Rampini: L’America, l’«Occidente Estremo» e la sfida cinese

Il noto giornalista e scrittore ha proposto a Trento un originale recital mescolando i linguaggi del teatro, della musica e del giornalismo

Inaugurato stasera al teatro Sociale il format «L'Economia in scena», con il recital di e con Federico Rampini «Occidente Estremo: vi racconto il nostro futuro».
Il noto giornalista e scrittore, inviato di Repubblica negli Stati Uniti e in Asia, ha proposto a Trento una originale performance mescolando i linguaggi del teatro, della musica e del giornalismo. Al centro dello spettacolo la crisi globale, che è soprattutto, per Rampini, la crisi dell'Occidente.
Per la regia di Antonio Pretis - sul palco anche Gianna Fratta al pianoforte, Dino De Palma al violino e violino cinese e Veronica Granatiero al canto - Rampini ha raccontato la decadenza e la rinascita dell'America, l'ascesa irresistibile, ma non esente da tensioni, della Cina, e il futuro possibile dell'Europa, oltre la morsa della crisi.
Se saprà riscattarsi sul piano dei valori, se saprà rigenerarsi, se saprà anche difendere quanto di buono ha realizzato nella sua storia.
 
Una narrazione fatta di parole e musica, sul filo della memoria, quella di Rampini, che inizia da San Francisco, la Frisco a cui approdò da giovane cercando le suggestioni respirate con Good vibration, la celebre canzone dei Beach Boys, diventata anche, più tardi, la San Francisco - e la California - della Silicon Valley, la culla della rivoluzione digitale.
Il primo coast to coast a 23 anni, dopo avere negato, sul formulario che i turisti compilavano e ancora compilano per entrare negli Usa, di essere comunista, ovvero un tesserato del PCI di Berlinguer.
In quegli anni Reagan stava dando alla scalata della Casa Bianca, cosa che gli riuscirà nel 1980, avviando una svolta conservatrice che faceva perno sul fisco (meno tasse, meno risorse per lo stato sociale).
Cominciava lo svuotamento della base produttiva industriale e parallelamente l’era di Bill Gates (e della finanza derivata).
Poi, la green card, la carriera di inviato, e da qui, sulle note del pianoforte, l’approdo all’Asia, al Viet Nam e a Pechino.
Senza dimenticare che «solo in Americ puoi ottenere la cittadinanza dopo soli 5 anni di residenza».
 
La Cina conosciuta da Rampini all’inizio del suo lungo soggiorno era impegnata ad emulare il capitalismo occidentale.
 Quando la lasciò per tornare in America, nel 2009, stavolta a New York, l’America sembrava la sua parente povera. Nel frattempo era arrivata la crisi, in certi luoghi di New York ormai “sembra di essere a Bombay”. Il simbolo di questa decadenza?
L’obesità, una patologia che è espressione di un rapporto malato con il benessere e l’abbondanza di una società a capitalismo maturo.
Eppure, ci dice Rampini, la decadenza può essere affascinante, vitale. Come nella Vienna dell’inizio del XX secolo.
 
E la Cina? Mancanza di libertà e democrazia da un lato (ne è un simbolo il Dalai Lama), crescita e sviluppo dall’altro, tanto che oggi, il diritto al lavoro di un giovane diplomato o laureato cinese è difeso molto meglio di quanto non sia quello di un coetaneo in Italia.
Ma soprattutto, una civiltà al tempo stesso ripiegata su se stessa e aperta al mondo, una civiltà consapevole della sua forza, e che ci interroga.
La Cina sta diventando la potenza egemone. Ma deve diventare, anche, la fabbrica delle idee e dei sogni. E questo è possibile solo in una società aperta.
 
L'Occidente, oggi, è in una situazione speculare a quella degli anni '30. Se ne esce, dice Rampini, solo con una svolta che non può essere solo economica, deve essere anche morale, come nel New Deal di Roosvelt.
Non ci sono scorciatoie anche perché le abbiamo già prese.
La crisi dei mutui ne è un conseguenza. Obama, oggi, incarna il sogno di questa rinascita. Ma anche l'Europa può farcela.
Se studia, Se innova. Se si rimette in gioco. Senza rinunciare alla sua identità.