Dietro le toghe – Di Mina Margot Giles
Trattativa ai massimi livelli, dopo più di vent’anni di professione
Questo è il primo racconto di una nuova collaboratrice che conosce l’ambiente giudiziario e che vuole mettere in bacheca i lati nascosti della giustizia italiana, con l’intento di contribuire al miglioramento di un settore che è fondante per qualsiasi democrazia.
Ovviamente il racconto che segue è frutto di pura fantasia.
Nomi, fatti, citazioni, battute e quant’altro sono generate dall’immaginazione dell’autrice.
Ma dato che gli spunti sono attinti dal mondo reale, ci si scusa a priori con coloro che dovessero riconoscersi nei personaggi.
Trattativa ai massimi livelli, dopo più di vent’anni di professione
Per la prima volta il seno sodo e perfettamente rotondo della collega mi distrae. Con intento dissacratore, irriverente e indubbiamente poco collegiale, dubito fortemente che tale perfezione possa essere naturale e non distolgo lo sguardo.
E mentre lei m’illustra le inaccettabili proposte transattive, che a suo avviso dovrebbero risolvere tutti i problemi della mia assistita, io - che sono di tutt'altra opinione - cerco di scorgere il ritmo lento del suo cuore e resto rapita da quel respiro regolare che a tratti scosta leggermente la scollatura del vestito facendo emergere tutta quella bellezza.
Una parte del mio cervello, avvezza a lavorare indefessamente per molte ore al giorno, prende appunti sottolineando tutte le contraddizioni e le incertezze del timbro di voce. La collega, per quanto dotata anche di sana determinazione e indubbie capacità, è del resto giovane e bisognosa di fare più esperienza, ma la mia anima, rovinosamente inquinata dalla professione, oramai stomacata e irrequieta, vaga ora libera da ogni remora.
Fuori splende il sole di una di quelle memorabili giornate estive. Sono qui da ore senza sbocco ma non ho né figli né marito che mi possano aspettare e quindi mi rilasso e mi accomodo meglio nella sedia.
Così, mentre ascolto la sua voce che mi culla in sottofondo, eccomi sorpresa a chiedermi se il collega ospitante, e titolare dello studio, attardandosi al lavoro una sera abbia effettivamente già avuto modo di verificare l'autenticità di tale perfezione, assaporandone la freschezza, magari anche col desiderio di muoversi al ritmo di quel cuore giovane e motivato, come peraltro avevo sentito spettegolare in tribunale.
Non che si debba credere a tutto quando si sente raccontare in quei corridoi, ma certo la storia mi sta ora intrigando, in parte perché la moglie del collega è stata mia amica in passato, in parte perché il collega, noto «bastardo senza scrupoli», sembra effettivamente succube della sua giovane di studio. Atteggiamento in lui del tutto inusuale, inaspettato e ad un passo dal ridicolo.
Quel fisico tonico deve essere portentoso... E ad un tratto rimango folgorata: non solo il collega pare inebetito, ma lei lo tiene in pugno, o rectius, !in pectore»!
Due belle tette nuove! Possono essere forse la soluzione ad ogni problema? Chissà! Io con il seno grande ci sono praticamente nata e pur avendolo generosamente esposto (più per difficoltà di contenimento) non ho mai pensato che potesse fare la differenza.
È ben vero che le colleghe hanno talvolta lamentato che distraevo l'organo giudicante, ma io non avevo mai pensato che il giudicante potesse avere un organo così ricettivo.
Certo ora, guardando il collega... qualche dubbio...
Ma noi donne, che negli ultimi anni ci siamo guadagnate un posto al tavolo, per così dire, delle trattative in professioni solitamente prettamente maschili, quanto abbiamo concesso alla mercificazione del nostro corpo o addirittura della nostra anima rendendo involontariamente ancora più difficile una vera parificazione?
O quanto al contrario abbiamo scimmiottato gli uomini al punto tale che anch'io oggi mi ritrovo a guardare il fisico delle colleghe e uso espressioni poco femminili!
Quanto ci siamo allontanate dagli ideali delle sessantottine che ci avevano così cortesemente aperto la strada rendendo a noi tutto possibile, tutto più facile? In quante abbiamo perso per strada la nostra femminilità ed eleganza, quasi fosse un feticcio od orpello di cui disfarsi velocemente per la carriera?
Quante di noi hanno nascosto, rinunciato o, peggio ancora dimenticato, la propria maternità affinché il cliente non avesse a rimpiangere di non aver scelto un avvocato uomo? Quante, dovendo lottare quotidianamente con ogni mezzo disponibile per la propria sopravvivenza in un mondo ancora fortemente maschilista, tutt'oggi involontariamente arrestano il processo verso quella vera parificazione?
L'uscita di scena della collega perfetta, richiamata da una urgenza, interrompe bruscamente le mie riflessioni e la voce del collega mi scuote.
«Sai, non lo avevo mai notato, hai dei bellissimi occhi, fammeli vedere.»
«Come scusa?»
«Si, sei davvero bella.»
L'ho guardato dritto negli occhi, i suoi... altrettanto splendidi, e con la stessa indifferenza che mi aveva provocato il suo complimento ho risposto.
«Cinquecentomila Euro, non un centesimo di meno, l'offerta scade domani.»
E, alzandomi, «È sempre un piacere trattare con il tuo studio. Attendo la riposta del Tuo cliente.»
Mina Margot Giles