La Via Serrana da Gibilterra a Siviglia/ 3 – Di Elena Casagrande

In cammino si passa dal silenzio al caos, come succede arrivando a Ronda, patria della corrida, città che però si fa perdonare con i suoi scorci e la sua tradizione

La Plaza de Toros di Ronda.
Link alla puntata precedente.
 
 A Estación de Jimera de Líbar il nostro cammino incrocia la Ruta de Fray Leopoldo  
Al termine del canyon, percorrendo una lunga pista forestale, raggiungiamo il borgo di Cañada del Real Tesoro. Ci concediamo una pausa-pranzo veloce anche per prenotare un paio di alloggi per i prossimi giorni.
Sta per arrivare il Capodanno e potrebbe essere dura trovare posto. Finite le polpette di asparagi selvatici ripartiamo di buona lena. In inverno le ore di luce sono poche.
Un'ampia cañada (tratturo) ci conduce, tra insenature, ponti sospesi e persino una laguna, alla località di Estación de Jimera de Líbar.
Di qui partiva, a piedi, Fray (fra’) Leopoldo, quando tornava al vicino paese natale di Alpandeire. Come membro della congregazione dei cappuccini dedicò la vita ai poveri di Granada e fu beatificato da Benedetto XVI.
Da poco c’è anche una Ruta (itinerario) che ricorda questo tragitto e che parte proprio da qui.
 

La statua di Fray Leopoldo a Jimera de Líbar.
 
 Jimera de Líbar è un paese ordinato, pulito e schierato contro la violenza di genere  
Oramai è quasi buio e manca ancora un chilometro e mezzo di salita. In paese sono stati installati dei cartelli stradali contro la violenza machista.
«Visto che bravi?» – dico a Teo.
Il nostro Hotel Rural è in centro. La camera è carina ed affaccia su una via lastricata, contornata da due lunghe file di case bianche. Gli albergatori sono gentili e accettano di anticiparci l’ora della colazione: domani, infatti, partiremo presto.
Puntiamo a Ronda, la magica città arroccata sulla gola chiamata «El Tajo», scavata dal fiume Guadalevín, patria della corrida moderna e rifugio privilegiato dei toreri Ordóñez e dei loro amici Ernest Hemingway e Orson Welles.
La conosciamo bene, ma siamo curiosi del tracciato che ci farà seguire la Via Serrana per raggiungerla.
 

Tra le montagne assolate del Parque de Grazalema.
 
 Una tappa impegnativa ci separa dalla mitica città di Ronda  
Il sole non è ancora sorto quando iniziamo la tappa. Ritroviamo la Via Serrana, scendendo dal cammino di Fray Leopoldo, dietro la stazione. Di lì si continua per molte ore lungo un piacevole sentiero a mezza costa, sopra il fiume Guadiaro, con la ferrovia da un lato ed il Parque Natural (parco naturale) de Grazalema dall’altro.
Il sole, piano piano, illumina le montagne della sierra ed i suoi villaggi bianchi. Prima dell’abitato di Benaoján, dove non si entra, c’è un ponticello di legno divelto dalla corrente.
Qualcuno ha messo delle tavole e riesco a guadarlo, nonostante un’asse sprofondi e mi faccia cadere, con metà gamba, nell’acqua gelida.
«Caspita! Che sfortuna… proprio all’ultimo!» – Esclamo.
Da qui mancano ancora 13 chilometri a Ronda. Si cammina tra campi punteggiati di iris selvatici. Una fioritura inaspettata e, per questo, ancora più bella!
 

Gli iris fioriti a dicembre.
 
 Già da fuori le mura capiamo che la città è presa d’assalto da turisti e gitanti  
Le salite, ripide, per arrivare a Ronda, non finiscono più. Alla fine le conto. Sono almeno tre e mi fanno sudare e faticare.
«Ma cos’era, un miraggio? L’ho vista da lontano e adesso è sparita» – domando a Teo.
Lui, al solito, mi rassicura.
«Dai che ci siamo». L’ultimo strappo è praticamente «in piedi», su cemento.
Entriamo dalla Puerta de Almocábar e timbriamo alla Chiesa di Santo Spirito. Percorriamo il viale di accesso al Ponte Nuovo. Lì c’è l’Hotel Don Miguel, dove alberghiamo.
Mano a mano che ci avviciniamo al centro orde di turisti giapponesi, coreani, americani, indaffarati a scattare foto e a comperare souvenir, ci catapultano dal silenzio delle montagne al caos più rumoroso e disordinato.
Ronda è anche questo, ma si fa subito perdonare con il suo fascino.
 

Il Ponte Nuovo di Ronda.
 
