Ciò che la storia dovrebbe insegnare – Di Paolo Farinati

La data del 20 novembre e le tante coincidenze storiche di quel continente che si chiama Russia

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La guerra in Ucraina continua, un conflitto inimmaginabile fino a pochi mesi fa.
Tra un’avanzata e una ritirata di entrambi gli eserciti contendenti, è unanime nel mondo il pensiero che durerà a lungo.
Purtroppo per la popolazione ucraina, che si è vista distruggere intere città e uccidere decine di migliaia di giovani soldati e di incolpevoli civili, come anche per il popolo russo, che è in gran parte all’oscuro di tale «operazione speciale» e ha visto morire anch’esso sin qui decine di migliaia dei propri soldati.
Rimango della convinzione più profonda che Putin ha commesso un orrendo crimine di guerra. Di questa sua scellerata scelta, prima o dopo, dovrà rispondere non solo agli ucraini, ma pure alle migliaia di mamme russe e al mondo intero.



Ma vogliamo capire di più, o quantomeno cercare di dare una spiegazione a questi terribili mesi di guerra scoppiata nel cuore della nostra Europa. Mi aiuta in questo, seppur parzialmente, la coincidenza di fatti accaduti in una precisa data: il 20 novembre.
 
- Il 20 novembre 1917, la Rada Centrale, a quel tempo l’organo di rappresentanza politica di Kiev, proclamava la nascita della Repubblica Popolare Ucraina. Seguirono molte tristi vicende, tra ripetute invasioni di quelle terre e città da parte dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Fino a quando l’Ucraina, da già Repubblica federata nell'ambito dell'URSS, il 24 agosto 1991 si costituisce quale Repubblica Indipendente aderente alla Comunità degli Stati Indipendenti, alla cui fondazione ha preso parte il 21 dicembre 1991, unitamente ad altre dieci Repubbliche dell'ex URSS.

- Il 20 novembre 1962, l’Unione Sovietica accetta di rimuovere i propri armamenti dalla base missilistica di Cuba, ponendo fine ad una gravissima crisi con gli Stati Uniti d’America.
Questo evento dovrebbe far capire a chi di dovere, che una ritirata non significa far diminuire la potenza di una Nazione e nemmeno far perdere la dignità ad un popolo.
 
- Il 20 novembre 1910, muore il grande scrittore, filosofo e attivista russo Lev Tolstoj.
 

 
Citare la data della morte di Tolstoj mi permette di porre all’interno di questa mia seppur modesta riflessione, le opinioni e le visioni sue e di altre grandi figure di intellettuali russi.
Al fine di capire di più anche il nobile popolo russo e il suo rapporto con il potere politico. Relazione che credo non sia tanto cambiata negli ultimi decenni.
Questo non certo per giustificare il criminale Vladimir Putin e le sue terribili decisioni, ma per comprendere le tante diversità, non solo politiche, economiche e sociali, ma soprattutto culturali tuttora esistenti tra la Russia e il nostro mondo occidentale.
Incominciamo proprio da Lev Tolstoj. Tutta la filosofia di vita di Tolstoj e la sua teoria della «non resistenza al male» è stata ampiamente esaminata, sia attraverso le sue opere narrative, sia attraverso i suoi saggi critici. A questo va aggiunta una sua particolare fede nella semplicità del popolo e del contadino russo.
 
Ne Il grande peccato del 1905, Tolstoj ci lascia scritto: «Il popolo russo ha sempre avuto nei confronti del potere un rapporto diverso da quello che hanno gli europei. Il popolo russo non ha mai partecipato al potere, né vi ha mai preso parte. Il popolo russo ha sempre visto il potere non come un bene a cui ogni uomo naturalmente tende, così come pensa la maggior parte degli europei, ma come un male da cui l’uomo deve star lontano. La ragione di questo atteggiamento, secondo me, sta nel fatto che il popolo russo, più degli altri popoli, conserva in sé un autentico cristianesimo, quale insegnamento di fratellanza, uguaglianza, armonia, amore, quell’idea cioè di cristianesimo che distingue tra il sottomettersi e l’obbedire alla violenza».
Confermano queste parole le molte azioni di solidarietà, di umanità e di generosità delle genti russe verso i soldati italiani e tedeschi durante la drammatica ritirata dalla Russia nella Seconda Guerra mondiale. Semplici gesta che permisero a molti di loro di tornare a casa salvi.
 
