«Tutti uguali, tutti diversi» – Di Stefano Grimaldi
L’alterità evolutiva e culturale nel Genere Homo: i «sapiens», «luzoniensis» e «floresiensis»
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Il 10 aprile di questo anno, la prestigiosa rivista scientifica Nature (volume 568) ha pubblicato la scoperta fatta da un team internazionale di antropologi nella grotta di Callao, situata nell’isola di Luzon (Filippine).
In questa grotta sono stati ritrovati i resti fossili di un ominide appartenente al Genere Homo ma con caratteristiche morfologiche diverse dalla nostra specie, i sapiens.
Poiché i nostri antenati preistorici erano già presenti nel sud-est asiatico, la scoperta dimostra come nella stessa regione ci fosse una diversa specie umana che vagava in quella remota isola: l’Homo luzoniensis.
La scoperta si associa ad altri importanti ritrovamenti di fossili umani effettuati negli ultimi anni in varie regioni dell’Asia.
Nel 2003, nell’ isola di Flores, in Indonesia, alcuni resti fossili sono stati attribuiti ad un’altra specie umana, l’H. floresiensis, vissuta nel corso degli ultimi 200.000 anni. Una delle ipotesi proposte per spiegare la sua origine indica nelle prime forme di Homo apparse circa 2 milioni di anni fa in Africa i suoi diretti antenati. Nel 2010, nella grotta di Denisova situata nei monti Altai, in Siberia meridionale, venne scoperto un osso umano dal quale è stato possibile estrarre il DNA mitocondriale; il risultato ha permesso di stabilire che il patrimonio genetico di tale individuo, vissuto circa 50.000 anni fa, era diverso da quello dei suoi contemporanei, i neandertaliani e i sapiens, entrambi già presenti nella regione.
A parte le importanti implicazioni scientifiche, queste scoperte ci fanno riflettere su quanto poco ancora sappiamo della nostra storia biologica che appare molto più complessa, articolata e interconnessa con i differenti ambienti del nostro pianeta di quanto possiamo immaginare.
Non sappiamo ancora quale sia stato il destino di tutte queste forme umane che hanno interagito con i nostri antenati sapiens.
Ma c’è un aspetto che, forse più di altri, dovrebbe meritare una riflessione da parte di tutti noi: tanto più la ricerca scientifica accresce la nostra conoscenza sulla storia del genere umano, tanto più si consolida la nostra consapevolezza che tutti noi oggi siamo il prodotto di un crogiolo di incontri, mescolanze, contatti, unioni, linee evolutive differenti che si interrompono, riprendono e si modificano.
L’origine e la successiva diffusione nel mondo di sapiens non è altro che uno dei risultati di tali intrecci che hanno costituito il tessuto evolutivo del nostro passato.
Quella del Genere Homo è stata una Storia evolutiva ricca e imprevedibile nel suo Tempo e Modo; una storia fatta dall’Uomo che si mostra a se stesso in quanto visibile agli Altri.
Oggi, noi siamo divenuti ciò che siamo in quanto, nel passato, abbiamo condiviso il mondo riconoscendo nell’alterità un ingrediente fondamentale del processo evolutivo.
La lezione morale che ci viene offerta dalle recenti scoperte sull’evoluzione umana è solo apparentemente semplice: l’accettazione della alterità è un valore che non può e non deve essere sopraffatto dalla condanna della diversità. Infatti, l’unico motivo per cui qualcuno è diverso da noi è perché noi siamo diversi da lui.
Stefano Grimaldi
E’ ricercatore di Antropologia e Archeologia preistorica presso il Laboratorio di Preistoria «B.Bagolini» del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’l’Università degli studi di Trento.
Partecipa in diverse missioni di ricerca in Italia, Europa, Cina e Brasile ed è attualmente direttore dello scavo al Riparo Mochi (Balzi Rossi, Imperia), sito di riferimento per il Paleolitico superiore dell’Italia tirrenica e dello scavo di Fontana Ranuccio (Anagni, Frosinone), uno dei siti più antichi in Italia.
Membro di numerose associazioni nazionali e internazionali, è membro permanente del Centro di Ricerche nazionali portoghese ed è il presidente dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana. Dal 2006 al 2018 è stato anche presidente della Commissione «Prehistoric settlement and mobility dynamics in mountainous environment from the Palaeolithic to the Bronze age» dell’Unione Internazionale delle Scienze Preistoriche e Protostoriche.
Autore di numerosi articoli scientifici su riviste nazionali e internazionali, i suoi interessi di ricerca sono centrati sulle metodologie di definizione delle modalità di insediamento e delle strategie di mobilità dei cacciatori-raccoglitori nel corso delle fasi climatiche avvenute in Europa dal Pleistocene all’Olocene; tali metodologie includono lo studio tipologico, tecnologico e funzionale dei manufatti litici, analisi spaziale dei rimontaggi, attività di archeologia sperimentale.