Costi sociali della discriminazione della donna

Dati, analisi e pugni nello stomaco nell'incontro con Fiorella Kostoris Padoa Schioppa

Quando una signora del pubblico si è alzata e, chiedendo la parola, ha detto «Chi mi sa spiegare come mai all'interno dl festival dell'economia i convegni che si sono occupati del mondo femminile sono stati organizzati in maniera del tutto precaria all'aperto o al massimo dentro i conventi?» l'applauso è scoppiato scrosciante.


Quale modo migliore per concludere un dibattito sulla discriminazione delle donne? Il giardino dell'Auditorium Santa Chiara stamattina si è totalmente riempito per ascoltare il dibattito della professoressa Fiorella Kostoris Padoa Schioppa sul tema «Il costo della discriminazione: le donne nel mercato del lavoro».

I dati presentati dalla studiosa sono davvero sconfortanti. «Ll'Italia, seconda solo a Malta, detiene il tasso di occupazione femminile più basso dell'Unione Europea, quando invece il tasso di occupazione maschile è al contrario tra i più alti.
«Paradossalmente, ma nemmeno troppo, rimane tra i più bassi in Europa anche il tasso di natalità; in effetti, è ormai scientificamente provato che il tasso di natalità è maggiore nei paesi dove maggiore è l'occupazione femminile.»
Studi specifici in campo delle scienze neurologiche hanno dimostrato che tra uomo e donna non esistono differenze di capacità. L'oramai ex-rettore di Harvard, Larry Summers, balzò qualche anno fa agli onori della cronaca per aver dichiarato che secondo lui le donne scienziato fossero meno capaci degli uomini.
«Oggi - ha detto sorridendo Fiorella Kostoris - il suo posto è occupato proprio da una donna.»
In Italia, quando anche la donna riesce ad entrare nel mercato del lavoro, il suo profilo di carriera è, dal punto di vista salariale e qualitativo, inferiore. «Se è vero - ha poi detto - che a parità di incarico la donna percepisce lo stesso stipendio dell'uomo nell'impiego pubblico (nel privato il divario salariale è ancora attorno al 15%), la difficoltà risiede nella possibilità per la donna di raggiungere l'obbiettivo lavorativo.»

«Dal punto di vista culturale, la donna italiana si scontra con un sistema che non l'aiuta non solo dal punto di vista sociale ma anche culturale: se da una parte mancano infrastrutture per mezzo delle quali la donna possa svolgere il doppio ruolo di madre e lavoratrice,dall'altra in vaste zone del nostro paese la cultura è ancora sessista e la donna ha valore solo se svolge il proprio ruolo all'interno del nucleo familiare.
«Il cambiamento culturale - ha detto la professoressa - è lento e difficile e deve passare assolutamente anche attraverso la modifica di quei testi scolastici oramai arretrati rispetto al percorso di ricollocazione della figura femminile.»
Secondo la studiosa, «i dati indicano che nei paesi ad esempio nel nord Europa in cui è stato introdotto il congedo obbligatorio per la paternità e facoltativo per la maternità, i dati dell'occupazione femminile sono ripresi a crescere. Gli imprenditori sono portati di più a scommettere sul futuro lavorativo delle donne.»

«Quali costi ha per lo Stato questo tipo di discriminazione al mondo femminile?» si chiede a questo punto la Kostoris.
«Studi scientifici hanno dimostrato che un incremento del 2% di donne nel campo lavorativo provocherebbe un aumento di un punto percentuale il prodotto interno lordo nazionale, ovverosia l'equivalente di una buona manovra economica.»

L'Europa si è posta come obiettivo il raggiungimento di un tasso di occupazione femminile per il 2010 del 60%, ma l'Italia è a tutt'oggi al 45% e gli obiettivi saranno di certo disattesi.
La docente non si trova d'accordo con chi propone la defiscalizzazione del lavoro femminile. «Invece di incentivare l'assunzione, alla lunga porterebbe ad un maggior precariato», ha spiegato.
Non concorda nemmeno con quei palliativi che secondo lei vanno sotto il nome di assegni familiari o sussidi, in quanto in realtà non fanno che umiliare ulteriormente la condizione della donna.

La sua ricetta, mutuata dalla realtà norvegese e in parte delle università americane, si chiama discriminazione positiva. «Le assunzioni dovrebbe sempre essere motivate, in maniera da poter essere spiegate ad un organo di controllo interno e poi eventualmente ad una autority indipendente dall'esecutivo, sia nel pubblico che nel privato.
«A parità di curriculum, si dovrebbero così sempre giustificare la scelta di un candidato rispetto ad un altro.»