Lettera al Direttore – Renata Attolini

Rissa in città di Trento: «Mi chiedo come il nostro sindaco possa esprimersi in modo così deciso nei loro confronti»

La prima volta che vidi dal vivo uno spettacolo di Dario Fo erano gli anni ’70. Introdusse lo spettacolo parlando dei «pulotti», che caricavano le nostre manifestazioni, scherzando sul fatto che anche le suore più mansuete, dopo essere state rinchiuse per ore dentro un «cellulare» parcheggiato al sole, in equipaggiamento da anti sommossa, una volta liberate, erano talmente incattivite da aggredire chiunque si presentasse loro.
Riporto ad oggi la questione e mi chiedo come, il nostro sindaco, possa esprimersi in modo così deciso nei confronti dei ragazzi residenti alla residenza Fersina che si sono scontrati violentemente in città venerdì sera:
«I violenti devono andarsene via da Trento, siano richiedenti asilo o meno. Certi comportamenti sono inaccettabili.»
 
Sono certamente d’accordo con lui sul fatto che certi comportamenti siano assolutamente inaccettabili.
Ma non possiamo prescindere dall’analisi di una situazione pesante che strema le persone, genera tensioni e spinge a ribellarsi e a prendersela con chi ci è più vicino che diventa un nostro rivale nella conquista di un posto letto, di un pasto caldo, di un’occasione di guadagno seppur minima.
Ricordiamo certamente le condizioni in cui vivevano i richiedenti asilo a Marco di Rovereto e chi di noi si è preso la briga di dare una mano, qui, nella città del volontariato, sa con sicurezza che anche le condizioni di vita alla residenza Fersina sono indegne di esseri umani.
Lo sono ancor di più se pensiamo che si tratta di persone che fuggono da condizioni di vita inaccettabili.
 
Non possiamo cavalcare il disagio che il fenomeno provoca nel nostro continente, indicando come responsabili quelle che sono le vittime, in fuga da una morte certa per provare a costruirsi un futuro migliore.
Il rifugiato, in Italia, rimane sempre in situazione di emergenza e non gli sono chiari né doveri né diritti: non può essere un attore sociale, non può integrarsi, non può lasciare l’Italia per altri stati e non può tornare al proprio paese.
Il desiderio, utopico, di ciascun di loro è quello di arrivare ed essere integrato secondo una procedura di integrazione già pensata e sperimentata (apprendimento della lingua, studi adeguati, esperienze di lavoro adeguate alla formazione) e di ricevere la doppia cittadinanza, che gli consentirà, un domani, di potere tornare nel proprio paese.
Invece nessuna porta si apre per il profugo, si apre solo il buco nero del sistema assistenziale, grazie al quale, finita l’emergenza, è possibile scegliere, per dormire, tra un posto alla Caritas e uno in strada.
 
Il sistema di accoglienza trentino era uno dei più avanzati in Italia, seppure ancora da migliorare, ma è stato destrutturato dal governo Fugatti e ha mostrato il suo lato debole.
È necessario e urgente ritornare a un'accoglienza diffusa, strutturata in modo da responsabilizzare tutti gli attori coinvolti: i cittadini, gli amministratori e i migranti stessi.
I fatti di venerdì dimostrano una volta di più, se mai ce ne fosse bisogno, che l’assistenzialismo non funziona.
Se i tempi di permanenza nelle residenze sono lunghi per cause e concause della burocrazia, gli ospiti devono poter partecipare in prima persona alla gestione degli spazi in cui vivono e del cibo, devo avere condizioni di vita accettabili, devono essere periodicamente informati sull’avanzare delle loro pratiche e vedere una via di uscita nel breve.
 
L' accoglienza, oltre che dovere istituzionale, è un valore da difendere e da far necessariamente evolvere in integrazione.
Ripensiamo un sistema di accoglienza che punti sulle relazioni e non solo sulla gestione massiva di un problema, oggi imprescindibile, che rischia pesantemente di essere strumentalizzato da chi vuole governare cavalcando l'odio per il diverso.
Creiamo rete, per affrontare in modo adeguato il diritto per queste persone di esserci e di non essere invisibili.

Renata Attolini