Guido Rossi: «Attenti, la crisi finanziaria non è passata!»
Guido Rossi e le patologie del capitalismo italiano: «Il mercato dei Fondi è a rischio, oggi il capitalismo è come la Fenice che sta bruciando»
La domanda più secca per la risposta
più laconica. A farla Federico Rampini, editorialista ed inviato di
«Repubblica» chiamato al dialogo - questa sera, al teatro Sociale,
per uno degli appuntamenti più attesi di «Testimoni del tempo» -
con Guido Rossi, ex senatore e presidente della Consob, ispiratore
della legge italiana dell'antitrust, alla guida del salvataggio del
gruppo Ferruzzi-Montedison e privatizzatore della Telecom: «Il
grande borghese per eccellenza per la sua antica conoscenza del
capitalismo italiano, e al tempo stesso un fustigatore spietato dei
suoi vizi, un giurista a suo agio fra i testi dei grandi
economisti, dei filosofi classici, del dibattito etico sulle
diseguaglianze sociali», per dirla con parole non nostre.
La domanda.
«Un sondaggio dice che il 5 per cento degli italiani ritiene
importante la questione del conflitto di interessi? Che ne pensa di
questo?»
La risposta: «Mi vengono i brividi.»
E di brividi, durante l'ora e mezza dell'intenso dialogo sulle
«patologie del capitalismo italiano», Guido Rossi ne ha fatti
venire anche al folto pubblico presente. A cominciare da un
paragone.
«Il capitalismo vero è incominciato con la Compagnia delle Indie,
400 anni fa. Oggi il sistema che si reggeva sulle società per
azioni, il centro stesso del capitalismo, come la Fenice del mito
sta bruciando sui rami e sugli alberi che null'altro sono se non
gli strumenti finanziari di un mercato impazzito. È il capitalismo
che mangia se stesso. La crisi è innescata, i principi non sono più
quelli che hanno accompagnato, ad esempio, la grande crisi del
1929. Non ci siamo ancora accorti che quel capitalismo non è più
quello di oggi. Spa, azionisti, mercati finanziari non sono gli
stessi. Un esempio? Allora il 92 per cento delle azioni era dei
cittadini. Era la grande democrazia azionaria americana, almeno una
azione per cittadino. L'anno scorso più del 70 per cento delle
azioni a New York era nelle mani dei Fondi.»
Domanda.
«Ieri il governatore della Banca d'Italia, Draghi, ha detto che il
nostro paese è uno dei meno esposti alla crisi finanziaria.
Condivide?»
Risposta.
«No. Non me la sento di dare messaggi rassicuranti. Lui avrà le sue
ragioni per queste dichiarazioni: io non sarei così ottimista.
Perché? Ad esempio perché ci sono 45 trilioni di dollari in un
mercato fuori controllo, quello dei cosiddetti Fondi scommessa, dei
derivati fatti sulla possibile insolvenza delle società. È una
cifra pari a cinque volte il debito pubblico americano. Lo ha
scritto Soros recentemente sul "New York Review of Books": è la
maggiore minaccia che incombe sul mondo economico. E in Italia la
crisi di questi derivati, altro che quella delle banche per i
mutui, non è ancora arrivata.»
Domanda.
«E la proposta di Draghi per istituire una sorta di difensore
civico italiano dei risparmiatori?» Risposta.
«Se lo fa lui, va bene. E' il suo compito.»
La serata era partita con una battuta di Rossi a Rampini: «So che
nelle precedenti edizioni di questo Festival lui era vestito alla
cinese. Gli ho chiesto perché oggi, per me, avesse cambiato. Mi ha
detto che è una protesta verso la Cina per il trattamento riservato
ai monaci tibetani. Allora capisco».
Poi, una citazione di Keynes: «Guai a quelle società che
trasformano l'economia in un casinò».
In un mercato d'azzardo, per citare questa volta proprio Rossi, che
ha ribadito la necessità di una agenzia indipendente europea sul
mercato finanziario europeo, dotata di poteri per controllare i
Fondi derivati.
«Siamo in un mondo nel quale l'ipotetica classifica delle cento
aziende più ricche del pianeta vedrebbe presenti 51 aziende private
e 49 Stati.»
«Io credo - ha detto ancora Rossi - che tra gli economisti del
secolo scorso Keynes è stato il più lucido, aveva capito che quando
l'investimento nel mercato è in relazione non a ciò che rappresenta
dei beni ma è solo investimento di liquidità, la questione si fa
pericolosa. La crisi dei mercati è proprio questo: è solo
liquidità, i beni sono spariti. E i tentativi di correzione della
crisi non risolvono la crisi: siamo solo alluvionati da nuove
norme, nuove leggi. Ma dalla crisi italiana degli anni Novanta ad
oggi ben poco è cambiato, eppure il sistema economico non è più
quello, se non cambiamo mentalità non ce la faremo. Prendiamo i
cosiddetti Fondi sovrani: sconvolgono le regole, hanno scopi
diversi, la loro caratteristica è l'opacità. Ci sono oggi tre
trilioni di dollari investiti dai Fondi sovrani (vuol dire il
governo cinese, vuol dire i paesi arabi) nelle borse europee.»
Ancora Rossi.
«Gli Usa? Fino al 1970 era il paese della democrazia capitalista,
oggi il supercapitalismo per offrire i prodotti ai consumatori al
costo più basso possibile, in una concorrenza spietata, che fa?
Taglia i diritti dei lavoratori. La democrazia si è affievolita. La
concorrenza ha ucciso la democrazia. Non basta: negli anni Sessanta
lo stipendio di un manager della General Motors era 60 volte quello
di un operaio; oggi il manager di Walmart, la grande catena di
supermercati dove i diritti dei lavoratori sono messi a dura prova,
guadagna 900 volte quello che porta a casa il commesso dei suoi
negozi.»
La globalizzazione?
«Solo i paesi ricchi se ne lamentano. Perché la globalizzazione non
uccida la democrazia bisogna tornare a sistemi legislativi.»
Cosa non va in Italia?
«Resta il paese dove quel che conta è l'appartenenza e non la
competenza.»
Ci si lamenta della mancanza di etica.
«Ognuno ha la morale che si ritrova. Io penso che quando si invoca
l'etica vuol dire che o non ci sono leggi buone o, se ci sono, non
vengono fatte rispettare.»