La forza delle imprese italiane tra i giganti Cina e Usa

In questi ultimi dieci anni l’export ha funzionato come forma di difesa per le aziende italiane: chi è sopravvissuto alla crisi, quindi, lo ha fatto grazie all’estero

L’Italia ha maturato tra i più forti surplus manifatturieri. Oggi però il mondo sta radicalmente cambiando: la geopolitica, infatti, è diventata un convitato di pietra dell’internazionalizzazione, con un peso aumentato degli accordi bilaterali.
Se ne è parlato oggi all’incontro organizzato dall’Associazione italiana economisti d’impresa (GEI) nella cornice di palazzo Bassetti a Trento con Innocenzo Cipolletta, presidente AIFI, Gregorio De Felice, chief economist a Intesa San Paolo, Alessandra Lanza, docente di marketing alla Bocconi e Massimo Deandreis, direttore generale Studi e ricerche per il Mezzogiorno.
 
Alessandra Lanza nella sua analisi ha spiegato che «ci stiamo muovendo verso uno scenario a blocchi del commercio mondiale, una rivalità già vista sui mercati delle materie prime.
«L’appetito cinese per il petrolio ha infatti costituito un incentivo all’autosufficienza energetica degli Stati Uniti.
«La rivalità oggi si è invece spostata sulle cosiddette terre rare: oggi Pechino produce il 71% di questi elementi chimici.»
E l’Europa? Deve trovare la sua dimensione nello scacchiere come modello di welfare e di regolamentazione delle multinazionali.
 

 
Gregorio De Felice ha confermato che il baricentro produttivo si è spostato verso l’Asia: Pechino e Usa sono i protagonisti indiscussi nell’interscambio mondiale, così come della tecnologia avanzata.
«Il punto forte dell’Italia è la diversificazione dei prodotti: ci garantisce flessibilità e orientamento al cliente. Se aggiungiamo la diversificazione geografica, nei momenti critici riusciremo sempre a bilanciare.»
Ciliegina sulla torta, le imprese italiane, anche se piccole, sono riuscite ad allungare il raggio di export.
Secondo la previsione di Prometeia-Intesa San Paolo il saldo commerciale italiano nel 2023 vedrà più del 50% del fatturato realizzato all’estero.
 
«Sono anni che continuo a dire che l’Italia non va così male dal punto di vista manifatturiero. Abbiamo scelto di esportare prodotti con valore medio più elevato, alla faccia di chi ci criticava perché non puntavamo sulla quantità, – ha fatto notare l’ex presidente del Sole 24 Ore. – La nostra forza è che ci stiamo specializzando in componenti, siamo degli artigiani industriali. Il nostro mercato interno di riferimento però deve essere l’Europa.»