Axel Leijonhufvud: «Abbiamo costruito una casa di carta»
«Il sistema finanziario è instabile e il crollo può avvenire per motivi differenti da quelli che hanno causato la crisi del 2007»
È un panorama a tinte fosche quello che ha dipinto Axel
Leijonhufvud, professore emerito dell'Università di Trento, oggi al
castello del Buonconsiglio.
«Abbiamo costruito una casa di
carta, dove basta una piccola spinta perché il sistema ceda.»
Di più: «La crisi ha esaurito la capacità dei governi di gestire un
altro crollo di questa entità, ha cambiato gli equilibri del mondo
limitando l'influenza degli Stati Uniti nel sistema globale.»
Secondo l'accademico è necessario adottare interventi che
minimizzino il rischio di recidività della crisi, causata non tanto
dalla mancanza di trasparenza sugli investimenti quanto da un
sistema strutturalmente instabile; per fare questo i governi devono
mettere in campo politiche normative.
Axel Leijonhufvud è uno dei principali esponenti dell'economia
contemporanea.
Professore emerito, in precedenza docente di Economia monetaria,
insignito della laurea honoris causa dalla Lund University e
dall'Università di Nizza, è particolarmente legato alla città di
Trento, come lui stesso ha ammesso.
Disparate le sue esperienze di gioventù.
«Ha fatto per un anno il marinaio, prima di iscriversi
all'Università - ha commentato Giorgio Fodor, docente alla Facoltà
di Economia di Trento, nel presentarlo - e credo che questa sua
ricerca di libertà abbia percorso tutte le sue ricerche.»
Leijonhufvud per illustrare il suo assioma è partito dalle origini
della crisi, dal mercato dei mutui ipotecari americani da cui è
scaturita la reazione a catena.
«La causa primaria, per gli economisti, è stata la carenza di
trasparenza. Ovvero gli investitori non sapevano cosa stavano
vendendo: i cosiddetti crediti derivati avevano allontanato il
debitore iniziale dal creditore, instaurando una gerarchia di
crediti tali per cui chi deteneva il titolo non sapeva nulla della
solvibilità di chi aveva contratto il debito. Si trasferiva, in
sostanza, il rischio sugli acquirenti, che erano ignari della
totale inaffidabilità dei debitori.»
A questo si è aggiunta la politica dei tassi di interesse
bassissimi attuata dalle banche centrali, che ha spinto gli
investitori verso titoli più a rischio, ma che permettevano
maggiori ricavi.
E così i governi di tutti i Paesi, compreso quello americano, hanno
dovuto intervenire versando forti somme di denaro sui mercati, per
impedirne il collasso.
«Le perdite nel mercato dei mutui ipotecari - ha proseguito Axel
Leijonhufvud - sono stimate in 160 miliardi di dollari. In totale
lo shock che ha colpito il sistema è stato di oltre 220 miliardi di
dollari. Ma la somma delle perdite subite dai mutui ipotecari è
piccolissima rispetto alle perdite di reddito: si stima che questa
sia cinquanta volte tanto, misurabile in trilioni di dollari.»
Analogamente il «leverage» (la percentuale di indebitamento
rispetto al capitale proprio, sia per famiglie, che per banche e
aziende) è cresciuto a dismisura, così come il debito dei Paesi
rispetto al prodotto interno lordo.
Non è quindi la mancanza di trasparenza, quanto l'instabilità
generale del sistema a rappresentare il problema più grave.
«Siamo molto esposti - ha commentato Axel Leijonhufvud -siamo su
livelli di indebitamento mai raggiunti e questo in tutti i settori
dell'economia. Il sistema finanziario è instabile e il crollo può
avvenire, in futuro, in altri settori. Abbiamo costruito una casa
di carta, dove basta una piccola spinta perché il sistema crolli,
senza considerare che è ormai esaurita la capacità dei governi di
gestire un'altra crisi di questa entità che ha ridotto l'influenza
degli Usa nel mondo e quindi ha modificato l'equilibrio dei
poteri.»
Due le strade che si aprono a questo punto.
«Possiamo accettare gli incentivi così come sono e cercare di porre
alcuni limiti, nella speranza che questo possa migliorare il
sistema in generale. Ma va detto che i mercati finanziari si sono
dimostrati il settore più innovativo del sistema negli ultimi anni,
il potere di Wall Street, dove lavorano i migliori economisti al
mondo, ha sempre cercato di aggirare regole e normative.»
Il secondo meccanismo suggerito dall'economista è, invece, più
arduo da adottare ma forse più incisivo: "È necessario un
cambiamento di tipo giuridico, non si può più accettare la regola
che chi compra deve stare in guardia.
Per esempio si potrebbe imporre l'obbligo di un rapporto fiduciario
fra il venditore e il cliente, in modo che il venditore possa
essere portato in giudizio.
Altro suggerimento, che non mi renderà certo popolare verso le
banche, è quello di fare qualche passo indietro: un tempo se
fallivano gli istituti di credito i responsabili erano i titolari,
sulla scorta delle loro proprietà.
Potremmo quindi fare in modo che le banche si assumano una doppia
responsabilità: io imporrei di pagare i dirigenti e coloro che
lavorano nei settori finanziari, non certo i dipendenti ordinari,
con un particolare tipo di azione che ho chiamato «e-shares».
Nel caso di fallimento, la dirigenza della banca perderebbe non
solo la quota azionaria ma sarebbe responsabile di fronte alla
legge di una ulteriore somma.
E questo forse sarebbe un piccolo ma efficace cuscinetto fra la
direzione della banca e i creditori.
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Festival dell'Economia 2010