Afghanistan: una tragedia da non dimenticare
«Afghanistan Diritti Negati» è il tema dell’incontro organizzato dalla «Federazione delle donne per la pace nel mondo» svolto martedì 26 ottobre in modalità online
«Afghanistan Diritti Negati» è il tema dell’incontro organizzato dalla «Federazione delle donne per la pace nel mondo» (WFWP- Padova), dal Comune di Cadoneghe, in collaborazione con Radio Bullets, svoltosi martedì 26 ottobre in modalità online.
«Come Assessore alle Politiche sociali, alla cultura e all’istruzione del Comune di Cadoneghe, mi sento di dire che l’educazione è una delle cose fondamentali con le quali le persone riescono a difendersi e ad avere un’arma di protezione.
«È proprio per questo che in Afghanistan si vogliono colpire le donne nel loro desiderio di essere delle persone istruite, autonome, libere e che di conseguenza sanno difendersi.»
Con queste parole Sara Ranzato ha aperto l’incontro sui diritti violati in Afghanistan.
Sono intervenuti Barbara Schiavulli, Reporter di guerra e Direttrice di Radio Bullets; Arianna Briganti, Vice presidente di Nove Onlus-caring humans; Umberto Angelucci, Presidente della Federazione delle Famiglie del Medio Oriente e Nord Africa; Marilyn Angelucci, Presidente di WFWP dell’Afghanistan e Flora Grassivaro Presidente di WFWP di Padova.
«I fatti successi a Kabul ci hanno scosso profondamente, ma purtroppo dopo due mesi l’attenzione sembra molto calata e la situazione appare peggiorata. Oltre al contesto politico e ai diritti negati, c’è una gravissima crisi umanitaria, – ha ricordato Flora Grassivaro. Ha inoltre parlato dell’allarme dell’Onu per più di ventidue milioni di Afghani che quest’inverno soffriranno di insicurezza alimentare, della terribile siccità dovuta ai cambiamenti climatici e di circa otto milioni di bambini che non avranno acqua. – Da una stima Unicef diciotto milioni di persone, di cui un milione di bambini, hanno bisogno di assistenza sanitaria ed entro il 2022 ci saranno 550mila sfollati.»
«La maggioranza della popolazione sarà sotto la soglia di povertà, – ha sottolineato. – Non possiamo più stare a guardare.
«Le donne sono sottoposte a una pressione enorme, che le vuole rinchiudere tra le mura di casa, senza possibilità di istruzione, di lavoro, soggette all’imposizione maschile e ai matrimoni precoci.»
Ha esortato a dare voce a chi non ce l’ha e a continuare a organizzare le raccolte di fondi.
Ha parlato della dichiarazione stilata dalla WFWP Internazionale, firmata da diverse organizzazioni internazionali, che è stata inviata alle Nazioni Unite e alla sua Sezione speciale sull’Afghanistan dopo l’avvento dei Talebani.
Nel documento articolato in nove punti si afferma che senza il rispetto dei diritti delle donne, dei giovani e dei bambini, il Paese non potrà avere un futuro.
Si ricorda il ruolo cruciale delle donne come madri di famiglia, leader di comunità e membri vitali della società.
Flora Grassivaro ha concluso affermando che «dobbiamo dare voce alle donne e alle bambine, non solo perché è giusto e lo meritano, ma anche per promuovere una civiltà globale che si prenda cura di tutta l’umanità».
«Sono stata a giugno in Afghanistan pensando di raccontare tutto quello si credeva potesse succedere e improvvisamente è successo prima che la gente se l’aspettasse.
«Dovevo partire in settembre, ma la situazione è precipitata e mi sono ritrovata bloccata in Italia e ho lavorato per le evacuazioni» – ha raccontato Barbara Schiavulli.
Appena è stato possibile la giornalista è tornata in Afghanistan per cercare di raccontare la società civile che non si vede più ma che c’è, e per interessarsi dei progetti del World Food Programme. Ha annunciato che tornerà in Afghanistan in dicembre, perché «è importante non abbassare i riflettori su questa situazione.
«Quello che sta avvenendo può essere arginato raccontando le voci di queste persone che vogliono urlare la loro sofferenza, ma che possono farlo solo attraverso i giornalisti che riescono ad arrivare nel loro paese.»
Gli afghani non sono più le persone di vent’anni fa. Le ragazze di oggi non sono più quelle degli anni novanta completamente analfabete.
Sono persone che hanno frequentato l’università e soprattutto nelle città si è formato uno zoccolo duro di intellettuali pensanti, attivi, vivaci, ma che ha bisogno di essere sostenuto.
Ci sono manifestazioni di donne che vengono represse e i giornalisti che le seguono vengono infastiditi, molestati, feriti. I giornalisti internazionali hanno una sorta di amnistia perché i Talebani stanno parlando con l’Occidente e vogliono dare un’immagine positiva di sé.
«La mia preoccupazione è che quando si spegneranno i riflettori, i Talebani saranno liberi di fare tutto ciò che vorranno.
«Ora non riescono perché ci siamo noi che li stiamo guardando e ne stiamo parlando. La mia speranza è che questa crisi economica fortissima possa strozzare i talebani e che la necessità dei soldi dei donatori possano diventare una condizione necessaria per garantire tutti i diritti.»
