabile e leggi di settore, optando per una soluzione priva di relazioni negoziali con il Governo centrale.
Trento si poneva invece l’obiettivo di ripristinare l’originario quadro previsto dallo Statuto del 1972, mantenendo il legame con la finanza statale attraverso la quota variabile e le leggi di intervento e di programmazione settoriale, con l’ovvia garanzia della massima libertà di utilizzo delle relative risorse.
Alla fine, le due Province trovarono un accordo che prevedeva accanto alla percentuale fissa del gettito, anche il mantenimento sia della quota variabile, anche se ridimensionata, sia delle leggi di settore.
 
Le trattative si conclusero nella primavera del 1987 con la definizione di uno schema di testo modificativo del titolo VI dello Statuto, concordato tra Governo, Regione e Province.
La proposta di modifica concordata tra le parti fu formalizzata in un disegno di legge ordinario che, dopo un’ampia discussione, fu definitivamente approvato dal Parlamento con la Legge 30 novembre 1989, n. 386.
Gli aspetti salienti della legge di riforma dell’ordinamento finanziario regionale erano sostanzialmente tre:
- una quota fissa commisurata mediamente (Province e Regione) intorno ai 9/10 del gettito fiscale riscosso localmente;
- una quota variabile negoziata di volta in volta con lo Stato;
- la possibilità di accedere alle leggi di settore, pur con significative limitazioni rispetto al passato.
 
L’incremento consistente di risorse che ne seguì, ebbe due effetti negativi: il primo fu l’attenuarsi della logica selettiva negli interventi, visto che gli incrementi di bilancio consentivano di mantenere, almeno tendenzialmente, gli impegni già consolidati, ricorrendo – per le innovazioni – alle maggiori risorse disponibili nei bilanci provinciali e regionali.
In second’ordine, questa dovizia di mezzi finanziari incrementò l’autoreferenza, e una certa sensazione di autosufficienza, che allontanò sensibilmente le attenzioni locali da quelle più ampie del contesto nazionale.
Ragione, questa, che accanto alla prima citata perdita di legami forti con il centro, connotò fortemente il decennio in termini di autoreferenza e di chiusura in se stesso del sistema autonomistico provinciale e regionale.
 
Mauro Marcantoni
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