Il padre della «terza via» a Trento – Anthony Giddens: «dal Welfare State all’investimento in capitale sociale e umano»
Per il grande sociologo è possibile distinguere il modello sociale europeo da quello Usa, ma a patto di rinnovare profondamente le vecchie forme di assistenza
Un modello sociale europeo è
possibile, ma per averlo accanto all'innovazione economica è
necessario anche promuovere un profondo cambiamento del welfare. In
futuro le politiche sociali saranno sempre meno standardizzate;
dovranno puntare alla prevenzione, promuovere stili di vita e
valori «positivi», offrire agli utenti possibilità di scelta.
Questa in sintesi la lezione di uno degli ospiti più attesi del
festival dell'Economia, Anthony Giddens, già
direttore della London School of Economics e docente di sociologia
a Cambridge, nonché padre del concetto di terza
via, ovvero quel processo di riforma del bagaglio di idee e di
politiche che sono patrimonio dello schieramento socialdemocratico,
dall'Inghilterra agli Usa passando per tanti altri paesi europei e
mondiali.
Giddens ha esordito con parole di elogio per il
Festival di Trento, rammaricandosi di non avere avuto lui
quest'idea e di non averla realizzata a suo tempo proprio a
Londra.
Dopo aver brevemente ripercorso l'inizio del suo coinvolgimento
attivo in politica, nell'ambito degli incontri organizzati fin dal
1997 dal partito Laburista britannico con i Democratici americani -
assieme fra gli altri a Clinton, a
Blair, a Gordon
Brown - e poi via via allargatisi a tanti altri
paesi, Giddens è passato ad illustrare i cambiamenti epocali
sopravvenuti negli ultimi anni, ovvero: globalizzazione, che per
Giddens è sinonimo di più interdipendenza non solo sul piano
economico ma anche su quello culturale; nuova economia,
sintetizzabile con il dato riguardante gli occupati nei settori
dell'agricoltura e dell'industria in Inghilterra, oltre il 40%
trent'anni fa, sotto il 15% oggi; infine, un diverso rapporto fra
Stato, società civile e cittadino, all'insegna di un crescente
desiderio di coinvolgimento delle persone, delle comunità, dei
popoli nell'assunzione delle decisioni.
Venendo al campo del welfare, Giddens innanzitutto ha fatto piazza
pulita delle obbiezioni solitamente sollevate dalla destra, «che
vorrebbe semplicemente eliminarlo», anche al fine di ridurre la
pressione fiscale e quindi di accrescere la competitività. «Gli
studi fatti in Europa dimostrano che gli stati più competitivi,
come quelli scandinavi, non hanno rinunciato a forme di protezione
sociale», ha tagliato corto.
Tuttavia anche Giddens è convinto che il vecchio stato sociale stia
finendo. Vediamo allora brevemente quali sono le sue
caratteristiche principali. In primo luogo, il welfare tradizionale
interviene a posteriori per correggere o limitare gli effetti di
eventi negativi già accaduti, come la perdita del posto di lavoro o
l'insorgere di una patologia sanitaria. In secondo luogo, il
vecchio welfare è paternalista: eroga il servizio
dall'alto, ed è un servizio altamente standardizzato. Il terzo
luogo, il welfare tradizionale è indifferente alla questione degli
stili di vita.
«Noi oggi abbiamo bisogno
di un nuovo welfare - ha ribadito a questo punto della sua
analisi Giddens - che deve
essere nuovo fin dal nome. Anziché stato sociale potremmo chiamarlo
sistema di investimento sociale con funzioni di
welfare.»
Investimento, dunque, ed in questa parola è racchiusa buona parte
di quell'idea di novità, di cambiamento rispetto agli schemi del
passato di cui il sociologo britannico si è fatto portatore in
questi anni.
Vediamo dunque le tre caratteristiche speculari di questo welfare
rinnovato. In primo luogo, il nuovo sistema di investimento sociale
dovrà avere funzione preventiva. Le sue azioni saranno orientate
quindi in maniera prioritaria ad evitare il manifestarsi degli
eventi negativi. In secondo luogo, il nuovo welfare dovrà prendere
atto che viviamo in una società che si è abituata a scegliere,
perché scegliere significa esercitare un potere. Per cui bisognerà
introdurre forme di diversificazione dell'offerta, puntare ad un
sistema che sia in grado di erogare prestazioni sempre più
personalizzate, meno standard.
Infine, il nuovo welfare sarà giocoforza interessato a promuovere
stili di vita e finanche valori positivi. Esso punterà quindi
sull'accrescimento del capitale umano (istruzione, formazione) e
del capitale sociale (reti, associazioni di cittadini), e si
preoccuperà di correggere quei comportamenti che di fatto generano
i problemi e le patologie, ad ogni livello. Dai problemi legati
all'obesità o al cancro, prodotti da abitudini e stili di vita
nocivi, ad un grande macroproblema come quello del
surriscaldamento del pianeta, che impone a tutti i cittadini di
cambiare rotta, di evitare quanto più possibile quei comportamenti
le cui ricadute sono negative per tutta la società, come un consumo
eccessivo di energia o un uso smodato dell'auto.
In altre parole: il nuovo welfare sarà un «welfare attivo», con
caratteristiche positive, che non si limiterà a cercare di
rimuovere le cause dell'infelicità ma di stimolare comportamenti e
azioni utili all'intero corpo sociale.
Qualche indicazione ancora sul «che fare», prendendo ad esempio un
settore specifico, quello dei problemi causati dalle cattive
abitudini alimentari: bisognerà rivolgersi innanzitutto ai bambini,
con campagne mirate, perché certi problemi cominciano a
manifestarsi fin dalla tenera infanzia, quando gli individui sono
più facilmente vittime di campagne promozionali spregiudicate. Ma
bisognerà agire anche sul mondo degli adulti, ad esempio
regolamentando certe attività commerciali ed esercitando forme di
pressione o di controllo sulle imprese.
In conclusione, insomma, un sistema sociale europeo, che non si
rassegni agli enormi squilibri sociali che si registrano oggi negli
Stati Uniti, e che possa essere utile anche a paesi come India e
Cina, che stanno sperimentando assieme ad una crescita accelerata
delle loro economie anche l'insorgenza di nuove forme di
disuguaglianza, è possibile. Bisogna avere però il coraggio di
cambiare.
(mp)