L’autonomia del Trentino oggi – Di Mauro Marcantoni – 7
La crisi della coabitazione di due culture autonomiste diverse in un’istituzione unitaria
Già nel 1949, in parallelo alla volontà di collaborazione amministrativa, che andò poi progressivamente deteriorandosi, era evidente il generale problema della convivenza di due culture politiche autonomiste diverse, la trentina e la sudtirolese, in un’unica compagine istituzionale.
Problema che si traduceva in una linea intransigente della SVP su ogni questione che riguardasse la tutela delle popolazioni sudtirolesi o il «trentinismo» della Regione, entrambe emerse quell’anno in diverse occasioni nelle assemblee della SVP*.
Gli esponenti della Democrazia Cristiana trentina erano espressione locale del più grande partito nazionale e nella compagine istituzionale unitaria che si era formata dopo le elezioni del 1948 si trovavano a governare – detenendo una salda maggioranza consiliare – l’ente regionale in cui anche la minoranza tedescofona era stata coinvolta.
Politicamente, questa fase, coincidente con le prime tre legislature, è stata caratterizzata da un approccio sostanzialmente «giuridicista» e in larga parte restrittivo, assunto dalla presidenza Odorizzi (dal 5 gennaio 1949 al 3 gennaio 1961) su tutte le questioni di interpretazione dello Statuto.
Le principali conseguenze furono da un lato la dispersione di importanti opportunità di decentramento alle due Province e dall’altro lo scontro con la Südtiroler Volkspartei, che rivendicava una gestione delle competenze al livello di governo, idonea a garantire la base etnica di lingua tedesca.
Come già ricordato, queste vicende furono particolarmente caratterizzate dalla mancata attuazione dell’articolo 14 dello Statuto speciale, secondo il quale la Regione avrebbe dovuto «normalmente» esercitare le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni e ad altri enti locali o valendosi dei loro uffici.
Disposizione mai attuata in quanto, con la sentenza della Corte Costituzionale del 9 marzo 1957 sulla legge regionale in materia di agricoltura, che prevedeva il passaggio alle Province dell’amministrazione di competenze cruciali per il sistema economico dell’epoca, venne definitivamente a cadere qualsiasi ipotesi di rafforzamento delle autonomie provinciali sulla base di quell’articolo.
La situazione di stallo che ne seguì trasformò la crisi politica del 1956 in una graduale rottura della collaborazione, sino all’uscita definitiva della SVP dalla Giunta regionale.
A questo si aggiunga che la cultura e la prassi del tutto centralistica dello Stato in quegli anni aveva di fatto impedito l’elaborazione e l’adozione di adeguate norme di attuazione per alcune materie direttamente connesse alle esigenze di tutela e salvaguardia dell’identità linguistica e culturale sudtirolese, che il Primo Statuto aveva previsto.
In questo quadro, la nuova e più radicale classe dirigente della SVP, dopo il 1957, assumeva come proprio programma un’agenda di riforma istituzionale fondata, secondo lo slogan del «Los von Trient», sull’abbandono dell’istituto regionale. Il tutto in una situazione di fortissima tensione determinata anche dall’intensificarsi dell’azione terroristica.
Una situazione altamente problematica derivata, quindi, dall’effetto congiunto, da un lato, di condizioni politiche non sufficientemente attente ai temi della convivenza e, dall’altro, di un assetto istituzionale inadeguato a rappresentare unitariamente le comunità di lingua italiana e di lingua tedesca.
Nota*. Armando Vadagnini, La Democrazia cristiana trentina e la sua classe dirigente, in Giuseppe Ferrandi e Günther Pallaver (a cura di), La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol nel XX secolo. 1: Politica e istituzioni, Fondazione Museo Storico del Trentino, 2007, pag. 541.
Rielaborazione giornalistica dei contenuti del volume di Mauro Marcantoni STORIA, della Collana Abitare l’Autonomia - IASA Edizioni, Trento. |