La proposta a favore di una generazione «senza rete» – Precari: contratti, salari minimi e sgravi fiscali
Pietro Garibaldi, docente di Economia politica all'Università di Torino racconta una tendenza non solo italiana e in continua crescita
La generazione dei trentenni è
destinata ad un futuro senza rete, fatto di precariato. Dal
Festival di Trento arriva la proposta, lanciata da Pietro
Garibaldi, docente di economia politica all'Università di Torino,
di standard minimi nei salari e nei contributi previdenziali, per
tutte le prestazioni di lavoro: «Se non si interviene, rischiamo di
ritrovarci in futuro milioni di persone in pensione senza
copertura.»
Quanti sono i precari? Quattro milioni secondo un dato de
"Lavoce.info". Più di tre milioni dice Pietro Garibaldi,
sollecitato dal direttore del Corriere del Trentino Enrico Franco.
Difficile quantificarli esattamente perché, per definizione, i
lavoratori a tempo indeterminato hanno frequenti periodi di «non
lavoro» in cui non è chiaro se considerarli precari o
disoccupati.
Nell'incontro a Palazzo Geremia dal titolo «Protezione o
flessibilità? Un nuovo modello per il mercato del lavoro» Pietro
Garibaldi, docente di Economia politica all'Università di Torino,
esplora questo fenomeno.
In Italia, a partire dagli anni 80, la disoccupazione ha conosciuto
una consistente diminuzione, accompagnata, paradossalmente, da una
crescita economica molto contenuta e comunque inferiore ai livelli
europei.
«Dunque c'è stato un miracolo con una doppia faccia - dice Pietro
Garibaldi - aumento dell'occupazione consistente e crescita,
all'opposto, contenuta.»
Secondo le statistiche gran parte di questi nuovi lavoratori sono
precari.
Ma questo fenomeno, il precariato, è prettamente italiano? No,
riguarda molti altri Stati europei e, in particolare, quei paesi
che hanno introdotto riforme marginali, "duali", non strutturali.
Dunque interventi che riguardano solo una parte della popolazione
lavoratrice. Questa tipologia di politica è favorita, perché
«l'elettore mediano è tipicamente occupato quando il governo
introduce riforme, mentre giovani e pensionati sono generalmente
categorie sottorappresentate» dice Garibaldi.
Il mercato del precariato ha caratteristiche comuni nei diversi
Paesi in cui è diffuso. Produce fatturati notevoli: secondo i dati,
il contributo alla crescita dei contratti temporanei varia dal 35%
al 100%. Si accompagna ad una bassa crescita della produttività del
lavoro. Ha un'incidenza notevole tra i giovani, mentre diminuisce
con l'aumentare dell'età; dunque è concepito come una sorta di
porta d'ingresso nel mondo del lavoro.
I soggetti che fanno parte del cosiddetto mercato marginale sono
tra loro molto diversi. Garibaldi individua diversi profili. Ci
sono i dipendenti a termine involontari, che costituiscono la
maggioranza. In percentuali minori ma sempre rilevanti, sono i
collaboratori occasionali, i collaboratori coordinati e
continuativi e a progetto e gli autonomi con partita IVA. L'insieme
di queste categorie forma in Italia il 13,4 % della forza
lavorativa ed è composto da una maggioranza di lavoro atipico.
Questo sistema, che ha prodotto una notevole diminuzione della
disoccupazione, presenta però anche problemi evidenti. Limiti che
sono sempre più presi in considerazione, analizzati, criticati.
Quali?
Secondo Garibaldi sono riassumibili in tre espressioni: questo tipo
di mercato è duale, non sostenibile e complesso.
«Duale perché è relativamente facile l'entrata ma difficoltosa
l'uscita, la conquista di un posto stabile; dunque è un mercato
senza prospettive.»
Secondo i dati, la probabilità di passare da un contratto a tempo
determinato ad uno indeterminato entro un anno è solo del 11%.
E non è sostenibile perché si basa su salari bassi - fenomeno del
tutto evidente - e su bassa formazione. La probabilità di ricevere
formazione in un posto stabile è del 75%, in uno temporaneo cala al
50%.
Infine, un mercato complesso. Già prima della legge 30 esistevano
diverse figure contrattuali, tanto è vero che nel 2002 l'ISTAT ne
aveva individuato oltre 35. I profili poi sono ulteriormente
aumentati con l'introduzione di tale norma.
Questa è la situazione attuale. La questione ora è: che fare? Quali
soluzioni adottare? Luigi Garibaldi ne indica due, elaborate con
Tito Boeri, economista e responsabile scientifico del Festival.
La prima consiste nella determinazione di standard minimi nei
salari e nei contributi previdenziali, per tutte le prestazioni di
lavoro. In base a questo progetto, il salario minimo per ogni
lavoratore dovrebbero essere fissato a 5 Euro, una cifra che
attualmente il 3% dei lavoratori italiani, con punte del 7,5% al
Sud, non raggiungono.
«Un salario minimo esiste nella maggior parte dei Paesi, c'è in
Gran Bretagna e in Francia - dice Garibaldi -non capisco perché non
debba esserci in Italia.»
Per quanto riguarda invece i contributi previdenziali, secondo il
relatore, il minimo dovrebbe essere fissato al 33%.
La seconda soluzione, che può essere integrata con la prima, è
definire un «cursus honurum» che consenta di garantire all'impresa
la flessibilità di cui ha bisogno e al lavoratore un progetto
occupazionale di lungo periodo.
Dice Garibaldi: «Secondo questo modello le imprese dovrebbero
utilizzare inizialmente contratti a tempo determinato con forme di
tutela che aumentano al passare del tempo.»
In altre parole «ci sarebbero tre periodi: una fase di prova (della
durata di sei mesi), una di inserimento in cui investire in
capitale umano (fino al terzo anno) e una di permanenza (dal terzo
anno in poi).» Il tutto con contratti a tempo determinato di
massimo due anni.
Ma, ci si potrebbe chiedere, se i salari hanno un livello
determinato, il principio e il peso della contrattazione si
modifica?
«La contrattazione resta - dice Garibaldi - perché si pone solo un
livello minimo che può crescere, semmai verrà semplificata".»
Altro problema che si pone è quello del mercato informale, tanto
diffuso in Italia. E' possibile che definendo una retribuzione
minima si alimenti il sommerso?
«Le esperienze precedenti mostrano esiti positivi dell'introduzione
di standard, si è anche verificato che l'introduzione del salario
minimo provoca una tendenza a quella cifra anche nel mercato
informale.»
Soluzioni interessanti dunque e soprattutto, secondo il relatore, a
costo zero.
L'argomento e la discussione hanno destato un notevole interesse
nel pubblico che ha risposto con numerose domande e interventi. Una
partecipazione ormai divenuta una consuetudine degli incontri di
questo Festival.
(am)