Continua Tolstoj: «Secondo me il popolo russo non deve proletarizzarsi, copiando gli altri popoli dell’Europa e dell’America, ma deve invece risolvere all’interno della sua struttura ogni problema e deve indicare agli altri popoli la strada per raggiungere una vita equilibrata, libera e felice, che escluda ogni forma di violenza e di schiavitù industriale e capitalistica. Esattamente in questo consiste la sua grande vocazione storica.»
Proseguiamo in questa sintetica antologia del dibattito sull’idea di Russia e sul suo destino, citando altri due fra i maggiori autori russi: Fedor Mihajlovi? Dostoevskij e Aleksandr Sergeevic Puškin.
 

Fëdor Dostoevskij.
 
L’attività di Dostoevskij quale pubblicista permette di rintracciare e individuare con molta chiarezza la sua posizione di rappresentante della corrente slavofila, di pensatore religioso e di profeta del «popolo portatore di Dio».
Uno dei temi dominanti che affiora costantemente in tutta la sua attività di giornalista è il problema del socialismo, che Dostoevskij esamina all’interno di un più vasto problema sociale che riguarda specificatamente la Russia.
E proprio in questa direzione Dostoevskij delinea una precisa missione di salvezza del popolo russo. Non secondario per lui è il problema dell’autoritarismo, che Dostoevskij affronta affermando l’idea di un’unificazione del mondo che nega l’uso della violenza.
All’idea romana fondata sulla costrizione, contrappone l’idea russa fondata sulla «libertà dello spirito».
 
Leggiamo alcune sue righe tratte da Avvenimenti stranieri del 1873: «La Russia è a capo dell’ortodossia, ne è la protettrice e la garante; questo è un ruolo che le è stato assegnato fin dai tempi di Ivan III, che pose nello stemma della Russia l’aquila bicipite È un ruolo che ha acquisito ancora più significato dopo Pietro il Grande, quando la Russia di fatto è diventata l’unica difesa dell’ortodossia e dei popoli di questa fede.
«Questa è la ragione, la vera e unica centralità. A noi potrebbero unirsi, prima o poi, anche gli altri popoli slavi europei di fede non ortodossa. Tutto questo nostro slavofilismo e occidentalismo non è nient’altro che un nostro grande malinteso. A un vero russo, l’Europa e tutto il mondo ariano stanno a cuore quanto la Russia.
«In questo senso – continua Dostoevskij – la Russia diventerebbe la protettrice di queste nazioni, ne sarebbe il capo, ma non la padrona; sarebbe la loro madre ma non il signore. Noi rappresentiamo la pace universale, raggiunta non con la spada ma con la forza della fratellanza e tutti noi tendiamo a una unificazione di tutti i popoli.»
 
Conclude il grande saggista russo: «Oh, popoli dell’Europa, non sanno neppure quanto ci stanno a cuore! Io credo nel fatto che noi, a dire il vero non noi ma i russi che verranno dopo di noi, capiamo tutti senza eccezione che diventare dei veri russi significherà essenzialmente darsi da fare per appianare definitivamente le contraddizioni europee, indicare con la propria anima russa una via d’uscita all’angoscia europea, dimostrare che la nostra anima abbraccia l’intera umanità, unisce tutti in un fraterno abbraccio d’amore, e alla fine, forse, pronunciare una parola definitiva di grande e generale armonia, di definitiva alleanza fraterna di tutti i popoli, secondo la legge evangelica di Cristo!»
 

