Dal nord al sud, via mare, quarta parte – Di Luciana Grillo
Il portogallo, da Oporto a Lisbona, patria del bacalhau e del vino porto
Mi accoglie il Portogallo, Paese che amo molto per i suoi colori, per il «fado» che tocca corde profonde, perché si sente il respiro dell’oceano.
Si approda a Leixoes, importante porto commerciale a pochi chilometri da Porto (o Oporto).
Ho il tempo di fare una passeggiata sul lungomare prima di prendere la navetta per Porto, mi sembra una cittadina tranquilla, curata, diversa dai porti affollati e caotici.
Sulla spiaggia c’è un gruppo scultoreo, pensavo fosse dedicato ai migranti, invece ricorda una tempesta e un naufragio che provocò la morte di molti pescatori del posto.
Emerge dalla sabbia e si vede da lontano, sono mogli e figli che tendono le braccia verso il mare.
Porto mi affascina subito, raggiungo il quartiere Cais da Ribeira, il più antico della città, abitato una volta da ricchi mercanti.
Il lungomare, a cui si accede da stradine ripide, ha palazzi signorili, mi sembrano ottocenteschi; alcune case sono decorate con azulejos; numerosi sono i bar e i piccoli locali dove consumare uno spuntino veloce.
In verità, non è proprio un lungomare, ma un lungofiume: di fronte c’è l’altra parte della città, siamo alla foce del Douro, c’è molta gente, tanti giovani che si fermano a guardare il passaggio pigro delle barche.
Alzando gli occhi, si vede subito il lungo e ardito ponte, «Dom Luis I», che unisce le due rive del fiume.
Il progettista è stato l’ingegnere Teofilo Seyrig, che a lungo ha collaborato con Gustave Eiffel.
Il ponte è percorso da automobili, autobus, pedoni e metropolitana leggera.
Alla fine del lungofiume, trovo un ascensore che mi fa salire alla parte alta della città: anche qui stradine scoscese, panorama interessante.
È un vero e proprio dedalo di viuzze su cui si affacciano chiese e palazzi.
Entro nella Capela de Nossa Senhora das Verdades, che è piccola, restaurata da poco, credo sconsacrata.
All’interno una signorina mi spiega che è un centro di accoglienza e passaggio per i pellegrini che compiono il cammino di Santiago.
Il ponte è ormai a portata di passo, sembra che sporga dalle antiche mura prima di sorvolare il fiume, ne percorro una parte, e penso all’uso del ferro così abituale per Eiffel.
Solido, il ponte non diventa una struttura pesante alla vista, perché lascia vedere fiume e città. Sembra un pizzo che abbraccia le due sponde.
Il centro, in alto a picco sul fiume, è arroccato sulla cima di una collina. Una grande piazza, occupata su un lato dall’imponente cattedrale, ancora una volta invita alla sosta per ammirare il panorama.
La cattedrale è stata costruita nel 1200 e ricostruita più volte, perdendo così un po’ della sua identità.
Una preghiera, uno sguardo ai dipinti (anche una Madonna incinta) e poi di nuovo fuori, costeggiando una parte delle mura e scendendo verso la Borsa, il Municipio, la stazione ferroviaria, la chiesa dei Chierici e riempiendomi gli occhi dei colori vivaci dei palazzi e dei tanti azulejos che rendono il Portogallo così tipico.
Bellissima la Libreria di Lello, solenne e accogliente, dove si mescolano impronte neogotiche e vetrate Art Nouveau, ma a mio parere troppo carica dei simboli di Harry Potter tanto cari ai ragazzini.
Per pranzo, scendendo verso il fiume, mi fermo in un ristorante piccolo e molto suggestivo, che non ha le caratteristiche del ristorante per turisti: i cartelli che accompagnano il menu (purtroppo non in italiano) invitano alla condivisione, all’amicizia, alla convivialità.
Le pietanze offerte sono sempre per due persone…anche se così piccole che può mangiarle tranquillamente un solo cliente.
Un balconcino si affaccia sulla collina e in fondo lascia vedere il fiume. Tutto buono, ma un po’ caro.
Navetta, imbarco e partenza per Lisbona.
Come ogni sera, prima di cena vado a teatro: gli spettacoli sono piacevoli, cambiano ogni sera: ballerini e cantanti, acrobati e maghi, omaggio all’Italia con musiche e balletti.
Dopo cena, sosta breve per ascoltare un ottimo musicista italiano – Giorgio Rossi – che suona tutte le sere con l’anima del jazzista e propone musiche internazionali e naturalmente italiane.
Non posso trattenermi dal chiedergli di suonare e cantare qualche canzone di Gino Paoli. Comincia subito con «Il cielo in una stanza», prosegue con «Sapore di mare»… e così via.
Il giorno dopo, sono a Lisbona. Mi sembra che sia la mia quinta volta.
Il cielo è di un azzurro abbagliante. Passeggiata in centro, attraversando le grandi piazze, sguardo alla lunga fila di persone che vuole prendere l’ascensore di Eiffel, ritorno in tram all’Alfama – quartiere tipico, il più antico della città, posto in alto, ricco di chiese e belvederi. Indigestione di azulejos.
Alla sommità della collina c’è il castello di Sao Jorge.
Come sempre, incontro turisti di ogni razza e colore, tutti mi sembrano allegri, accolti da questo rione popolare, affollato, un po’ disordinato, con negozietti di souvenir, venditori ambulanti molto carini, non invadenti, stradine in salita, piccoli ristoranti.
Non ritorno alla casa natale di Sant’Antonio né alla grande chiesa Da Sé, visitate altre volte, mi piace sentirmi libera, padrona della città.
Per pranzo ci fermiamo lungo la discesa che porta alla città bassa, ma sbagliamo: è biecamente turistico, caro, con servizio lentissimo. Il bacalhau però è buono.
Speravo che nel pomeriggio avrei trovato una fila meno lunga per prendere l’elevador Eiffel: ritorna il buon Gustave sulla mia strada, aspetto circa un’ora e poi entro in questo ascensore che sembra un salottino antico, all’interno della torre Eiffel.
L’addetto non è particolarmente gentile. Nessuno ha voglia di dire una sola parola in italiano. Perché i portoghesi non ci amano? Temono la concorrenza?
Il panorama che si gode dall’alto è interessante: la città ottocentesca, ricostruita in parte dopo incendi devastanti, ha spazi ampi, angoli verdi, una stazione splendidamente restaurata dove, oltre i binari dei treni, si apre una grande terrazza.
Tutto molto moderno, ma il contrasto è elegante.
Al tramonto, stanchissima perché fa molto caldo, vado al porto e la grande nave è proprio la casa in cui non vedo l’ora di salire.