 Come in tutte le località turistiche è difficile trovare locali veraci  
Dopo la doccia sono pronta per il mio «pellegrinaggio» al monumento ad Hemingway.
Sulla sua lapide c’è scritto: «Aspirava a scrivere come si torea a Ronda: in modo essenziale, semplice, classico e tragico.
«I toreri di Ronda El Niño de la Palma e Antonio Ordóñez furono i protagonisti del suo primo romanzo (Fiesta) e dell’ultimo (Un’estate pericolosa).»
Mi commuovo, ma non lo do a vedere a Teo. Il mio è un affetto intimo e personale.
Alla Plaza de Toros sono ancora appesi i cartelli dell’ultima Corrida Goyesca. L’arena di Ronda, a torto creduta come la più antica in Spagna (che, invece, si trova a Bejar – in provincia di Salamanca), fu inaugurata nel 1784.
È la patria della corrida moderna e vale la pena visitarla.
Da lì si raggiunge in poco tempo il Parador, da dove scattiamo due foto alla gola, schivando i bastoncini per selfie della folla accalcata sul Ponte Nuovo.
«Sarà dura trovare un posto non turistico dove cenare!» – Esclama Teo. Purtroppo ha ragione.


Davanti alla Plaza de Toros di Ronda.
 
 Nei pressi di Acinipo il paesaggio ricorda le nostre colline senesi  
«Un uomo non appartiene al luogo dove nasce, ma a quello dove sceglie di morire», – scriveva Orson Welles.
Non a caso le sue ceneri riposano nel pozzo di casa Ordóñez, qui a Ronda e non in America. Anche a me spiace lasciare la città, nonostante tutto.
Di buonora scendiamo verso le caserme, dopo aver camminato sul barranco (burrone) della rocca, lungo quel che resta di una strada romana, ancora lambita da una fila di cipressi.
Una volta a valle si risale, sulla stradina MA-7402, fino a scollinare su un ampio altopiano.
La Via Serrana passa vicino all’antica città romana di Acinipo. Il suo teatro merita una deviazione.
Il paesaggio è sempre più simile a quello delle colline senesi. Sul cammino non c’è nulla ed è dura arrivare a la Torre Alháquime.
Ci salva un bar-ristorante poco prima del paese. È ora di merenda. Prendiamo delle patatas bravas (patate piccanti). I nostri vicini, russi, un’enorme chuletón (costata).
«Beati loro!» – mi dice Teo.
 

In cammino verso Torre Alháquime.
 
 Il Santuario de Los Remedios è collegato alla città di Olvera da un bel paseo  
Arrivati al Santuario de Los Remedios, dopo una preghiera davanti al Niño (Gesù Bambino), un comodo paseo (passeggiata) sotto la strada ci porta ad Olvera, la nostra meta odierna.
La si vede, da lontano, con la sua chiesa enorme ed il suo castello, abbarbicata su un’altura. L’Hotel che abbiamo prenotato, a piano terra, assomiglia ad un palazzotto privato. Lo gestiscono due nonni che hanno adibito ad hotel la loro casa (o viceversa).
I nipotini saltellano festosi nelle stanze e fotografie di famiglia fanno bella mostra su tavoli, mensole e baldacchini.
Noi siamo sistemati ai piani alti. Per cena ho voglia di pizza. Troviamo un american bar pieno di foto della Route 66.
«Sembra di essere in uno di quei locali in Oklahoma!» – dico a Teo. Ridiamo.
 

Il Niño del Santuario de Nuestra Señora de los Remedios.
 
 Il Cammino ora segue la Vía Verde de la Sierra frequentata perlopiù dai ciclisti  
L’unico bar aperto è quella della stazione degli autobus, infatti è zeppo di persone intente a desayunar (fare colazione). Il proprietario, velocissimo, riesce a servire tutti. Ci prepara dei paninetti con patè e dei bei caffellatte.
Da lì è facile scendere a valle e prendere la Via Verde, una ex ferrovia convertita a pista ciclo-pedonale.
Si cammina tra i campi di olivi. È tempo di raccolta. Teo non vede l’ora di arrivare al Peñon (rocca) de los buitres (avvoltoi) di Zaframagón. Lì vive una colonia di 200 coppie di grifoni.
È domenica e, quando raggiungiamo il punto panoramico, troviamo tanti ciclisti, col naso all’insù, intenti a guardare i rapaci.
Pesano fino a 9-10 kg ed hanno un’apertura alare di 2 metri e mezzo. Poco dopo cominciano i tunnel, alcuni dei quali non illuminati.
Dall’Estación de Coripe manca, come sempre, la salita al villaggio.

Elena Casagrande – [email protected]

(La 4ª puntata della Via Serrana sarà pubblicata mercoledì 27 dicembre 2023)

I grifoni del Peñon di Zaframagón.