Lev Tolstoj.
 
E veniamo ad Aleksandr Sergeevic Puskin.
Simbolo della cultura russa e fondatore della moderna letteratura russa, Puškin rappresenta una figura di intellettuale moderno aperto a ogni forma di cultura, sia occidentale che orientale. Consapevole della limitata conoscenza della Russia da parte della cultura europea, cercò di motivare l’originalità della storia russa attraverso una serie di opere a carattere storico, sostenendo una «formula diversa» da quella applicata per la storia dell’Occidente cristiano.
Rispondendo con questa lettera alle Lettres philosophiques di P.Ja. ?aadaev, apparse in francese nel 1836, Puškin dimostra come la storia della Russia, nell’indicare la volontà del suo popolo all’unità, sia stato un esempio al servizio dei grandi interessi dell’Europa.
 
Scrive Puskin: «La ringrazio della pubblicazione che mi ha mandato. L’ho letta con molto piacere. Per quanto riguarda il contenuto, lei sa perfettamente quanto io non sia d’accordo con lei. Non c’è dubbio che lo Scisma, la divisione delle Chiese, ci abbia separato dal resto dell’Europa e che noi non abbiamo preso parte a nessuno dei grandi avvenimenti che hanno sconvolto l’Europa, ma noi avevamo un destino tutto individuale. Questa è la Russia.
«Noi siamo stati costretti a vivere un’esperienza molto particolare che, pur confermando la nostra cristianità, ci ha tuttavia reso assolutamente estranei al mondo cristiano. I costumi di Bisanzio non sono mai stati quelli di Kiev. La nostra gerarchia ecclesiastica è stata degna di ogni rispetto. Sono d’accordo con lei che ora il nostro livello spirituale è decaduto.
«Per quanto riguarda la nostra assoluta nullità sul piano storico, non sono affatto d’accordo con lei. Cosa mi dice delle guerre di Oleg e di Svjatoslav, della vitalità e del fervore di entrambi gli Ivan, di Caterina II, che ha portato la Russia alle soglie dell’Europa e di Alessandro, che ci ha portato fino a Parigi?
«Benché io sia sinceramente legato al sovrano, non mi piace affatto ciò che mi circonda: come letterato non mi accettano, come persona vittima dei pregiudizi mi offendono in continuazione. Ma giuro che per niente al mondo vorrei cambiare la mia patria, oppure avere una storia diversa da quella dei miei padri.»
 
Non so quanto questo mio scritto ci possa aiutare a capire quello che distingue noi europei occidentali dagli abitanti dell’immenso e variegato continente chiamato Russia.
Ritengo che un piccolo sforzo vada fatto anche da parte nostra. Giustamente il Presidente francese Macron ha più volte ribadito: «La Russia non va umiliata!».
Certo, soprattutto il popolo russo, il nobile popolo russo, va rispettato. Anche perché, purtroppo, è tuttora molto all’oscuro delle attuali drammatiche cronache di guerra e delle palesi gravissime colpe del suo Presidente.
Infatti, non possiamo certamente assolvere Vladimir Putin, che è stato ed è colui che ha profondamente tradito anche le parole e i valori che ci hanno tramandato proprio i grandi pensatori e scrittori russi quali Tolstoj, Dostoevskij e Puskin. Una visione che ci viene confermata del resto pure da molti altri attuali intellettuali dissidenti russi.
La diplomazia si deve armare di conoscenza, di cultura, di pazienza, di empatia, di tenacia, di rispetto. Nel mentre i vertici politici di Mosca e i generali russi devono capire che la Grande Russia è e sarà tale, se rispetterà l’Indipendenza, la Libertà e la Democrazia che alcune sue comunità hanno scelto in questi ultimi decenni.
I confini sono stati spesso una scelta di potere, la pace è una conquista dell’intera umanità.

Paolo Farinati