Arianna Briganti ha spiegato che la sua associazione è presente in Afghanistan da dieci anni; ognuno dei nove soci ha un’expertise afghano e che se si somma tutto il tempo trascorso dai soci in Afghanistan si arriva a circa cento anni.
Il nostro esponente più noto, candidato al Premio Nobel per la Pace due volte, Alberto Cairo, è lì da trentacinque anni consecutivi nei centri della Croce Rossa Internazionale.
La cooperante ha raccontato di aver avuto la possibilità di organizzare un ponte aereo insieme al Ministero degli Affari Esteri e della Difesa e di essere riuscita a evacuare quattrocentodue persone.
«In questo periodo stiamo lavorando alle emergenze del paese su richiesta e in collaborazione con le autorità locali. Abbiamo organizzato delle cliniche mobili che offrono servizi sanitari di base per assistere seimila donne e bambini.
«Offriamo un paniere di beni alimentari di prima necessità a circa seicento persone bisognose e con disabilità. Compriamo prodotti in loco per sostenere l’economia locale e forniamo la legna per il riscaldamento.
«Attualmente stiamo cercando di capire se e come possiamo sostenere le ragazze che stanno per conseguire la maturità o quelle che affrontano l’esame d’ingresso all’università.
«Vorremmo riunire in maniera discreta 200 donne che non sono mai andate a scuola per dare loro la possibilità di ritrovarsi nelle case degli insegnanti per studiare.
«Tutto questo perché le donne non smettono di lottare, di pensare che non sia finita e di credere di avere diritto all’istruzione.
«Vogliono continuare a lavorare e a contribuire a risollevare una società molto provata. Noi assieme agli afghani andiamo avanti, non possiamo fare altro e non c’è altra possibilità che continuare.»
«La WFWP è andata in Afghanistan nel 1995 e in quel tempo le donne afghane erano uguali alle donne del resto del mondo.
«Nel 2018, secondo una statistica di Amnesty International, l’Afghanistan era diventato “il luogo peggiore per le donne” per le altissime percentuali di analfabetismo, di matrimoni precoci, di suicidi e di violenze domestiche» – ha spiegato con l’ausilio di diapositive Marilyn Angelucci.
Ha raccontato che quando la WFWP è arrivata in Afghanistan ha investito soprattutto sulle donne, perché la sofferenza le aveva rese forti, appassionate, desiderose di istruirsi e di impegnarsi attivamente.
Ha raccontato come alcune donne, dopo essere state elette in parlamento e non sapendo come svolgere il loro mandato, si siano rivolte alla WFWP.
Nel 1996 dopo l’arrivo dei Talebani, la WFWP si è trasferita a Nuova Delhi in India, dove ha aperto una scuola per i rifugiati afghani frequentata in maggioranza da ragazze.
«Abbiamo notato come, una volta liberi dall’influenza della forte mentalità tradizionale, i genitori e i figli fossero desiderosi di ricevere un’istruzione. Abbiamo realizzato programmi di microcredito per le donne imprenditrici, di cucito e disegno per le ragazze ed elargito borse di studio per le studentesse.»
Ha spiegato come le donne, dopo aver conquistato con grande sacrificio il ventisette percento dei posti in parlamento, con l’avvento dei Talebani, si sono sentite devastate e private delle loro ragioni di vita.
«Quello che possiamo fare è far sentire la nostra voce, scoprire quello che in realtà sta succedendo alle donne, organizzare conferenze, indirizzare la pubblica attenzione sulla situazione drammatica delle donne afghane e far sentire loro che siamo dalla loro parte.»
Con l’ausilio di diapositive Umberto Angelucci ha raccontato che «dopo essere rientrati in Afghanistan, successivamente all’esperienza in India, abbiamo iniziato a lavorare con i giovani, che sono molto talentuosi e hanno un grande desiderio di imparare e di studiare.
«Abbiamo organizzato dei seminari per la formazione di giovani ambasciatori di pace, perché diventassero promotori di riconciliazione.
«Per responsabilizzarli sullo sviluppo del loro paese li abbiamo messi in contatto con il Ministero dell’Agricoltura e dell’Educazione.
«Li abbiamo aiutati a creare dei progetti per la cura dell’ambiente, che nel 2015 sono stati apprezzati anche dall’allora Presidente Ashraf Ghani.»
Ha tenuto a sottolineare come gli afghani siano un popolo molto cordiale e desideroso di aprirsi al mondo. Ha spiegato della sua collaborazione con il Comitato Olimpico Afghano, con il quale ha organizzato anche delle competizioni internazionali.
Ha parlato dell’organizzazione nel 2006, sotto l’egida di Universal Peace Federation, di una conferenza sulla pace alla presenza di 300 personalità delle diverse etnie afghane.
Ha poi ricordato l’incontro della delegazione internazionale di pace promossa da UPF con il Vice Presidente Karim Khalili nel 2014.
Ha concluso parlando dei forti contatti che UPF mantiene con gli esponenti del governo precedente e con i rappresentanti della comunità internazionale per favorire il dialogo con i Talebani e pervenire ad un governo di unità nazionale.
L’incontro è terminato con l’intervista a un profugo afghano che è riuscito a portare in salvo i membri della sua famiglia a Padova.