Storie di donne, letteratura di genere/ 417 – Di Luciana Grillo
Sophie Mackintosh, «Biglietto blu» – È un romanzo duro che fa riflettere su un mondo che divide gli esseri umani «estraendo i biglietti» che ne condizioneranno la vita
Titolo: Biglietto blu
Autrice: Sophie Mackintosh
Traduttore: Norman Gobetti
Editore: Einaudi 2021
Pagine: 304, Rilegato
Prezzo di copertina: € 19,50
Chi ha letto «Il racconto dell’ancella» non può non pensare, avendo fra le mani «Biglietto blu», che Margaret Atwood abbia veramente tracciato un segno profondo nella letteratura mondiale contemporanea.
Se le ancelle erano vestite di rosso, trattate come prigioniere, alimentate con scrupolo se considerate possibili continuatrici della specie, le ragazze di cui parla Mackintosh sono vittime di una lotteria che decide la loro vita e il loro futuro.
Le «biglietto bianco» potranno essere mogli e madri, le «biglietto blu» saranno donne professionalmente realizzate, libere, apprezzate nel mondo del lavoro. Ma obbligate a rinunciare alla maternità.
La protagonista, Calla, confessa: «A quattordici anni aspettavo il futuro già da mesi…», sa cosa l’attende, ma forse non capisce ancora cosa sia il libero arbitrio.
Poi, crescendo, la giovane donna matura, comincia a sentire il desiderio di un figlio: «Sapevo che, oggettivamente, volere che la fiammella della tua vita facesse qualcosa di diverso da ciò che ti era stato assegnato era impensabile, eppure lo volevo».
Quando la gravidanza è visibile, interviene un emissario che le impone di partire – dandole una mezza giornata di vantaggio – e le consegna un kit di sopravvivenza, mentre altre donne la guardano con «espressioni dure» come se fosse una delinquente.
Così comincia il suo peregrinare, e teme sempre di essere seguita e scoperta; incontra altre donne che, come lei, hanno trasgredito e fuggono verso luoghi che non conoscono. Si ferma a volte in qualche albergo per lavarsi e dormire, ma «…il benessere era un luogo dove non potevo andare. Il benessere non si trovava nelle camere d’albergo. Il benessere era una condizione permanente, non il continuo mutare del mio corpo così com’era adesso».
Dopo ogni sosta, una nuova fuga, sentendo sulla schiena gli occhi degli addetti alla reception…
Poi incontra Marisol; si studiano reciprocamente, si temono, infine si comprendono e viaggiano insieme verso un lontano confine, sostando dove trovano un ambiente adatto, «arrivammo a un ruscello e montammo le tende sul terreno duro lì accanto… Marisol esplorava i dintorni. Si muoveva rapida e precisa come un uccello. Nel modo in cui posava la mano su un tronco come per chiedere il permesso intravidi le potenzialità di una maniera nuova e generosa di sopravvivere nella natura».
Le due donne si confrontano, l’una sembra il riflesso dell’altra: «Mi chiamo Calla, e avrò un bambino… Mi chiamo Marisol e voglio mettere qualcosa al mondo… Avere un figlio è la decisione più razionale e allo stesso tempo più irrazionale possibile, in questo mondo».
La fuga continua, a loro si aggiungono altre due donne, le cose si complicano, Calla e Marisol prendono strade diverse, Calla partorisce una bimba, Marisol ricompare… e la storia si conclude in modo inatteso, anche se prevedibile.
Calla è madre fino in fondo e, per salvare sua figlia, compie il sacrificio più grande.
È da leggere questo romanzo così duro, è necessario riflettere su un mondo che divide gli esseri umani estraendo i biglietti che ne condizioneranno la vita da un bussolotto.
La vita non è e non deve essere una lotteria.
Molto accurata la traduzione di Norman Gobetti.
Luciana Grillo - [email protected]
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